SEGNO DI DIO [Leonora Giovanazzi]
Comunque ho pensato che il tetto di Notre Dame se lo sognava di svolgere così bene il compito massimo che può avere un’opera architettonica, cioè commuovere il cuore degli uomini e portarlo addirittura alla preghiera. Non credo che da intatto quel tetto avrebbe saputo commuovere così il mondo intero fino a far cantare la gente per strada. Ho paura che solo bruciando anche noi possiamo far fruttare davvero le nostre vite. Allora tanto vale bruciare se finisci a essere solo una meta turistica.
UN POPOLO CHE PREGA [Marina Corradi – Avvenire]
Su Notre-Dame in fiamme era già sceso il buio. Sotto al cielo rosso dal riverbero del fuoco il profilo della Cattedrale era così maestoso eppure così impotente, davanti a ciò che sembrava il suo destino. L’area attorno all’Île de la Cité impazzita di sirene, di clacson, di folla che veniva su dal metrò a vedere coi suoi occhi ciò in cui non voleva credere. Sgomento, e timore che fosse un attentato: un gran caos tra le migliaia di persone accalcate, e ancora nell’aria l’eco del grido corale, al cedere della guglia più alta, quella già ricostruita nell’Ottocento, quella con la croce.
Poi, all’inizio magari a bassa voce, qualcuno in quella folla si è messo a pregare. Un piccolo gruppo forse, quasi timidamente nel frastuono; e però spinto da un’urgenza interiore, da una domanda impellente. La Chiesa Madre sembrava agonizzare: e, come al capezzale di una persona cara moribonda, qualcuno, d’istinto, si è messo a pregare. Le immagini dei video della tarda sera di lunedì testimoniano che i primi crocchi riunivano fedeli e gente che si trovava lì accanto per caso. Mentre i credenti cominciavano a recitare l’Ave Maria, il volto fisso al fuoco, altri interdetti li guardavano, come non abituati a quel gesto. Qualcuno se ne restava zitto, qualcuno invece, lo si vede nei video dal movimento incerto delle labbra, cercava di ripetere parole che a stento ricordava. Altri, sentendo l’Ave Maria, si avvicinavano, commossi si univano al coro.
E chi ricorda com’è Parigi abitualmente – frenetica, brusca, disattenta – davanti a quelle immagini è rimasto meravigliato: incredibile, tanti parigini in strada a pregare. Come avvertissero in quella mole quasi millenaria di pietra il nucleo di una parte di sé, e una comune origine. Notre- Dame: Nostra Signora, Nostra Madre. Le fiamme continuavano ad alzarsi sopra il tetto, fameliche, decise a incenerire ogni cosa. Otto secoli di storia, e il lavoro infinito delle mani di migliaia di oscuri artigiani e carpentieri, dell’antico popolo di Parigi ( perché le cattedrali innalzate nel Medio Evo e continuate poi come cantiere di secoli erano fatte con le mani di un popolo). Qualcuno sosteneva: crollerà tutta, il fuoco non le darà scampo.
Ma intanto, con la velocità consentita dai social, dalle chiese e anche dalle periferie altri fedeli si organizzavano e convenivano all’Île de la Cité. Nei video questi secondi gruppi appaiono più omogenei e sicuri, intonano canti sacri che conoscono bene; recitano compatti, lo sguardo fisso alle fiamme, « Je vous salue, Marie… ». Molti si inginocchiano. Molti hanno le lacrime agli occhi. E, quanti, sono ragazzi. Non ti saresti aspettato di vedere questa gente in preghiera per strada, in una metropoli secolarizzata come la capitale francese.
Ma questa notte sono venuti, e ti commuove riconoscere in loro un popolo cristiano. (Avevano forse queste stesse facce, occhi azzurri, giovani barbe brune, gli artigiani che costruirono la cattedrale?) Vanno avanti a pregare, a domandare che Notre-Dame regga la furia del fuoco. Nel cuore dolore, e angoscia – negli occhi quella croce sulla guglia, caduta nel vuoto. È notte fonda, quando le fiamme lentamente cominciano a cedere. Viene annunciato che la struttura portante sembra salva: la poderosa madre di pietra ha tenuto. E chi ascolta da lontano, da tutto il mondo, e rivede volti di chi recitava l’Ave Maria sulla Senna, pensa che, certo, i pompieri hanno combattuto aspramente: ma, anche, che quelle preghiere sono state accolte. Che Dio le ha ascoltate. All’alba, nel cuore della città non c’è un cumulo fumante di macerie, come poteva essere, ma Notre-Dame: squarciata, il tetto distrutto, i marmi anneriti dal fumo, e tuttavia in piedi. Dentro, l’altare e la croce sono intatti.
