Dio non toglie se non per ridare


Don Paolo Sottopietra – Fraternità e Missione

Qualche volta abbiamo la sensazione che la vita ci tolga qualcosa di irrinunciabile. In quei momenti proviamo un senso di ribellione e ci domandiamo: perché Dio lo permette? Perché mi chiede un sacrificio così grande?

Queste esperienze sono preziose, a patto che ci spingano a farci una domanda più profonda, che va oltre le nostre reazioni immediate. Dobbiamo chiederci: perché questa perdita mi fa soffrire così? A che cosa in realtà tengo veramente?

Dallo strappo che proviamo quando Dio ci chiede di staccarci da qualcosa a cui siamo legati, infatti, può iniziare un cammino verso un giudizio e una libertà nuovi.

Vorrei ricorrere a un’immagine. Nelle situazioni a cui ho accennato, noi siamo come un bambino che ha in mano un giocattolo ma lo tiene dalla parte sbagliata, perché non ha capito come si usa. Forse il bambino si è intestardito su una sua idea, forse è semplicemente troppo piccolo. Il papà allora si avvicina e afferra il gioco, per raddrizzarlo e insegnargli ad usarlo. Il bambino però si spaventa, teme che il papà glielo voglia rubare e si arrocca nel suo tentativo di farlo funzionare come vuole lui. Inizia così un contenzioso, in cui alle resistenze del bambino corrisponde la pazienza del papà. Arriva però un momento in cui il papà chiama il figlio per nome. Allora il bambino accetta di staccare gli occhi dall’oggetto che ha in mano e guarda suo padre in faccia. Solo in quel momento allenta la presa, lasciando ciò che stringeva. E subito si ritrova il gioco tra le mani, girato per il verso giusto. Ora finalmente comincia a capire e ne può godere. Nel dialogo con il padre, nel contatto dei loro sguardi, è avvenuta per il figlio la scoperta che ciò che gli sembrava un togliere era in realtà un dare.

Una partenza, una morte, un innamoramento a cui dobbiamo rinunciare, un tradimento subìto, un insuccesso, le conseguenze di un nostro errore o di un nostro peccato… Tutte queste circostanze possono diventare occasione per rialzare lo sguardo verso Colui che permette che accadano. Ciò non significa che prima non fossimo in dialogo con lui. Tuttavia, anche quando siamo convinti di vivere e di lavorare per lui, spesso la nostra dipendenza viva da lui passa in secondo piano e lo spazio del nostro cuore viene ingombrato dal nostro fare, dai nostri affetti, dai nostri pensieri.

Nella circostanza che ci ferisce o ci abbatte, siamo messi di nuovo di fronte a lui. Sentiamo di nuovo pronunciare il nostro nome e questo ci toglie la pretesa e la preoccupazione di governare da noi stessi la nostra vita. È lui che rigira nelle nostre mani quel rapporto, quel compito o quel progetto che ci sono tanto cari. Spesso ce li riconsegna subito e noi li vediamo in un’altra luce. Può darsi anche che Dio non ci restituisca ciò a cui ci ha chiesto di rinunciare, ma anche in questo caso ci dà qualcosa di più grande: una libertà più vera e soprattutto una nuova vicinanza a lui, che è già consolazione nel dolore dello strappo.

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