Piatti da lavare

don Fabio Rosini – L’arte di ricominciare pp. 281-283

Uno dei più importanti momenti di rinascita della mia vita, quello che mi ha portato al sacerdozio – dopo una fase di amaro stallo nel tempo della mia formazione – nacque da una cosa piccola piccola. Stavo in un momento di crisi profonda, pensavo di aver frainteso tutto, avevo sgretolato il gusto della mia avventura E mi vedevo davanti vuoto. Qualche giorno prima avevamo fatto il punto con il rettore, e c’era il buio totale. 

Stavo lavando i piatti. Mi ero messo al lavandino da solo, mi portavano le montagne di piatti, siccome la lavapiatti non reggeva il ritmo dei numeri del refettorio, qualcuno si doveva immolare a lavarli anche a mano. Mi ero scelto quel servizio perché potevo stare solo. Ne avevo bisogno. Stavo di spalle a quelli che passavano, e potevo permettermi di piangere. Tanto li era tutto uno scorrere d’acqua. E quel giorno mi fermai un attimo. Avevo preso l’ennesimo piatto e mi venne di guardarlo. E pensai: che mi resta a me? cosa resta della mia vita? non capisco più il mio passato, e il mio futuro mi fa paura. E lo spirito Santo passo. Guardai il piatto e pensai: ho solo questo piatto da lavare. Io non sono altro. Posso solo lavare questo piatto. Lo lavai. Lo misi ad asciugare e ne presi un altro. E mi domandai: cos’è questo piatto? Un momento di esitazione, e venne la risposta: è un fratello che ci mangerà dentro. E pensai: non ho luce sul passato e ho terrore del futuro, ma ho un presente. Il mio presente è questo: lavare un piatto per un fratello. Lo posso fare bene. E tutto quello che ho. Qualcosa scattò dentro di me. Lavai quel piatto con cura. Poi un altro. Poi un altro ancora. Ero entrato nella realtà. 

Il giorno dopo tornai al mio posto per vedere se era ancora così luminoso lavare i piatti. Era così. E chiesi di poter continuare oltre il mio turno. Iniziai a fare le cose così. Con amore, facendole bene. Pulire il bagno in comune con l’altro seminarista, spazzare la stanza, studiare il corso che non mi attraeva, e tutti i singoli frammenti della realtà. Presi uno per uno. Piatto per piatto. Avevo scoperto la mia podestà.

Incominciai a provare una pace nuova, ad entrare nelle cose.Ero così povero che non avevo altro che il singolo istante, e non mi potevo permettere di fare lo schizzinoso, quello era. E ne ero sereno. Era un piatto da lavare per un fratello. Due anni dopo diventai prete, serenamente, tranquillamente. Lasciando che di piatto in piatto le cose mi portassero dove la provvidenza voleva. Di piatto in piatto sono arrivato fino ad oggi.

1 Commento

  1. Leggevo il frammento di Rosini e rileggerlo mi commuove sempre perché è vero, almeno per me che resto imperterrita attaccata al passato alcune volte e questo mi condiziona. Purtroppo crediamo che la vita sia sempre “domani” o che sia stata “ieri”, quando magari rimaniamo àncorati al passato, dimenticandoci che poi siamo chiamati a vivere ora, l’oggi.

    “E mi domandai: cos’è questo piatto? Un momento di esitazione, e venne la risposta: è un fratello che ci mangerà dentro. E pensai: non ho luce sul passato e ho terrore del futuro, ma ho un presente. Il mio presente è questo: lavare un piatto per un fratello.Lo posso fare bene. E’ tutto quello che ho.”

