Caino e Abele: la preferenza

Bruna Costacurta – Prof. Esegesi dell’Antico Testamento – Pontificia Università Gregoriana

Parliamo dell’episodio di Caino e Abele. Ricordiamoci sempre che stiamo leggendo dei testi che sono dei testi fondatori, testi delle origini, dove non si vuole raccontare la storia nel suo svolgersi temporale e cronologico, ma come abbiamo detto tante volte, ci vogliono dare delle indicazioni di senso. […]

Il cap. 4 comincia facendo riferimento al fatto che l’uomo conosce Eva, la sua donna, ed essa “concepì e partorì Caino […] Quello che è interessante è che questo Caino è il primo frutto del primo conoscersi dell’uomo e della donna. Uomo e donna che sono stati cacciati dal giardino, uomo e donna che con il loro peccato hanno ferito a morte la vita, e quindi hanno radicalmente alterato il rapporto di armonia con la vita e che però continuano ad essere oggetto dell’amore fedele di Dio, che non solo dà loro vestiti di pelli, ma tiene fede alla sua promessa di vita. Quindi nonostante l’uomo e la donna abbiano ferito a morte la vita, Dio fa sì che la vita, nonostante tutto, continui. Quest’uomo e questa donna si conoscono, la fedeltà di Dio alla vita si manifesta, nasce un figlio. La vita, anche se ferita, continua. Però è una vita ferita, è una vita che ha in sé il germe del peccato, è segnata dal fatto che l’uomo e la donna hanno peccato. E questo adesso si vedrà. […]  

Non nasce solo Caino, ma nasce anche un altro figlio, proprio a testimoniare che si tratta della vita benedetta, la vita del “Crescete e moltiplicatevi”. Dio rimane fedele alla sua parola di benedizione; allora non nasce solo un figlio […] ne nasce anche un altro, in sovrabbondanza e benedizione. […]

Allora ecco nasce Abele, ma […] avviene che Caino uccide Abele. Quello che è più problematico è però il motivo per cui Caino uccide Abele, perché ad una prima lettura del testo Caino uccide Abele per gelosia, per invidia, perché non sopporta che Abele gli sia preferito da Dio. Bisogna cercare di capire di che si tratta.

Il testo presenta questi due fratelli e nella misura in cui sono due, inevitabilmente il testo sottolinea il fatto che sono diversi. […] Una prima diversità assolutamente fondamentale ed evidente è che uno è primogenito e l’altro secondo genito, e questo fa una grande differenza. Perché nel mondo biblico il primogenito era quello che riceveva l’eredità, la benedizione. […] 

Poi c’è una diversità presentata dal testo che è una diversità di lavoro e di cultura. Perché Caino è agricoltore, Abele è pastore di greggi. E’ probabile che dietro a questo racconto ci siano problemi sociologici di continua rivalità che c’erano tra gli agricoltori che erano sedentari e stabilizzati e i pastori nomadi. Può darsi che ci sia anche un problema di soppiantamento di una civilizzazione da parte dell’altra. Questo può funzionare come retroterra, il racconto è però interessato ad altro, a mostrare come il fratello diventa omicida e perché. Allora, al di là delle possibili implicazioni di tipo sociologico, qui c’è che questi due fratelli sono diversi, come è inevitabile che sia: uno prende una strada, uno ne prende un’altra. […]

Caino e Abele vanno in due direzioni diverse, ma entrambe queste direzioni competono all’uomo, è una diversità normale e inevitabile, connessa con questa diversità del lavoro e della cultura, perché è chiaro che se uno è sedentario ha tutta una cultura e un modo di vedere le cose diverso da quello che invece è nomade. Legato alla cultura, al modo di capire il mondo e al tipo di attività che si svolge è anche la forma del culto. Perché è chiaro che un nomade avrà un’espressione cultuale, nei confronti di Dio, diversa dal contadino che è sedentarizzato. E quando poi si tratta di fare delle offerte, uno porta le offerte dei campi, l’altro quelle dei greggi. Questi due offrono cose diverse, ma perché, inevitabilmente, occupandosi di cose diverse, vivendo in ambiti diversi, usano per il culto le cose che sono proprie della propria situazione.