C’è chi fra i credenti, in questo momento amaro per la Chiesa, vede nella cattedrale in fiamme, nella croce che precipita, un annuncio di dolore, o di castigo. Certo è un’immagine che lascia sgomenti, e non si dimentica. E però Notre-Dame, cattedrale mariana, è stata sottratta alle fiamme all’alba del 16 aprile, festa di Bernadette di Lourdes. E anche questo sembra un segno, e una strada. Nello smarrimento più grande i cristiani, da sempre, si affidano a Maria. Come figli alla madre. Come quelle centinaia di uomini e donne lungo la Senna, a pregare. Fino a quando l’alba si è alzata, e il fuoco, come un assediante respinto, si è arreso.
SIAMO FATTI PER COSTRUIRE CATTEDRALI [Luca Doninelli – Rivista Tracce]
Per un’intera giornata, il 16 aprile 2019, nel mondo non si è parlato d’altro che di una chiesa. Da quanto tempo non succedeva? Credenti, non credenti, gente di tutte le confessioni o di nessuna confessione. Per un giorno, il mondo è stato tutto lì, col naso all’aria, un po’ sgomento e da principio senza parole, a guardare quelle fiamme divorare il tetto di qualcosa che non doveva, che non poteva bruciare. Nostra Signora di Parigi. A differenza delle Torri Gemelle, lei non può non esserci, niente può sostituirla, nessun edificio può essere messo al suo posto, e nemmeno uno spazio vuoto: ci può essere solo lei.
Poco importa se uno ci mette piede o no, ma se crolla Nostra Signora di Parigi, che ne sarà di noi? Che ne sarà di noi? La parte positivista che c’è in noi ci rassicura: già sappiamo che Notre Dame risorgerà, tante cospicue offerte sono già state fatte e tante ce ne saranno. La Francia, l’Europa, la cristianità non possono perdere – così ho sentito dire – questo simbolo centrale, definitivo. Ma un po’ di sgomento resta, le rassicurazioni valgono fino a un certo punto: quelle fiamme hanno spalancato un pensiero forse irrazionale, che sale da chissà dove fino alle labbra, e ci fa dire: tutto, ma non questo.
Per tanto tempo abbiamo parlato del “tempo delle cattedrali”, in riferimento a un pezzo di Medioevo nel quale fu forgiata l’idea stessa di “civiltà cristiana”: ora, all’improvviso, scopriamo che secoli di incredulità non hanno cancellato quel tempo, che quel tempo in qualche modo è ancora qui, che sotto la coltre dello scetticismo e del nichilismo, e sotto la barbarie alimentata dal rancore verso chi ci promise magnifiche sorti e progressive, sotto il civismo usurato, brucia ancora in noi la nostalgia di quell’epoca. Nella cinica e amara constatazione che non siamo più costruttori di cattedrali scopriamo un filo di bugia, un sospetto si desta: sarà poi così vero che non lo siamo più?
Il rogo visto dalle rive della SennaQuello che è accaduto a Parigi mi obbliga a pensare il rapporto tra il cristianesimo e l’umano diversamente dalla cultura scettica nella quale siamo immersi. Perché noi ci siamo veramente immersi. Questa cultura non ci dice che Dio non esiste, che la fede è un sogno – queste sono solo le derive estreme. La sua vera forza sta nel persuaderci che la fede è qualcosa che, per così dire, si sovrappone all’umano. Se così è, allora possiamo dire che l’uomo come tale non è un costruttore di cattedrali, che i costruttori di cattedrali furono uomini speciali, animati da una fede molto forte, quelli che ci piace definire folli di Dio (con l’accento su “folli”, non su Dio), gente insomma psicologicamente molto carica, sicuramente geniale, capace di concepire sogni enormi, smisurati come le cattedrali romaniche e gotiche.
