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  1. Cucinare è un gesto (dal latino gerere=portare) nel quale confluisce la mia storia: la cura e l’affetto di mia mamma, pieni del desiderio di gratificare, alcuni incontri con “pietanze” di cui mi è rimasta impressa la prima volta, diversi doni di persone che hanno ampliato la nostra tradizione familiare, già ricca per provenienze regionali diverse.
    Il frutto di questa storia è un quaderno, dove sono ordinate le ricette tramandate, con accanto il nome di chi me le ha portate e, talvolta, gli appunti con le correzioni dei ripetuti tentativi di approssimazione al sapore scolpito nella memoria. Quando, accingendomi a preparare, apro il quaderno, in casa mia sanno che accadrà qualcosa di buono.
    Mia figlia, che ha già conquistato l’autonomia per realizzare alcuni dolci tutta da sola, un giorno mi dice: “mamma, questo quaderno sarà la tua eredità per me”.
    Mi sono resa conto che, giorno dopo giorno, stavo silenziosamente contribuendo, come già mia madre aveva fatto con me, ad edificare la casa che mia figlia vuole essere: un posto ospitale, accogliente, generoso. Non abiterò quella casa, ma lei ha deciso che porterà un po’ di me con sé.
    L’aspetto per me più interessante è che non ho definito io quale pezzo di me lasciarle, ma è stata lei a scegliere cosa vuole ereditare, quale valore della mia esistenza lei desidera custodire e far fruttare.
    Quel momento ho intravisto un piccolo frammento dell’opera che Dio sta edificando in lei.
    Io metto a disposizione il mio materiale, Dio gli trova il posto nella costruzione cui collaboro. Come fa dire Claudel a Pietro di Crayon, grande costruttore di cattedrali: “Non alla pietra tocca fissare il suo posto,
 ma al Maestro dell’Opera che l’ha scelta”.

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