Notate che il testo non indica alcuna differenza in queste offerte che possa spiegare il diverso atteggiamento da parte di Dio. Il testo dice: “Caino portò in offerta i frutti del suolo e anche Abele portò i frutti del suo gregge (i primogeniti del suo gregge)”. Dunque c’è un portare quello che i due possiedono. E basta. Non si dà un giudizio sul fatto che uno porta una cosa buona, l’altro una cosa cattiva o sul modo di portare, di offrire queste cose negativo o positivo.

Eppure questi due fratelli hanno una percezione diversa, sia del loro rapporto con Dio, sia di ciò che tutto questo comporta, il modo di percepire la vita. Se volete un diverso modo di riuscire nella vita, che viene espresso nel testo attraverso l’esplicitazione di un diverso accoglimento da parte di Dio: “E guardò il Signore verso Abele e verso la sua offerta e verso Caino e verso la sua offerta non guardò”. Allora che uno si senta guardato o non guardato vuol dire che uno percepisce diversamente il rapporto con Dio in termini anche di fortuna, di benessere, di riuscita nella vita.

Dunque questi sono diversi perché uno è nato prima e l’altro è nato dopo, sono diversi perché fanno lavori diversi quindi hanno culture diverse e forme di culto diverse e infine hanno una percezione diversa del loro rapporto con Dio e del loro rapporto con la vita e con la riuscita nella vita. Questa percezione del rapporto diverso è espressa dal testo con questo modo di dire: “Guardò, non guardò”. 

Innanzitutto guardate proprio l’ordine delle parole che è importante: “E guardò il Signore verso Abele e verso la sua offerta e verso Caino e verso la sua offerta non guardò”. Questo tecnicamente si chiama un chiasmo, una forma stilistica particolare, in cui c’è un elemento A, poi un elemento B, poi di nuovo un elemento B e poi un elemento A. Sono uguali e simmetrici ma messi al contrario.

A – E guardò il Signore

B – verso Abele e la sua offerta

B – verso Caino e la sua offerta

A – non guardò

I due elementi centrali sono assolutamente identici, questo vuol dire che nel testo non c’è assolutamente nessun cenno al fatto che l’offerta dell’uno fosse buona e l’offerta dell’altro cattiva. Il testo dice che tutta la differenza sta in quel “guardò… non guardò”. Tutta la differenza sembrerebbe stare in Dio. E di questa differenza il testo non dà spiegazioni. Si tenta allora disperatamente e pateticamente di trovare delle spiegazioni che giustifichino il comportamento di Dio. Allora si tende a dire che Caino quando offriva i frutti del suolo, a differenza di Abele che offriva i primogeniti del gregge, prendeva invece i frutti striminziti, possibilmente marci, perché era avaro. […] Però non c’è traccia di questo nel testo, e noi dunque rimaniamo alle prese con un’affermazione misteriosa che, a prima vista, ci fa venire la voglia di pensare che dunque Dio qui si comporta in modo ingiusto.

Questo perché noi abbiamo come retroterra, nel leggere questo testo, una categoria soggiacente, che è quella della giustizia retributiva. Per cui se uno fa il bene gli si dà in premio il bene, a chi fa il male si dà il male. Ma questa è la giustizia retributiva che innanzitutto non è la giustizia di Dio, e che comunque non è la giustizia di cui l’uomo fa esperienza perché l’esperienza dell’uomo è che invece questo automatismo – per il quale se tu fai il bene tutto ti va bene e se fai il male tutto ti va male – è continuamente smentito. […]

