La mostra sarà allestita dal 20 al 26 maggio nella sala Benedetto XVI
Il problema del male e della sofferenza innocente ha sempre interrogato l’essere umano.Ma negli ultimi tre secoli questo problema e diventato domanda sulla bontà e sull’esistenza stessa di Dio. Dal terremoto di Lisbona nel 1755 fino ai più recenti attentati terroristici, senza dimenticare i campi di concentramento del secolo XX, i grandi incidenti aerei, i disastri naturali o la sofferenza dei bambini nelle guerre è scaturita una domanda: come mai con Dio buono può permettere questo?
Il libro biblico di Giobbe ripropone il problema della sofferenza in un modo molto efficace e attuale, come si vede dal fatto che è una delle opere più riprese dalla letteratura moderna. La mostra che vi presentiamo – “Giobbe e l’enigma della sofferenza” – presenta il grido di Giobbe in dialogo col grido dei nostri contemporanei fino ad arrivare a quella domanda ardita che l’uomo di US [e l’uomo moderno] rivolge a Dio.
La risposta divina non è stata una spiegazione, ma una presenza buona.Quando, verso la fine del libro, compare Dio, non fornisce nessuna risposta alle domande di Giobbe. Lo mette davanti allo spettacolo della creazione che rimanda a una presenza creatrice che lui aveva dato per scontata. “Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto”, conclude Giobbe. Adesso ha un Tu a cui rivolgere le sue domande sul dolore.
Con Gesù, volto concreto della misericordia del padre, è entrata nella storia una presenza buona che ci permette di guardare in faccia le nostre sofferenze nell’orizzonte delle sofferenze assunte dal figlio di Dio. Non è una spiegazione, ma una presenza.
Ancora oggi ci imbattiamo con delle persone che vivono la loro malattia con una serenità che ci interroga. “Come fanno a vivere così?”Quando ci avviciniamo a loro scopriamo che vivono in un dialogo intenso col mistero buono che li ha raggiunti in una storia particolare. Al di fuori di questa storia particolare, che veicola la Chiesa, la ragione dell’uomo, davanti all’enigma del dolore, è abbandonata a una solitudine spaventosa.
“L’incontro con Cristo, il lasciarsi afferrare e guidare [da lui] dal suo amore allarga l’orizzonte dell’esistenza, le dona una speranza solida che non delude. La fede non è un rifugio per gente senza coraggio, ma la dilatazione della vita. La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino. All’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta in una Presenza che lo accompagna” [Lumen Fidei Benedetto XVI e Francesco]
“Se io sono certo di questa Presenzache invade la vita, posso affrontare qualsiasi circostanza, qualsiasi ferita, qualsiasi obiezione, qualsiasi contraccolpo, qualsiasi attacco, perché tutto questo mi spalanca ad aspettare la modalità con cui il Mistero [Dio] si farà vivo per suggerirmi la risposta – per accompagnarmi a entrare perfino nel buio – secondo un disegno che non è il mio”. [Carron]
Caro Don Michele,
ti ringraziamo dell’opportunità che ci hai dato di incontrare il Dott. Melazzini.
Abbiamo anche visto la presentazione della mostra dedicata a Giobbe fatta al Meeting di Rimini dove ci hanno molto colpito gli interventi di Carron e del Prof. Natoli.
L’esperienza della sofferenza ci ha ultimamente toccato da vicino ed ascoltare quello che è stato detto sia ieri sera e sia nella presentazione della mostra ci invita ad avere quello guardo di speranza che emergeva nelle parole e negli occhi di Melazzini.