Antonio Socci – Libero
Siamo sicuri di aver bisogno di un Nemico da odiare?
È una pulsione profonda del nostro animo che è smarrito e ferito dal male. Non a caso la parola “diavolo” viene dal greco “dia-bàllein” che significa separare, contrapporre. Infatti il diavolo vede tutti come nemici, mentre Cristo non considera nessuno come nemico, neanche chi lo sta uccidendo (ma questa “follia” è una cosa dell’altro mondo e ci tornerò dopo). Nell’incertezza della nostra solitudine (“chi sono io?”), il Nemico diventa la scorciatoia per darsi un surrogato di identità e uno scopo di vita.
Umberto Eco in “Costruire il nemico” scrive: “Pare che del nemico non si possa fare a meno. La figura del nemico non può essere abolita dai processi di civilizzazione. Il bisogno è connaturato anche all’uomo mite e amico della pace”. La cosa vale per l’individuo, per la società e perfino nella politica planetaria.
“Si veda” scriveva Eco “che cosa è accaduto agli Stati Uniti quando è scomparso l’Impero del Male e il grande nemico sovietico si è dissolto. Rischiavano il tracollo della loro identità sino a che Bin Laden, memore dei benefici ricevuti quando veniva aiutato contro l’Unione Sovietica, ha porto agli Stati Uniti la sua mano misericordiosa e ha fornito a Bush l’occasione di creare nuovi nemici rinsaldando il sentimento d’identità nazionale, e il suo potere. Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo”.
Così per ogni stagione – anche qua in Occidente – c’è un Nemico da odiare. In questo momento è Putin e ne fa le spese tutto quello che può essere associato a lui in quanto russo: da Dostoevskij agli atleti delle paralimpiadi, dai gatti ai libri, da Tarkovskij ai fotografi, forse presto toccherà pure all’insalata russa.
Come sia potuto accadere va capito, perché, dopo il crollo del comunismo, Putin era assai aperto all’Occidente (alla UE e perfino alla Nato): lo dimostra il Trattato di Pratica di Mare.
Poi qualcuno negli Usa ha ritenuto che non fosse conveniente l’incontro fra Russia ed Unione europea e che la Russia non dovesse tornare ad essere un protagonista globale. Così si è cominciata ad allargare la Nato ad Est (con relativi armamenti) e – come scrive l’Osservatore romano – “dopo gli anni della distensione, continuando ad applicare al nuovo mondo i vecchi schemi militari, prima è tornata la Guerra Fredda, poi la guerriglia e ora siamo alle soglie della guerra guerreggiata”.
Perciò la Russia è regredita al passato zarista/sovietico. Ci ritroviamo buttati indietro di 70 anni e, con l’elmetto in testa, dobbiamo stare attenti a non spegnere il cervello, rinunciando ad ogni riflessione critica per lasciare spazio solo alla guerra al Nemico.
In “1984”, di George Orwell, il Grande Fratello convocava tutti per i rituali “Due minuti di odio” collettivi e si ha la sensazione – anche in questi giorni – di essere convocati pure noi in liturgie analoghe durante le quali ogni distinguo e perfino ogni domanda rende sospetti di complicità occulta col Nemico dell’umanità (che poi, in questo caso, è colui che ci rifornisce di energia, da noi ben pagata, senza la quale sarebbe tutto spento: quindi un Nemico a intermittenza).
Che l’invasione dell’Ucraina sia un atto scellerato è certo. Ma una volta individuato Putin come il Cattivo ci si chiede dove sono i Buoni fra gli Stati occidentali. Forse le potenze dell’ovest sarebbero più credibili se riconoscessero che anche loro, negli ultimi trent’anni, hanno bombardato e invaso e che è l’ora di affermare un’altra logica.
Ma questo implicherebbe dei “mea culpa” e la necessità del dialogo anziché dello scontro. Così salterebbe tutta la narrazione sul Nemico e i governi occidentali non ci stanno.
Perciò domina il pensiero binario: bianco o nero, o di qua o di là. Purtroppo però bianca o nera è l’ideologia, non la realtà. Nel mondo dell’ideologia la ragione o il torto stanno da una parte sola. Invece nella realtà “gli errori non stanno da una parte sola”, come scriveva l’Osservatore romano.
È noto infatti che la Santa Sede continua a ripetere che la pace sarà possibile solo con il reciproco riconoscimento delle giuste esigenze di Kiev e di Mosca.
La Chiesa si sottrae alla logica dell’odio e del Nemico. Ha un’altra logica, non binaria, non da guerra fredda (né calda). Il Papa ripete che uomini e popoli non hanno bisogno di un Nemico, ma di misericordia e comprensione. Che vuol dire dialogo e consapevolezza che l’altro è un bene per me.
È vero pure nel caso specifico: Romano Prodi più volte ha ripetuto che l’Europa ha bisogno della Russia e la Russia ha bisogno dell’Europa.
In questo contesto l’Ucraina avrebbe tutto da guadagnare nel fare da ponte fra Ue e Russia (lo dimostra il gasdotto che le porta tanti introiti). Avrebbe tutto da guadagnare da questo incontro. Ci arriveremo, facendo tacere i cannoni, se si rifiuterà il “dia-bàllein”. Il dialogo e la comprensione reciproca convengono.
Perché abbiamo bisogno di un nemico? Per una questione di ego personale.
“io sono il migliore”, “io sono il più forte”, “io sono il più bello” “io sono il più bravo”… ma rispetto a chi? A un altro, che diventa automaticamente il mio nemico, anche se non lo conosco; ma solo per il fatto che esista è mio nemico perché potrebbe superarmi ed essere migliore di me.
E questo accade in tutte le sfere, in tutti gli strati sociali, in tutte le dimensioni. Dalla famiglia tra fratelli / sorelle, dalle amicizie, dalle piccole comunità, agli Stati e alle grande sfere.
Chi dice che il popolo occidentale sia meglio del popolo russo o il contrario? Ovviamente è un giudizio autoreferenziale, ognuno dice e dichiara di essere meglio dell’altro.
Ma chi – come ho letto non ricordo dove (è una domanda provocatoria, che fa riflettere) – tra i vari capi e presidenti di Stato, manderebbe il proprio figlio a morire al fronte?
Forse nessuno, perché alla fine tutti sanno che un conflitto è sempre sbagliato, e che mai nessuno è vincitore.
Che bisogno c’è di eliminare dal mondo culturale e sportivo tutto quello che proviene dalla Russia, o licenziare uomini da posizioni di prestigio (mi viene in mente il direttore di orchestra alla Scala) o vietare la partecipazione da eventi sportivi di atleti russi?
Sono tutti atti che alimentano inutilmente l’odio, e la guerra, ma non portano da nessuna parte, se non da quella sbagliata.
Non si dice “no alla guerra” fornendo le armi… è un controsenso, un ossimoro non accettabile.
L’unico modo per uscirne vincitori è accettare che esista anche l’altro, che non siamo i migliori, ma siamo “tra i tanti”. Che ci siamo ma non siamo da soli. Che possiamo dare tanto ma anche ricevere tanto.
Guardare negli occhi e non dall’alto in basso.
Che la nostra cultura è diversa dalle altre e possiamo arricchirci reciprocamente. Che in questo mondo c’è posto per tutti, e che tutti possiamo diventare migliori allargando i nostri orizzonti