Il dodicesimo cammello

Stefano Zamagni – economista e professore all’Università di Bologna e alla Johns Hopkins University 

C’è un cammelliere che sta per morire e decide di fare testamento. Lui ha tre figli, e scrive nel testamento che al primo figlio lascia la metà di tutti i suoi averi; al secondo figlio lascia un quarto; al terzo figlio lascia un sesto. Avrà avuto le sue ragioni per fare questa ripartizione. E muore. I figli, i tre fratelli, aprono il testamento e scoprono che il patrimonio del padre consisteva in 11 cammelli: tutto quello che il padre era riuscito ad accumulare nel corso di una vita lavorativa. E iniziano a litigare. Perché 11 non è divisibile per 2, farebbe cinque e mezzo; allora il primo figlio dice: «Datemene 6 di cammelli». E gli altri lo contestano: «Come 6? Hai avuto la fortuna di avere più di noi, accontentati di 5». 

Niente da fare, come succede nelle migliori famiglie i tre fratelli cominciano a litigare, dalle parole passano alle mani, poi dalle mani al pugnale; e si sarebbero scannati se per puro caso di lì non fosse passato un cammelliere. Che non conosceva i tre fratelli, e se ne andava per la sua direzione. Questi, avendo visto il trambusto, si fa raccontare cosa è successo. E a quel punto il cammelliere fa il gesto: e cioè dona – dona, senza essere obbligato – il suo cammello ai tre fratelli. A questo punto l’asse ereditario diventa di 12, 11 più uno fa 12. Fatti i conti: 12 diviso 2 fa 6; 12 diviso 4 fa 3; 12 diviso 6 fa 2. Totale: undici! A quel punto il cammelliere riprende il suo cammello e prosegue per la sua destinazione. 

Qual è il messaggio, anzi, quali sono i due messaggi della storia? Il primo: che chi pratica il dono non si impoverisce mai. Il cammelliere ha fatto il dono gratuito, e non ci ha perso, anzi, ci ha guadagnato perché ha ottenuto la riconoscenza dei tre fratelli. I quali, avendo visto che con quel gesto si sono risparmiati la vita, gli avranno manifestato la loro gratitudine. 

Il secondo messaggio è ancora più interessante. Ed è che le regole della giustizia – perché il testamento ha valore di legge – da sole non bastano a garantire la pace. I tre fratelli si sarebbero scannati, uccisi. E nella storia umana quante guerre sono state combattute in nome della giustizia? Tantissime. Quindi attenzione quando parlate di giustizia: la giustizia ci vuole ma non basta. Ma quando la giustizia si sposa con il dono, con il principio del dono, il risultato è ottenuto. Vedete? Alla fine della storia le regole della giustizia sono state rispettate, garantite, perché ognuno ha ottenuto quello che era stato scritto. Però si è evitato il conflitto tra fratelli. 

Ecco allora il punto in questione. Noi abbiamo bisogno di declinare il concetto di giustizia benevolente. Non basta la giustizia, dobbiamo puntare alla giustizia benevolente, cioè alla giustizia che vuole il bene. Perché se la giustizia non è finalizzata al bene cosa diventa? Giustizialismo. E sapete cos’è il giustizialismo? È pericoloso, è tagliare la testa, come i giacobini fecero durante la rivoluzione francese. 

Ecco perché oggi la vera sfida sul piano culturale, filosofico e anche politico è che non basta dire “giusto, giusto”. Perché voi potete avere una società giusta dove la gente si ammazza, oppure dove la gente viene ammazzata, come sappiamo dalla storia. I casi sono tantissimi. 

Noi dobbiamo mirare alla giustizia benevolente, cioè alla giustizia che procede di pari passo con il principio del bene. Perché quando la giustizia e il dono – cioè la carità – marciano assieme, allora si ha sia il benessere, sia la pace. S

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