Non si può rimanere in questa visione, bisogna abbandonare questa idea retributiva e dunque non può essere quella la categoria per giudicare e tanto meno per capire il comportamento di Dio di cui si parla in Gen 4. Bisogna andare oltre e altrove. Questo oltre e altrove, sembra chiaramente dire il testo, è il mistero della elezione divina. E’ il mistero della libera scelta da parte di Dio, di chi vuole e come vuole. Facendo però attenzione a capire che quando noi diciamo che Dio sceglie uno, questo non vuol dire che rifiuta l’altro. Anche se il testo lo esprime così: guardò l’offerta di Abele, non guardò l’offerta di Caino. Questo però va capito nel modo di esprimersi biblico dove questo guardò e non guardò non va preso alla lettera e non va capito come sceglie e rifiuta. Vuol dire solo: prediligere uno, ma senza che questo faccia torto all’altro. Vuol dire semplicemente prediligere uno nel senso che su uno Dio ha un progetto particolare che non vuol dire che quindi sugli altri non ha progetti e li butta via, ma semplicemente che su uno ha un progetto particolare che peraltro deve poi servire a tutti gli altri.

Questo è il mistero dell’elezione di Israele, questo è il mistero della libera decisione di Dio di entrare in un cammino di incarnazione. Per cui se vuole che la sua Parola si incarni in parole umane deve necessariamente scegliere una lingua, deve scegliere un popolo che scriva queste cose e che le scriva con quella lingua, con quei riferimenti culturali, in un determinato periodo della storia perché non esiste l’uomo che scrive così, slegato dalla storia. Perché scriva bisogna che sia nato, e nato in una certa epoca e non può essere nato in tutte le epoche e in tutti i luoghi del mondo e utilizzando tutte le lingue del mondo. Quando poi addirittura questo cammino di incarnazione si fa definitivo ed è il Figlio di Dio, il Logos eterno, che si fa uomo, qui entriamo ancora più radicalmente in questa scelta, perché se si fa uomo, non vuol dire che si fa persona umana in genere. Si fa uomo, il che vuol dire che si fa ebreo, maschio, nato in quel posto, in quel periodo e non in un altro, parlando quella lingua, pensando come pensavano quelli, pregando come pregavano gli ebrei di quel tempo, con dei riferimenti storici che sono quelli e non altri, con il problema dei romani dentro casa. E quello è Dio, è il Salvatore di tutti. A noi piace pensare che siccome è il Salvatore di tutti, allora lo pensiamo slegato da ogni coordinata concreta e storica. […]

In altre parole noi vorremmo evitare il discorso dell’incarnazione perché quello ci costringe ad una conversione spirituale e mentale che è molto scomoda. Noi preferiamo allora inglobarlo dentro i nostri schemi. Per cui se uno dice che il Signore Gesù è il Messia di Israele, noi rispondiamo: no, è il Salvatore nostro! E’ vero, ma è il Salvatore nostro perché è il Messia di Israele. Ci piaccia o no. E d’altra parte, per incarnarsi bisogna che Dio diventasse questo uomo e necessariamente non un altro. Allora che facciamo? Siamo tutti offesi e ci risentiamo tutti e diciamo che Dio è ingiusto perché ha scelto di incarnarsi in Israele invece che in Italia? Questo è il discorso di Caino e Abele, il discorso dell’elezione, il “guardò” e “non guardò”. A noi non ci ha guardato? Sì, solo che il progetto particolare di salvezza di Dio è di Israele, poi è per tutti, a noi ci guarda eccome, ma se noi lo mettiamo nei termini dell’elezione, dobbiamo dire che ha scelto Israele e non ha scelto noi – se vogliamo utilizzare questa espressione, che però non corrisponde al nostro modo di esprimerci, perché quando noi diciamo: non ha scelto noi, immediatamente traduciamo: ci ha rifiutati. Non è questo il modo di parlare della Bibbia. 