Noi la pensiamo così. In fondo in fondo, la pensiamo così. Erano altra gente, pensiamo, e ci dispiace un po’ di non avere più quell’entusiasmo, diciamo pure quella fede, quell’ingenua irrazionalità che spingeva quegli uomini a mettere mano a simili imprese.
Noi pensiamo che la fede, che il cristianesimo sia qualcosa che si sovrappone all’umano, un surplus per quanto splendido, ma comunque qualcosa che normalmente non esiste, che non fa parte della vita come essa è nella normalità dei giorni. Prima c’è la normalità umana, pensiamo, poi arriva qualcosa di eccezionale che opera, senza dubbio, molti mutamenti.
Quello che ci è difficile pensare è che il cristianesimo sia quell’eccezionale che rivela l’umano, che lo fonda: un’eccezionalità che non si sovrappone ma, anzi, sta alla base, all’origine dell’umano. Quello che ci è difficile pensare è che noi stessi, ciascuno di noi è – nella sua normalità di ogni giorno e di ogni minuto – il punto terminale di un’azione eccezionale, che ci crea, che ci strappa dal nulla uno a uno.
E se così fosse? Se così fosse, dovremmo dire che costruire cattedrali è l’espressione della natura semplice, quotidiana dell’uomo così come solo Cristo lo rivela, e che non nega nulla di ciò che l’uomo è, anzi lo libera, lo rende finalmente sé stesso: pensiamo solo a quale capolavoro di bellezza, scienza, di conoscenza, di arte, di poesia, di musica, di armonia sono le grandi cattedrali. Che capolavoro di capacità costruttiva, di ardore immaginativo ma anche di matematica. Se Notre Dame non è crollata, lo si deve anche alla sapienza con cui era stato strutturato il suo tetto.
Lo sgomento che ha percosso il mondo davanti a quelle fiamme ha rivelato quel filo di nostalgia per qualcosa che non tanto i “cristiani” o i “cattolici” hanno smarrito, ma l’uomo come tale. E, al fondo di noi, abbiamo sentito – come racconta Proust – che qualcosa saliva dalla profondità del tempo, che quel costruttore di cattedrali non se n’era veramente andato dal nostro cuore, perché costruire cattedrali è l’opera essenziale dell’uomo, qualunque cosa faccia, dovunque vada, qualunque deriva prendano i suoi pensieri e le sue azioni. Perché costruire cattedrali è la risposta compiuta dell’uomo alla consapevolezza piena della sua esistenza.
LA NOSTRA “IDENTITA’ CRISTIANA” [Rivista TEMPI]
«Il fatto è però, come si sa, che queste due parole, “identità cristiana”, costituiscono un non dicibile per il discorso pubblico dell’Europa ufficiale», scrive così oggi nell’editoriale di prima pagina sul Corriere della Sera Ernesto Galli della Loggia – Le radici dell’Europa riscoperte (tardi).
Lo storico e politologo prende spunto dai commenti del presidente Emmanuel Macron e del leader della sinistra francese Jean-Luc Mélenchon dopo l’incendio della cattedrale di Notre-Dame. Parole accorate, in cui si fa riferimento al grande valore per il paese della chiesa parigina («Era una parte di noi… del nostro destino»; «la nostra cattedrale comune, il vascello, la navata che tutti ci porta sui flutti del tempo»). Parole condivisibili, dice Galli della Loggia, che però pongono due «non trascurabili questioni»:
«Primo: l’insieme delle considerazioni e affermazioni suddette e mille altre analoghe ascoltate e lette in questi giorni non alludono forse – e neppure troppo velatamente, direi anzi con grande passione argomentativa – all’esistenza di una cosa che si chiama identità? Secondo: tale identità non si rivela forse a chiare lettere essere un’identità cristiana?»
Perché di questo non si parla? Che cosa impedisce, una volta espresso lo sconcerto per il rogo, una volta venuto alla luce che quella cattedrale è un simbolo che unisce le nostre vite e, addirittura, il nostro «destino», di riconoscere che quel “quid” è un quid «cristiano»? Sul «mainstream politico-culturale del nostro continente», sulla «politica», sugli «intellettuali che contano», sui «media» – scrive il politologo – grava «l’interdetto del Politicamente Corretto».
