Come crescere figli perdenti

Federico Pichetto – Il Sussidiario

C’è un’immagine che arriva direttamente dalla Copa America e che descrive in modo eloquente il tormentato passaggio generazionale di questo decennio. Sono trascorsi i tempi supplementari della partita tra Brasile e Uruguay, il risultato è sempre di parità e le due squadre sono chiamate ai calci di rigore. Marcelo Biesta, commissario tecnico della Celeste, indica quali giocatori proveranno ad andare a segno e ne stabilisce l’ordine, mentre nella metà campo brasiliana Dorival Junior non riesce a farsi largo tra i suoi ragazzi, chiusi in cerchio a decidere in autonomia chi scenderà in campo per la sfida decisiva. Addirittura Dorival prova ad alzare la mano per prendere la parola, ma viene bellamente ignorato dalla squadra. Questo episodio ricorda, servatis servandis, il caso delle studentesse venete che rifiutano di proferire parola alla prova orale dell’esame di Stato, adducendo come motivazione una presunta parzialità della commissaria di greco nella correzione e nella valutazione della seconda prova scritta.

In entrambi i casi, tra i tanti temi sollevati a commento di questi fatti dai media, c’è la grande questione del rifiuto dell’adulto come portatore di auctoritas, un rifiuto che accumuna i giovani brasiliani alle giovani italiane. È una questione generazionale. Non tanto perché i ragazzi rifiutino gli adulti – se ciò non succedesse si incrinerebbe quella spinta evolutiva che sta all’inizio di ogni cambio di generazione –, quanto perché episodi del genere testimoniano una sfiducia e una condanna generalizzata verso chi ha “distrutto il mondo”, “rubato il futuro”, “pensato solo a se stesso”. Ribolle di rabbia la gioventù occidentale che inquisisce chi ha bistrattato l’ambiente, negato diritti, costruito un sistema di welfare che – dal lavoro alle pensioni – appare senza dignità e disegnato solo per saziare i “vecchi” che lo hanno pensato.

Ma c’è qualcosa di più profondo in quest’aurea polemica. Infatti le studentesse venete sono tornate a casa e hanno rifatto la versione di greco con la mamma, i ragazzi brasiliani sono stati apertamente supportati dai genitori in alcune interviste successive. Può essere istruttivo, per chi crede che questa sia una generalizzazione, affacciarsi agli allenamenti o alle dinamiche di qualunque sport: perfino gli osannati genitori del nostro numero 1 del tennis mondiale hanno deciso che sul sito promozionale dell’ostello che gestiscono sia bene rimarcare che tutti i turisti che andranno in vacanza da loro potrebbero incontrare Jannik mentre si riposa e sta con gli amici.

Se due indizi fanno una prova, la miriade di puntini che collega sport e scuola, catechismo e festicciole tra ragazzini, racconta di una generazione prigioniera dei propri genitori, che tendono a trasmettere un senso di protezione assoluto e di sfiducia indiscriminata verso coloro che osano minare la stabilità del cucciolo al di fuori del branco. Si tratta di adulti che negano ai figli la cosa più importante, il rischio di un rapporto personale con un Tu.

È chiaro che pensare che tutti i genitori siano così sarebbe ideologico e violento, ma è una patologia dilagante che in tanti possiamo constatare da vicino. Ai figli è data la carta di credito, la casa dove far l’amore con il partner, la libera scelta su ogni questione del presente e del futuro. C’è una generazione di adulti che, per mascherare il proprio senso di inadeguatezza in campo educativo, ha deciso di trasformarsi in guardiano e garante della felicità dei ragazzi. Ma, così facendo, che cosa resta da conquistare? Che cosa resta da guadagnare? Che cosa c’è da trasgredire? Ci sono nuclei familiari in cui si danno i soldi per acquistare le canne, ce ne sono altri – di alto lignaggio – che li danno facendo finta di non capire che saranno utilizzati per attività al limite del lecito. Anche gli episodi di violenza sessuale che spesso balzano agli onori delle cronache raccontano famiglie che hanno scelto di non accorgersi di niente pur di mantenere l’immagine di persone che possono pensare a tutto. E non è raro che per i matrimoni sia la mamma o il papà a chiamare per prenotare la chiesa o per parlare con il sacerdote in vista del corso prematrimoniale.

È compito di sociologi e psicologi fornire strumenti di supporto e comprensione, ma è chiaro che c’è stata una rivoluzione: dai sessantottini che volevano rovesciare il sistema dei genitori ai ventiquattrini (chiamiamoli così in onore all’anno in cui siamo) che protestano per la guerra con in tasca la carta di credito del papà. Tutto questo porta ad una schizofrenia: adulti contestati a scuola o sui campi da gioco, ma essenziali in casa ad ogni festa o ad ogni anniversario. Dov’è il rischio? Dov’è l’avventura? E, soprattutto, che adulti diventeranno coloro che sono cresciuti pieni di fiori per ogni voto di maturità e colmi di astio per tutti coloro che li hanno contestati? Che concezione della democrazia coltiveranno? Che capacità di generare avranno? Come sarà la fede di queste persone? Ne avranno ancora bisogno? O penseranno che tutto è in mano alla loro famiglia? E come staranno di fronte alla morte, alla paura, all’ansia, alla testardaggine del reale? Difficile dirlo. Per ora quello che si può constatare è che il Brasile, alla fine, quei calci di rigore li ha persi.

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