La traduzione italiana è fuorviante, perché vi si dice che Dio: “Gradì” le offerte di Abele. In realtà il verbo ebraico significa “guardare” […] Allora bisogna capire cosa dicono questi quando dicono un verbo positivo e poi con un “non” davanti, al negativo. Ci sono due testi importanti per capire questo. Uno è il salmo 78, 67-68:

Traduzione italianaVersione ebraica
Ripudiò le tende di Giuseppe,Rifiutò le tende di Giuseppe
non scelse la tribù di Efraim;e la tribù di Efraim non scelse
ma elesse la tribù di Giuda,e scelse la tribù di Giuda
il monte Sion che egli ama.il monte Sion che egli ama.

E’ evidente che qui si sta parlando di Israele, e Israele è fatto dalla tribù di Giuda, di Efraim, di Manasse, ecc. Qui però si vuole dire che c’è una scelta particolare nei confronti di Giuda, perché Giuda è il territorio in cui c’è Gerusalemme e in cui c’è il monte Sion, quindi c’è questa scelta perché è sul monte Sion che Dio entra nel Tempio e quindi pone nel Tempio la sua dimora. E’ evidentissimo che in questo testo non si vuole dire che Dio ha rifiutato qualcuno.

Ma la versione ebraica dice proprio che Dio sceglie Giuda e non sceglie Giuseppe, proprio come nel nostro testo guarda un’offerta, non guarda l’altra. Se Dio sceglie Giuda vuol dire che non sceglie Giuseppe, inevitabilmente, perché se sceglie di abitare in Sion sceglie Giuda e non sceglie Giuseppe (tribù del nord), ma questo “non scegliere” non è negativo, perché vuol solo dire che se scegliendo uno non poteva andare dall’altra parte. Viene però espresso in parallelo con “e rifiutò”, dove invece è evidente che non ha rifiutato, perché stiamo sempre parlando di Israele, quindi stiamo sempre parlando dell’elezione divina di Israele. Dentro quell’elezione non è che Dio elegge e allo stesso tempo rifiuta, ma per poter dire che ha fatto una scelta, diremmo privilegiata, non perché sia un di più, ma perché da qualche parte doveva scegliere di mettere il tempio e ha scelto Sion, si dice “non scelse”. Dire che ha scelto Sion vuol dire che non ha scelto gli altri e si può esprimere questo “non aver scelto” gli altri usando il verbo “rifiutò”. Ma quel “rifiutò” non ha il valore che gli diamo noi; è un modo di dire “sceglie – non sceglie”.

L’altro testo importante è in Lc 14,26-27 e in Mt 10,37-38. Mt 10,37-38: Chi ama il Padre e la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue non è degno di me”.

Gesù sta dicendo che c’è un amore nei confronti suoi e di Dio, che non può essere lo stesso amore che si ha per il padre e la madre. Perché Dio è assoluto, il padre e la madre no, perché quello è il Figlio di Dio, il padre e la madre no. Quindi Gesù dice: “Chi ama il padre e la madre più di me – quindi rende loro assoluti – non è degno di me” perché bisogna amare i genitori di un amore diverso da quello che si ha per il Signore Gesù. Questo non ci fa problema, ma quando Luca dice la stessa cosa la dice così: Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo.

Per dire che bisogna amare il padre, la madre, la moglie, i figli, la propria vita, in modo diverso da come si ama lui, e quindi senza amarli di più, senza farne degli assoluti, Luca dice che bisogna odiarli. E’ chiaro che non sta dicendo che bisogna odiare il padre e la madre, sta semplicemente dicendo che bisogna amare Dio e odiare i propri genitori, cioè amare Dio e amare i propri genitori in modo diverso da come si ama Dio e da come si ama il Signore Gesù.

Quando allora in Gen 4 si dice che Dio guarda o gradisce l’offerta di uno e non guarda l’offerta dell’altro, stiamo in questo modo di parlare […] Vuol dire che inevitabilmente […] l’amore di Dio è diverso per ciascuno. Inevitabilmente perché ciascuno di noi è diverso dall’altro e ciò che ci costituisce è l’amore di Dio. E ciò che ci fa diversi è il diverso modo con cui Dio ci ama. Siccome l’unico modo che noi abbiamo per esistere è di essere diversi gli uni dagli altri, questo implica inevitabilmente che Dio ci ama in modo diverso uno dagli altri. Solo che questo viene percepito da noi, e in questo caso da Caino, come una preferenza ingiusta, perché noi immediatamente tranciamo la diversità in categorie di amare di più e amare di meno. 