«Non per nulla quando una quindicina di anni fa, nella premessa a un progetto di Costituzione della Ue molti proposero di menzionare tra le radici spirituali della nuova entità che si voleva fondare, accanto al retaggio greco-romano e all’Illuminismo, anche le «radici cristiane», si assistette a una vera levata di scudi. Invocando l’imprescindibile spirito laico, la complessità della storia non racchiudibile in formule, e mille altri motivi, fioccarono dubbi, cavilli e obiezioni di ogni tipo. […] Sostenuta da una vasta opinione di colti, l’assemblea dei costituenti decretò che l’Europa non aveva radici storico-culturali (o non poteva dire di averne), e che già solo evocare la dimensione dell’identità era qualcosa di non inclusivo, tendenzialmente razzista; pensare addirittura di accennarne nella Costituzione una pretesa irricevibile».
Ecco un bell’esempio di distacco delle élite dal popolo. Un bell’esempio di «conformismo diffuso» e «irenismo fondato sull’automortificazione».
«L’incendio di Notre-Dame ha funzionato però da detonatore del deposito di materiale emotivo silenziosamente accumulatosi per anni in seguito alle centinaia di morti e feriti prodotti dagli attentati islamisti, alle decapitazioni e agli altri orrori dell’Isis. Non c’è nulla come la percezione prolungata della presenza del pericolo e di un nemico per rendere coscienti della propria identità e per sentire il bisogno di manifestarla. Certo, le fiamme di Parigi sono state dovute a un incidente, ma è bastata la minaccia di vedere in cenere una delle icone della cristianità del continente perché in una vasta parte dell’opinione pubblica europea si verificasse una reazione al di là di ogni tradizionale divisione politica o confessionale».
È come se l’autocoscienza dell’uomo europeo si sia d’un tratto rivelata. Come se un fiume carsico che attraversa le nostre società sia tornato in superficie, oltre la coltre del politicamente corretto, oltre la coltre dei tentativi dei media di nascondere, occultare, sopire quel che duemila anni di storia ci hanno insegnato a essere. «Siamo questa cosa qui, questo luogo, anche questa chiesa, e non siamo disposti a rinnegare ciò che siamo».
IL DIAVOLO NELLA CATTEDRALE [Berlicche]
Gabriele guardava la fila chiassosa snodarsi atttraverso la piazza. Milioni di pixel al secondo si coloravano, annidati in memorie digitali, delle pietre e delle vetrate della cattedrale. Sospirò.
“Che spettacolo, eh?”
Gabriele si voltò verso la coppia alle sue spalle. Un passante qualunque di vedute un po’ larghe non vi avrebbe scorto niente di strano. Era Parigi, dopotutto, e quindi certi abbinamenti, che altrove avrebbero scandalizzato o fatto alzare qualche sopracciglio, qui erano accolti nell’indifferenza. Esterna, quantomeno.
Gabriele non si lasciava certo impressionare dall’apparenza di peccato. Soprattutto perché sapeva che l’affettata differenza di età, la perversa disinibita bellezza non erano niente di male. Erano solo illusioni.
Il male vero erano coloro che a quell’illusione davano vita. Un male tale che, a conoscerlo, i turisti policromi che sciamavano sul selicato si sarebbbero dispersi come un branco di gazzelle attaccato dai leoni. Con la differenza che nessun leone era mai stato così pericoloso e maligno. Quelli erano predatori che del mimetismo avevano fatto un’arte. Erano le loro prede a cercarle, inconsapevoli. I demoni, d’altra parte, non sono forse menzogna?
In altri tempi Gabriele aveva quasi letteralmente incrociato le lame con quella coppia di esseri. Ma questo era il tempo della tregua, il tempo dell’uomo. Un’era in cui, per qualche motivo, persino il male assoluto era libero di scorrazzare sulla terra. Così si limitò a un asciutto “Dubito che gustiamo le stesse cose allo stesso modo”.
Il più giovane dei due nuovi arrivati ridacchiò. L’altro gli rivolse un’occhiata fulminante, e quello tacque immediatamente. Una cartaccia, ai suoi piedi, prese fuoco spontaneamente.