    Pulire un piatto è tutto quello che ho oggi e solo io posso decidere come farlo, se tormentandomi con la paura del futuro o con i rimorsi/rimpianti del passato, per capire i vari perché di ciò che mi è accaduto, oppure lavare quel piatto BENE, lavarlo come si deve…che poi in quel “piatto da lavare” (come scrive poi anche don Fabio) c’è ogni momento della nostra giornata: dall’alzarsi la mattina per andare a lavoro, al lavorare, al cucinare, allo studiare, all’andare a prendere mio figlio a scuola, allo stare con le persone…
    Ogni tanto penso a quanto tempo sprechiamo a pensare al “dopo”, invece di pensare a quello che dobbiamo fare ora e farlo come si deve, quante volte siamo insieme ad altre persone ma con la testa siamo altrove, pensiamo a quello che dobbiamo fare “dopo”, alla spesa che dovrò fare “dopo”, all’amico che dovrò incontrare “dopo”..
    E’ sempre un rincorrere un “dopo” che non diventa, di fatto, mai un “adesso”.

    E non vuol essere un discorso che cade nel “godetevi il momento”, perché non è questione di “godere”, ma è questione di “stare”. Stare per capire, stare per scoprire, stare perchè ora sono chiamato a fare quella determinata cosa.

    Ogni tanto, quando non mi va di fare qualcosa, mi pesa o faccio fatica a farla, o (soprattutto) quando sto facendo una cosa, ma in testa ho tutti gli altri 3000 problemi/questioni che dovrò affrontare poi, mi ritorna in mente una cosa che mi disse un mio amico, che diceva:
    “La questione è fare ogni cosa, come se ce la chiedesse qualcuno” e faceva quest’esempio: quando viene qualcuno da noi, che sia un nostro caro amico, nostra mamma, nostro papà, un professore, un datore di lavoro e ci chiede di fare qualcosa, noi ci impegniamo per farla bene, per farla come si deve, e perché lo facciamo? Perché ci teniamo che quel che ci è stato chiesto di fare riesca per il meglio, ma, soprattutto, ci teniamo anche che la persona che ce lo chiede, rimanga contenta e soddisfatta, a maggior ragione se è qualcuno a cui vogliamo bene, e concludeva: “Ecco, dovremmo fare ogni cosa come se ci chiedesse Qualcuno di farla, come se Qualcuno chiamasse noi per farla, perché solo noi possiamo farla”

    Percepite quanto sia rivoluzionario tutto questo? Di quanto, letteralmente, questo “sentirsi chiamati” in ogni cosa che facciamo sia rivoluzionario ai giorni d’oggi in cui siamo tutti frenetici nelle cose da fare e nessuno si ferma un attimo ad ascoltare?

    Ogni tanto penso a San Matteo (esattore delle tasse), venne chiamato mentre contava i soldi, san Paolo (che perseguitava i cristiani), venne chiamato mentre era sulla via di Damasco intento a chiedere al sommo sacerdote il permesso di condurre in catene uomini e donne cristiani, san Pietro (pescatore), venne chiamato mentre pescava…E potrei continuare…
    Sono stati chiamati attraverso quello che dovevano fare, attraverso quello che, la loro professione, il loro ruolo, li richiamava a fare. Questo “sentirci chiamati” in ogni cosa che facciamo, ci fa scoprire anche il nostro posto, quello per cui un Altro ci chiama, perché ci stiamo. Perché siamo lì, e non altrove con la testa o col cuore.

    Don fabio conclude poi in una maniera stupenda:
    “LASCIANDO CHE DI PIATTO IN PIATTO LE COSE MI PORTASSERO DOVE LA PROVVIDENZA VOLEVA. DI PIATTO IN PIATTO SONO ARRIVATO FINO AD OGGI.”
    Piatto dopo piatto, cioè giorno dopo giorno, quello che sono chiamato a fare oggi e quello che sarò chiamato a fare domani, mi porteranno a quello che sarò chiamato ad essere nella mia vita.

    Questa nuova prospettiva ti cambia tutto, e cambia noi.
    “Incominciai a provare una pace nuova, ad entrare nelle cose. Ero così povero che non avevo altro che il singolo istante, e non mi potevo permettere di fare lo schizzinoso, quello era. “

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