Poiché Caino è il primogenito, il fatto che Abele – che non dovrebbe contare perché è il secondogenito – venga preferito, è percepito da Caino come assolutamente insopportabile. D’altra parte questo è vero per ognuno anche se uno non è primogenito. Che Dio ci ami in modo diverso a me va benissimo, se questo modo diverso con cui Dio ama è favorevole a me. Appena io percepisco la diversità dell’amore di Dio come sfavorevole a me, è chiaro che non mi va più bene e lo considero ingiusto. Senza rendermi conto che io sto trasformando la diversità in più e meno, sto traducendo l’esperienza della diversità invece in un confronto che io opero. E invece di stare a guardare e di essere contento del modo con cui Dio mi ama, mi metto a fare il confronto con il modo con cui a me sembra che Dio ami gli altri, e allora se io faccio il confronto inevitabilmente uso le categorie di più e meno. E appena il meno è mio e il più è dell’altro, io dico che Dio è ingiusto e che l’altro non ha diritto di esistere, e lo ammazzo.

Il progetto che Dio ha su ognuno di noi non è altro che la nostra identità, perché è la nostra vocazione che corrisponde alla nostra identità. Io sono io nella misura in cui realizzo la vocazione che Dio mi ha donato e il progetto di Dio su di me. Il progetto di Dio su di me non è altro che Bruna. E io sono Bruna solo nella misura in cui accetto di vivere come Bruna. Dio ama me come Bruna ed è questo che mi fa Bruna, e non madre Francesca. Ed è questo che ci fa diverse. Se poi io invece dico: “Ma io e Francesca siamo diverse, solo che Francesca canta bene (l’ho sentita in chiesa) e io sono stonata, allora vuol dire che Dio ama Francesca più di me (non che ha un progetto diverso)”. E’ chiaro che appena io entro in questa prospettiva questo vuol dire: Che a me il modo in cui Dio mi ama non mi interessa e non mi piace. Che non mi piace il modo in cui Dio ama Francesca. E non mi piace perché o io vorrei essere al suo posto, quindi vorrei che lei non ci fosse per poter essere, io, lei. O non mi piace perché Francesca mi è antipatica, non mi piace il suo modo di pensare e vorrei che lei non ci fosse.

Vedete che in entrambi i casi io vorrei che lei non ci fosse, o perché la vorrei diversa da come è perché così com’è non mi piace, o perché siccome mi piace troppo vorrei essere io al suo posto e per questo lei non può esserci. Comunque sia, io voglio che lei muoia. Vi accorgete che il racconto di Caino e Abele è messo in Gen 4, nei racconti delle origini, non per raccontare la storia dei due fratelli, ma di ogni uomo.

Non possiamo neanche giustificare Caino dandogli come attenuante il desiderio di essere amato. Perché dire che io voglio essere amato, vuol dire che io non credo che Dio mi ama, e che mi sta amando nel modo giusto per me, e che non c’è un altro modo per amarmi di più. Ed è il problema di Caino. Il problema di Caino è la sua non accettazione del modo in cui Dio ama lui e di conseguenza del modo con cui ama Abele. Non è Abele il vero problema di Caino, il problema è lui e il suo rapporto con Dio e il suo modo di capire, di percepire, di accettare l’amore di Dio per lui. Questo è proprio quello che Dio gli dice.

Dio allora interviene per aiutarlo a capire che il problema non è Abele, ma che è dentro Caino e nel fatto che Caino deve riconciliarsi con la propria realtà, con il modo con cui Dio lo ama e quindi essere contento dell’amore che Dio ha per lui. Ecco che Dio interviene precisando il vero problema: “Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo”. 

