Antonio Polito – Corriere della Sera
Ci affanniamo a cercare l’«ismo» giusto, cui attribuire questa ondata di violenza gratuita, proterva, perfino estetizzante, che sta sconvolgendo la nostra estate. È fascismo? È razzismo, machismo, culturismo? È odio, è rabbia? Per quale ragione ogni argine morale sembra cedere, e a Vicenza si picchia un anziano perché difende una ragazza, e a Colleferro si ammazza un giovane perché difende un amico, e a Caivano si uccide una sorella perché ama? Ma c’è forse un altro «ismo» che abbiamo trascurato, e che precede e spiega tutti gli altri, ed è il nichilismo. Quella specie di intimità con il nulla (nihil in latino) che si sta impadronendo un po’ alla volta di tanti giovani. Che svuota di valore le loro vite, e le spinge a ribellarsi a ogni regola, anche quelle più elementari di umanità, perché tanto non c’è nulla per cui valga la pena.
Il nichilismo, si sa, ha una lunga storia, filosofica e letteraria. Il suo avvento era stato profetizzato da Nietzsche, che aveva avvertito la «morte di Dio» e l’avvicinarsi della «catastrofe», consumata poi nella carneficina della Grande Guerra. L’aveva descritto Turgenev in Padri e figli, nella figura del giovane «che non presta fede a nessun principio, da qualsiasi rispetto quel principio sia circondato». L’aveva contrastato Dostoevskij, costruendo la grande figura tragica di Raskol’nikov, il giovane che uccide così, perché non sa che fare della propria vita, a che cosa dedicarla, e poi lo paga col tormento del pentimento. Forse oggi il nichilismo è anche più banale, come spesso accade al male. Ha perso la forza intellettuale di scagliarsi contro i valori, è meno ambizioso, ha spesso il volto di una «vita normale», ha scritto Julián Carrón. È un vuoto a perdere, assomiglia più a una lattina usata che a un’arma carica come la bomba che uccise lo zar Alessandro II, o la cintura esplosiva di chi si è fatto saltare in aria nelle vie delle città europee in segno di sprezzo per la vita.
Oggi il nichilismo si accontenta di riempire quelle menti svuotate di valori con qualche cosa che consenta loro di arrivare fino a fine giornata, che dia almeno un’apparenza lì dove non c’è più senso: che sia il culto del corpo dei due fratelli Bianchi di Colleferro (a proposito, quanto voyeurismo colpevole per quei tatuaggi, quei muscoli scolpiti, quanta oscena esaltazione del corpo maschile); o che sia il senso dell’onore familiare che ha fatto credere a Michele Gaglione di dover punire la sorella Maria Paola; o ancora la cultura predatoria di giovani maschi che si prendono il piacere sessuale con la forza, e puniscono le donne che ne rifiutano il possesso. Se il nuovo nichilismo è questo — assenza di valori — non ha neanche molto senso metterlo in relazione con la politica. La politica è infatti, e al contrario, esaltazione di ideali, anche quando sono sbagliati, o magari fanatici, ma pur sempre ideali. Tanto per dire Atreyu, l’eroe della Storia infinita cui la destra di Fratelli d’Italia dedica la sua festa annuale, nella trama del film è il nemico del Nulla, e si batte per distruggerlo. Le etichette hanno questo di pericoloso: alla prima pioggia si scollano. Anzi, la politica democratica può combattere il nulla. Ed è un peccato che i giovani ne siano stati tenuti così lontani, al punto da essere spinti a disprezzarla sempre più.
Se di fronte a casi di cronaca talmente efferati, e ripetuti, la buttiamo in politica, rischiamo di non vedere la vera emergenza che essi denunciano: un’emergenza educativa. Si sa che educazione è termine più ricco di istruzione. La sua radice etimologica allude alla necessità di «guidare» il giovane, di «tirar fuori», «estrarre» ciò che di buono c’è in lui. È un processo complesso, che richiede innanzitutto degli educatori, cioè delle persone disposte a rischiare, per farsi amare e rispettare. […]