Il più anziano fece un passo avanti, sporgendo la rugosa testa impomatata e strizzando gli occhi verso Gabriele. “Oh, di questo sono consapevole, mio angelico collega. Quello che io trovo meraviglioso è probabilmente la stessa cosa che a te dà sui nervi.” Agitò la mano come una farfalla artritica. “Tutta questa pomposità, questo sforzo, questo sfarzo, tutto l’impegno di quei poveretti dei tuoi preti e cosa ottieni? Milioni di turisti.”
Gabriele taceva, seguendo con lo sguardo quell’ometto dai vestiti sgargianti e troppo profumati che gli girava attorno sibilando le sue tesi.
“Non fedeli. Non devoti. Non onesti cercatori di – poveretti – bellezza. No no no. Turisti. Che manco ammirano davvero ciò che stanno visitando. Troppo occupati a fare foto e filmini che non rivedranno mai. Gente che, anche se guardasse davvero ciò che sta loro di fronte, non capirebbe.”
Si voltò verso la coda di coloro che premevano per entrare nella cattedrale. “Guardali. Li vedi anche tu, no? Forse uno su dieci si ricorda cosa hai detto quella volta…”
“Je vous salue, Marie” rispose automaticamente Gabriele.
“Esattamente! Metà non sa neanche che quella Marie è la Notre Dame autentica,” accennò con il mento barbuto alla chiesa “non quella specie di scongiuro rivolto verso l’alto”. Guardò verso le guglie. “Ne soffro anch’io, non credere. Che ignoranti. Lo sai che lassù ci sono anche la statua mia e sua? Abbiamo posato personalmente, già. E quelli credono siano tutte fantasie. Cartoni animati, bah.”
Si avvicinò con aria di cospiratore. “Dimmi, non pensi anche tu che sarebbe molto meglio se tutto questo potesse cessare? Non pensi, nel profondo, che una simile reiterata profanazione, un simile sacrilegio continuato dovrebbe essere cancellato dalla faccia del mondo?”
“No”, rispose Gabriele.
“Eh eh”, disse il vecchio, dandogli di gomito. Al contatto si sprigionò una breve scia di scintille. “Su, a me non la conti. Da quanti millenni ci conosciamo? In questo istante stai friggendo perché vorresti sguainare quella tue bella spada lucente e fare un po’ di pulizia sommaria, dico bene? Guarda, se vuoi, ricciolino mio, a me non fa problema.”
“Gngn”, fece Gabriele, trattenendosi visibilmente.
“Io credo però che le nostre posizioni si potrebbero conciliare. Potremmo trovare un accordo. Lo sai che, a differenza vostra, noi siamo sempre disposti al compromesso. Posso avanzare una proposta? Ce ne occupiamo noi. Lascia fare a me. Rimuoviamo l’ecomostro. Voi ritrovate la purezza della fede, il che va bene anche a noi, in fondo. Parigi alla prova, molto simbolico. Che dici, ci stai?”
Piccoli fulmini azzurrini saettarono tra i capelli di Gabriele. “Neanche per… uh ,scusa, una chiamata.”
Si voltò, portandosi la mano all’orecchio. “Sì, che c’è?” Silenzio. “Come?” Altro silenzio, più lungo. Sospirò, cosa straordinaria dato che non respirava affatto. “Ho capito, eseguo.”
Gabriele si girò verso l’improbabile coppia. I fulmini erano spariti, e appariva stranamente pensoso. “D’accordo”, disse.
“Come, d’accordo?” esclamò stupito l’anziano demone.
“Da lassù hanno approvato la tua proposta. Due condizioni: nessuno deve morire, e tutto deve essere limitato alla cattedrale.”
“Uau. Non credevo davvero…”
“Non lo credevo neanch’io.” Guardò i due come se solo con gli occhi potesse ributtarli nell’inferno dal quale arrivavano. “Come pensate di agire?””
“Oh, lascia fare a noi”, sogghignò il satanico vecchio. “Siamo esperti nel ramo.”
Si ritrovarono che albeggiava, mentre i lampeggianti disegnavano ombre grottesche sugli edifici intorno. L’odore di bruciato aleggiava su tutto. Il giovane demone sembrava imbarazzato. Il vecchio demone era furioso. Sbuffi di fumo salivano da dove batteva il piede con irritazione, con un curioso rumore come di zoccoli contro il selciato. “Lo sapevo. Lo sapevo. Non ci si può fidare di voi lassù. Mi avete imbrogliato.”
