Egomania o Appartenenza?


Una “malattia spirituale” che ci riguarda tutti →

“IO” di Nicolò Fabi [per ascoltare il brano musicale clicca qui]

Non sarà mica l’ego l’unico nemico vero di questo universo?
Non sarà certo questo piccolo pronome il centro di ogni discorso?

Io che mi sveglio la mattina presto, io / Io che lavoro sempre tutto il giorno, io / Io sono quello che è nei miei panni / Io sono quello che ogni volta paga i danni / Io solo soffro io solo sono stanco / Io solo cerco di calmare il tuo tormento / Io che mia madre non mi ha mai capito / Io che mio padre non l’ho mai stimato / Io

Non sarà mica l’ego l’unico nemico vero di questo universo?
Non sarà certo questo piccolo pronome il centro di ogni discorso?

Tu non capisci la mia situazione / Tu non rispetti la mia condizione / Tu non ti sforzi non mi incoraggi / Non accompagni mai nessuno dei miei viaggi / Io non mi sento mai gratificato / Io non mi sento mai realizzato / Io sono sempre pronto a perdonare / Io sono sempre pronto a rinunciare / Io

Non sarà mica l’ego l’unico nemico vero di questo universo?
Non sarà certo questo piccolo pronome il centro di ogni discorso?

No, no, no, non è il mestiere mio / assomigliare a Dio / per quanto bella sia l’idea / sì, si chiama egomania / la nuova malattia / di questa società dell’io


Commento

“Questa canzone è un antidoto al demone della recriminazione continua e ossessiva che si alterna a un altro demone odioso chiamato vittimismo. Aiuta perchè svela in modo impietoso il vizio e ce lo rende orribile. Questa canzone è contenuta nell’album Ecco che emerge da un’atroce sofferenza personale nella vita del cantante, la perdita della piccola figlia per memingite pochi mesi prima. Uso spesso questa canzone per spiegare la radice profonda di moltissime sofferenze che infliggiamo agli altri, radice tutta compressa in questo pronome feroce: io. Il testo è capace di descrivere in modo fulminante l’egomania umana, quella che i Padri del Deserto chiamavano Filautia, l’amore disordinato di sé. Il peccato originale apparentemente difficile da teorizzare è ottimamente descritto dalle parole di Niccolò Fabi” [Padre Maurizio Botta – Cinque Passi]


“L’APPARTENENZA” di Giorgio Gaber [per ascoltare il brano musicale clicca qui]

L’appartenenza / non è lo sforzo di un civile stare insieme / non è il conforto di un normale voler bene / l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

L’appartenenza / non è un insieme casuale di persone / non è il consenso a un’apparente aggregazione / l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

Uomini / uomini del mio passato / che avete la misura del dovere / e il senso collettivo dell’amore / io non pretendo di sembrarvi amico / mi piace immaginare / la forza di un culto così antico / e questa strada non sarebbe disperata / se in ogni uomo ci fosse un po’ della mia vita / ma piano piano il mio destino / é andare sempre più verso me stesso / e non trovar nessuno.

L’appartenenza / non è lo sforzo di un civile stare insieme / non è il conforto di un normale voler bene / l’appartenenza / è avere gli altri dentro di sé.

L’appartenenza / è assai di più della salvezza personale / è la speranza di ogni uomo che sta male / e non gli basta esser civile. / E’ quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa / che in sé travolge ogni egoismo personale / con quell’aria più vitale che è davvero contagiosa.

Uomini / uomini del mio presente / non mi consola l’abitudine / a questa mia forzata solitudine / io non pretendo il mondo intero / vorrei soltanto un luogo un posto più sincero / dove magari un giorno molto presto / io finalmente possa dire questo è il mio posto / dove rinasca non so come e quando / il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo.

L’appartenenza / non è un insieme casuale di persone / non è il consenso a un’apparente aggregazione / l’appartenenza / è avere gli altri dentro di sé.

L’appartenenza / è un’esigenza che si avverte a poco a poco / si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo / è quella forza che prepara al grande salto decisivo / che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti / in cui ti senti ancora vivo.

Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi.


Commento

In un popolo sempre il genio illumina aspetti dell’esistenza, assicurando a tutti e a ciascuno una più matura coscienza delle evidenze ed esigenze elementari del cuore. L’appartenenza è un’evidenza naturale: se l’uomo non appartenesse a niente, sarebbe niente. Essa implica naturalmente il fatto che un io, che non c’era, adesso c’è. L’uomo non c’era, dunque è stato fatto da un Altro, così come il cosmo. Per questo l’appartenenza a Dio – il Mistero che fa tutte le cose – è la cosa più evidente che un uomo cosciente deve ammettere, pena il negare se stesso. Ma come si può “avere gli altri dentro di sé” – pare un miraggio – ? Il finale della canzone accenna l’alba di una risposta: “Sarei certo di cambiare la mia vita / se potessi cominciare / a dire noi”. Duemila anni fa è risuonato l’annuncio che Dio è diventato uno di noi – l’ebreo Gesù di Nazareth – per farci vivere bene. E’ l’amicizia con Lui a rendere l’uomo capace di realizzarsi nel profondo di una comunione, ciò che compie il desiderio che la genialità poetica di Gaber ha fissato in poche umanissime parole: “Sarei certo di cambiare la mia vita/ se potessi cominciare/ a dire noi”. Grazie. [Don Luigi Giussani]

1 Commento

  1. Proprio in questi giorni mi sorprendo a rispondere e a raccontare di me parlando non di me, o dicendo io, ma parlando al plurale, perché ormai dentro la maggioranza delle cose che vivo c’è anche lui. E quando accade sento dentro uno strano e meraviglioso contraccolpo. Leggendo questo testo ora mi chiedo: quanto sarebbe liberante e potente questo contraccolpo se la mia fede fosse più grande e più presente nel quotidiano e questo noi fosse composto non da me e lui, ma da me e Lui, Cristo.

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