Questa frase di Dio in ebraico è molto complessa ed è difficile da capire, ma il senso fondamentale è questo: Se tu reagisci bene a ciò che invece ti sta facendo adirare, allora guarda che comunque riceverai grazia e non avrai bisogno di essere triste e abbattuto, se invece reagisci male, allora guarda che il problema è tra te e il peccato, che è pronto ad assalirti in agguato alla tua porta. Ma tu devi essere più forte di lui.[…] Qui Dio sta dicendo che verso di te è l’istinto di questo animale accovacciato alla porta, che sembra così forte, così terribile, ma non è vero. Dio sta rivelando a Caino che il peccato è debole. Tu puoi essere più forte di lui.

C’è la rivelazione della debolezza del male e della possibilità dell’uomo di dominarlo, di essere più forte di lui. Dio sta indicando a Caino il cammino della vittoria sul male, dicendogli che il problema è il modo con cui lui reagisce, con cui si pone davanti a questa percezione dell’amore di Dio. Se reagisci bene non hai nessun motivo di essere triste, se reagisci male allora guarda che il problema è che tu te la devi vedere con il peccato. Ma per quanto terrificante sembri l’animale accovacciato alla porta, tu puoi vincerlo. 

Notate che in questo discorso che Dio fa a Caino, Abele non viene neppure nominato. Non è che Dio dice: “Guarda, io sì, voglio bene ad Abele, però voglio anche tanto bene a te”. No! Perché non è vero che il problema è Abele, il problema è Caino e il suo rapporto con Dio. E notate un’altra cosa. Caino che percepisce l’amore di Dio per sé come insoddisfacente, perché dice che Dio ama Abele più di lui, è l’unico a cui Dio parla. Dio non parla con Abele, come direbbero a Roma: non se lo fila per niente! Invece corre dietro a Caino perché evidentemente il racconto sta mostrando Dio come il Padre che ama il figlio, lo vede in difficoltà, lo vede in situazione di debolezza e si occupa di lui. Il figlio che non ha bisogno lo lascia andare. E’ il Padre che corre dietro al figlio in difficoltà per aiutarlo ad uscire dalla difficoltà. Tanto è grande l’amore di Dio per Caino.

E siccome questo racconto serve a farci capire che ognuno di noi è Caino, rendiamoci conto di quant’è grande l’amore di Dio per noi, che non parla ad Abele, parla a noi e ci viene dietro, ci rincorre, cerca di convincerci, cerca di recuperarci fino all’ultimo, perfino dicendoci: “Guarda che tu sei più forte del male e io sono con te ed è per questo che tu sei più forte. Io sono qua, parlo con te, non con Abele”.

Ma Caino non accetta e il rifiuto dell’amore di Dio si concretizza nel rifiuto del fratello […] Questo diventa omicidio. Il versetto ebraico che descrive l’omicidio è stranissimo, letteralmente dice così: “E disse Caino ad Abele suo fratello ed avvenne mentre erano nel campo, si alzò Caino contro Abele suo fratello e lo uccise”. E’ strano, si racconta che Caino dice qualcosa ad Abele, ma non si dice cosa – nelle vostre traduzioni voi infatti avete: “e disse Caino a suo fratello: andiamo in campagna”, perché questa è l’aggiunta che mette la traduzione greca della LXX [prima traduzione greca della bibbia ebraica]. 

Allora cosa vuol dire questo? […] La violenza interviene quando le parole sono finite e questa è una costante del testo biblico, che quando parla di nemici dice che rumoreggiano come il mare, o che ruggiscono come leoni, ma non parlano. Perché la parola è portatrice di vita e quando invece si decide la morte non c’è niente da dire.