Gabriele apparva invece assai più rilassato. “Cosa intendi, antico serpente? Hai avuto quello che volevi, la cattedrale è bruciata”.
“Bruciata? Quattro vecchie assi, un po’ di fumo e poco arrosto. Cosa intendo? Li hai visti, quelli? A pregare? Pregare! Non credevo ce ne fossero tanti che ancora sapevano farlo in tutta la Francia, figurarsi a Parigi. Gente che non metteva piede in chiesa da decenni, la loro pratica nei nostri archivi con un dito di polvere sopra e il timbro “approvato”, che recitano inginocchiati l’Ave Maria”. Sputò. “Ecco, mi fai persino bestemmiare”.
Gabriele si guardò intorno, sorridendo. “Sembra che, nell’istante in cui lo stavano perdendo, abbiano riscoperto qualcosa di prezioso che davano per scontato”.
“Non finisce qui”, sibilò il vecchio, e si voltò per andarsene.
“Oh, lo so bene, gli gridò dietro Gabriele. “Ma tranquillo, non manca molto.”
La coppia demoniaca si allontanò. Quando furono distanti, il più giovane lo chiamò. “Zio, zio, è stato un disastro!” Ma il diavolo più anziano proruppe in una risata satanica. “Sei proprio un allocco. Ormai i trucchetti del Nemico che sta lassù li conosco bene. Sa che eccelliamo nella distruzione, e ne approfitta per metterci del suo, quei suoi miracoletti così casuali, quei segni con la sua firma fatti per chi li vuole vedere. Ma io non miravo per niente a distruggere la cattedrale. Non sono ingenuo, non pensavo certo di poterla eliminare con il fuoco.”
“Come no?” fece l’altro stupito.
“No”, rispose il demone fregandosi le mani “quella a cui miravo è sempre stata la ricostruzione“.
Non sono stata agli esercizi di CL di Rimini, ma prendo in prestito il titolo “cosa regge l’urto del tempo?” quando arrivano via via le immagini e le note sempre più tragiche di quanto accadeva a Notre Dame di Parigi, pregando, (mentre preparavo la cena) che nessuno rimanesse vittima di quell’immenso rogo, pensavo a quel desiderio così giusto e vero di contrastare” l’urto del tempo” che smog piogge acide ecc. aveva causato e che il restauro voleva curare, e mi veniva da paragonare questo alla mia fede. Com’è lo stato della mia fede? Ha bisogno di un restauro? Sta crollando sotto l’urto delle fiamme e del tempo? Basterà solo restaurare qualcosa che mi accompagna dal giorno del mio battesimo? Poi guardando le immagini e togliendo l’audio (e tutte le inutili parole che domani saranno dimenticate) per tenere nella mente e nel cuore solo i canti e le preghiere delle persone accorse lì e che sfidavano la disperazione e la rassegnazione al nulla che tale visione produce, riflettevo che ciò che regge l’urto del tempo non è un restauro che vada a ricostruire le parti usurate o ridonare il colore ad amicizie segnate dalla patina del tempo, non bisogna fermarsi difronte allo scandalo dell’umano (qui sembrerebbe nato da una imperizia su un impalcatura) ma in un certo senso desiderare che quel fuoco che ha incendiato il cuore in un momento preciso, con volti precisi, torni a riprendere vigore ora ed in ogni secondo successivo al primo. Più tardi arriva la notizia che la struttura, malgrado la devastazione del fuoco ha tenuto, e questo parla a me ed alla mia fede, mi indica che la Chiesa malgrado tutte le difficoltà che potrà mai vivere (é fatta da uomini) non vedrà mai fine, ed è lei che continua nel tempo l’opera di Cristo. Ed in questo la Notre Dame, la Nostra Signora, sua madre, in questa occasione a Parigi ha paradossalmente offerto se stessa per indicare ciò che regge l’urto del tempo, ciò che non passa mai : Cristo presente . Ad ognuno la sfida di riconoscerlo nella modalità con cui lui stesso ha deciso di rivelarsi a ciascuno, e quindi riconoscerlo, e rimanere fedeli a quelle persone e a quel luogo che è stato l’origine di quello sguardo che ci ha cambiati.