Caino decide di uccidere il fratello. Così dice il testo: che Caino uccide il fratello. La tradizione giudaica […] capisce che il male ha una tale forza distruttiva che quando il fratello uccide il fratello si sta uccidendo lui. E’ la forza distruttiva del male. Filone di Alessandria fa questo commento: “Se le parole: Caino si alzò contro suo fratello Abele e lo uccise, suggeriscono a prima vista che è Abele che perisce, esse rivelano invece, ad un esame più approfondito, che è Caino che in realtà si è autodistrutto. Bisogna dunque leggere: Caino si alzò e uccise se stesso”.

Questo si vede subito dopo. Perché Dio interviene e fa anche a Caino la domanda come l’aveva fatta ad Adamo [dopo il peccato]. Questa volta non è: “Dove sei?”, ma: “Dov’è Abele?” […] E’ una domanda che non si aspetta risposta circa la fine di Abele, Dio sa benissimo ciò che è successo, ma deve servire a Caino […] per metterlo davanti alle sue responsabilità. E’ una domanda che accusa, ma che serve a fare verità per poter salvare l’uomo peccatore. Perché finché l’uomo non prende coscienza di essere peccatore e di dover essere salvato, non si lascia salvare. Allora ecco le domande accusatorie di Dio che servono ad aiutare Caino a capire di avere bisogno di essere salvato. 

Caino si rifiuta al dialogo liberante e salvifico e si rifiuta di confessare. Solo che questo rifiuto: “Non lo so, sono forse io il guardiano di mio fratello?” diventa anche però drammaticamente il rifiuto di se stesso e della propria identità. Sono forse io il guardiano di mio fratello? Perché mio fratello non c’è più e Caino sta dicendo che lui ormai non è più il fratello di nessuno. Rifiuta il suo ruolo di fratello maggiore – qui dice il guardiano, ma sarebbe il custode del fratello minore – ma così manifesta la realtà. Rifiutando di essere il fratello di Abele, Caino non è più il fratello di nessuno. Caino quindi non è più nessuno, perché la sua identità era essere fratello di Abele.

E ora si comprende la domanda accusatoria e la rivelazione di quello che è avvenuto. “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra”.

Ecco la risposta di Caino: Disse Caino al Signore: “Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere”.

Caino si ritrova a dire non la verità su ciò che ha fatto, ma la verità di ciò che adesso è avvenuto a motivo di quello che lui ha fatto. Non è Dio che lo manda in giro ramingo, è lui che ormai non può che essere ramingo, perché la terra ormai è imbevuta del sangue di suo fratello ed è lui che ormai è in balia di chiunque lo incontri perché è lui che ha deciso di non voler essere fratello di nessuno.

Allora adesso il contadino stabile e sedentarizzato diventa nomade, proprio come Abele, solo che ora diventa nomade nella maledizione e chiunque lo incontrerà lo potrà uccidere. Alterati tutti i rapporti. Quello con la terra che è sterile e non dà più vita perché si è imbevuta del sangue del morto. Alterati i rapporti con i fratelli perché tutti lo vogliono uccidere. Alterati i rapporti con Dio perché lui deve fuggire lontano da Dio.

A questo punto Dio risponde in modo analogo a quando aveva dato i vestiti di pelle ad Adamo ed Eva, mettendo un segno su Caino così che non venga ucciso. Il segno però deve indicare che chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte. Allora guardate che questo segno è sì un segno che protegge la vita di Caino, ma è un segno che condanna Caino ad una vita che può persino essere peggio della morte. Perché Caino adesso rimane in vita e nessuno lo uccide, non perché lo amano, non perché rispettano la sua vita, ma solo perché hanno paura della vendetta.

Caino adesso è vivo solo perché gli altri hanno paura e pensano a se stessi, non perché lo amano. Caino è vivo solo perché gli altri pensano così di mettersi in salvo. La solitudine di Caino ormai è radicale e per poter uscire da quella solitudine, da quell’autodistruzione per cui Caino si è alzato e ha ucciso se stesso, per poter uscire anche da quel segno bisogna aspettare un altro segno. E questa volta sarà il segno definitivo, quello sì che davvero salva, il segno della croce, in cui si manifesta un diverso modo di essere fratello e in cui il fratello primogenito, il Signore Gesù, non uccide i fratelli, ma anzi dà la vita per loro, per amore loro e perché questi fratelli siano definitivamente salvi e salvi persino da quel segno di Caino che viene così definitivamente sostituito dal segno della croce.

Ma il Signore gli disse: “Però chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!”. Il Signore impose a Caino un segno, perché non lo colpisse chiunque l’avesse incontrato. Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden.

4 Commenti

  1. Molto chiaro e profondo. Molto arricchente. Se vedo bene e’ scritto da una donna…
    E’ necessario cercare di andare piu’ in profondita’ per non rimanere a quello che sapevo e ricordo tralasciando il “vero”. Grazie!

  2. Il racconto di Caino e Abele insieme alla parabola del figliol prodigo hanno sempre suscitato in me tantissime reazioni.
    Per tanti anni ho subito la preferenza di mia madre per mio fratello, quante lacrime ci ho versato. Poi piano piano, con infinita pazienza, Dio mi ha fatto capire che mia madre “preferiva” lui solo perché aveva più bisogno.
    Diventando poi mamma ho compreso che l’amore per ogni figlio è totale per ognuno, non è divisibile tra il numero dei figli che si hanno!
    La delusione, la rabbia, il senso di ingiustizia hanno abitato in me per moltissimi anni. Il cammino fatto con la Sdc, iniziato ormai vent’anni fa, mi ha fatto comprendere che in realtà io ero stata preferita dal Signore, ma essendo accecata dai miei sentimenti non vedevo oltre il mio naso.
    Ho cominciato a guardare mio fratello con occhi diversi. In me non c’era più rabbia ma il desiderio che lui imparasse a guardare la realtà come un dono.
    L’importante, gli ripetevo spesso, è che tu ci sia, i problemi si affrontano. Dio sceglie alcuni per arrivare a tutti, ma non preferisce nessuno più di un altro. Ama ognuno di noi, ma ognuno in modo diverso e questo ci porta a pensare che possa amare qualcuno piu di noi.

  3. Caro Don Michele, ti ringrazio per la pubblicazione di questo articolo. Il bisogno di amare ed essere amati è la ragione profonda che mi tiene legato a questa esperienza cristiana. La certezza che comunque se esito è perché qualcuno ancora punta su di me, si fida di me. Anche se mia madre non mi avesse amato, Tu lo avresti fatto.
    Ma la vita va vanti e le circostanze sembrano smentire anche questa ultima esigenza (piena di speranza? o disperata?), e si infiltra come un veleno il dubbio. Ma se, per questo che mi sta accadendo, soffro, soffro da morire, cosa significa? Forse che Tu non mi ami? o che forse proprio il Tu nella allucinata infinitezza del tempo e delle spazio è lontanissimo o che forse un Tu proprio non esiste! E’ il silenzio di Dio!
    Una volta Don Maurizio commentando il Getsemani disse che il silenzio di Dio è lo spazio della nostra libertà. Solo allora infatti Gesù comprese perché esisteva, comprese tutto il senso del suo mandato. Forse proprio allora mi vide, provò compassione e mi amò ed andò a morire in croce.
    Da allora vivo di quello sguardo e riesco a vivere.
    Un caro abbraccio

  4. Ho letto questo articolo, che non è nè semplice nè comprensibile alla 1° lettura. l’ho ripreso 4 volte, l’ho stampato su carta per le personali sottolineature. Alla fine penso di averne compreso il 35%. Lo riprenderò prossimamente. Così ho fatto con il testo consigliato alla mostra di Giobbe. Ora sto masticando le spiegazioni del card. Ravasi. L’impresa è ardua e lunga ma dà soddisfazioni interne. In definitiva sono soddisfatto di queste proposte che arricchiscono dentro e che ci aiutano a capire un tantino di più il nostro Creatore. Grazie di tutto.

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