Don Paolo Sottopietra – Fraternità e Missione
Mi sono spesso domandato: viene prima la comunione o l’amicizia?Quale delle due è più grande?
Se penso alla comunione, si affaccia in me l’immagine di una grande catena montuosa. Mi sono rimaste impresse le Alpi viste dall’alto, innevate, che qualche volta mi è capitato di sorvolare in una tersa giornata d’inverno, pochi minuti di straordinaria bellezza. Le ombre, rese più fitte dalla luce abbagliante, affilano i contorni di ogni singola sporgenza. Migliaia di picchi e di creste si alternano ad avvallamenti e dirupi. Ma appena sollevi di poco lo sguardo, ecco di nuovo la catena, un tutt’uno saldo e compatto che si estende a perdita d’occhio, magnifica. Quei rilievi, tutti diversi tra loro, si appartengono reciprocamente e, anche se due punte distano centinaia di chilometri l’una dall’altra, partecipano tuttavia di un insieme compatto, che ha un nome solo.
L’amicizia mi sembra paragonabile all’ascensione di un alpinista verso un’alta cima. Un’esperienza unica e affascinante, che lo tiene concentrato per ore sui suoi passi, lo porta a contatto con la roccia o il ghiaccio, nel chiuso di un canalone o con le spalle nel vuoto. L’imponenza delle pareti che affronta gli toglie a volte ogni altra visuale, spesso il suo sguardo è semplicemente rivolto in alto, verso l’appiglio successivo, verso il cielo. Tutto il resto, in quei momenti, perde importanza, sembra quasi non esistere. Arrivato in vetta, però, uno sconfinato panorama si apre di nuovo sotto di lui, la grande catena a cui la cima appartiene.
Le prime grandi amicizie della mia adolescenza sono nate a partire dal legame che avvertivo con i ragazzi e gli adulti del movimento di Cl che avevo incontrato nella mia scuola, a Trento. Il senso della nostra appartenenza reciproca, fondata nell’incontro con Cristo e nel carisma che ci aveva colpiti, precedette nettamente il fiorire degli affetti e dell’ammirazione personale che mi legarono poi ad alcuni in particolare.
Anche oggi, l’amicizia che vivo con le persone che mi sono più vicine trova nutrimento nella oggettiva appartenenza reciproca che ci è stata donata prima di scoprire qualsiasi altro motivo di prossimità. Decisive non sono le affinità di interessi o di temperamento. Queste esperienze sono reali e importanti, rendono bella la vita, ma non vengono per prime. La grande esperienza che fa da sottofondo quotidiano alle amicizie di questa fase della mia vita è la grazia di essere stati chiamati insieme e coinvolti nella stessa missione per il mondo.Insomma, la loro realtà più autentica ed elementare è la condivisione delle cose più grandi della vita.E infatti, quanto più cresce questa condivisione, tanto più anche le amicizie si compiono, benché siamo a volte chiamati a vivere lontani, come cime che si innalzano ai confini estremi di una stessa catena montuosa.
La festa di Ognissanti, con la quale si apre il mese di novembre, ci parla di queste realtà.
Durante l’estate del 1978, quando avevo undici anni, mio zio Silvano mi portò sulla cima del monte Vioz, al confine tra Trentino e Lombardia. 3645 metri di altitudine. Passammo la notte al rifugio, senza in verità dormire molto. Alle 4.30 del mattino eravamo già fuori, nel freddo, pronti per la traversata verso il Cevedale. Vidi allora per la prima volta uno spettacolo indimenticabile. L’alba illuminava un mare di nebbia dal quale spuntavano solo i massicci più elevati. Valli, sentieri, boschi, ghiaioni, tutto ciò che collegava quelle isole era sparito sotto una spessa coltre di nubi.
Su questa terra viviamo in una situazione simile. Non possiamo vedere chiaramente ciò che connette le nostre vite, i sentieri che portano dall’una all’altra. Eppure, come se fossimo montagne di uno stesso gruppo, alla radice del nostro essere siamo realmente uniti. Così, ogni piccolo gesto tocca l’esistenza degli altri. Oggi non possiamo sapere che effetto ha un piccolo segno di comprensione offerto a un’altra persona, un cenno di partecipazione al suo dolore o alla sua gioia, un attimo di accoglienza o di semplice pazienza per cercare di ascoltare e capire quello che cerca di dirci. Non sappiamo precisamente quanto conti la preghiera per l’altro, la nostra offerta silenziosa per lui, apparentemente ignorata da tutti. Ma quando saremo in Paradiso, le nebbie si diraderanno e vedremo la maestosa catena a cui apparteniamo, immersa nel sole della presenza di Dio. La festa di Ognissanti è come uno squarcio che lascia penetrare il nostro sguardo fino alla realtà vera, quella definitiva, la comunione che fa di tutta l’umanità un’unica cosa.
Per vivere tutti i giorni coscienti di questo mistero, ci può forse essere d’aiuto imparare a memoria una breve preghiera di Egied van Broeckhoven, un giovane sacerdote gesuita morto nel 1967 nella acciaieria di Bruxelles in cui aveva scelto di lavorare tra i gli operai, per annunciare loro la presenza di Cristo: «Dio, accordaci di poter fare della nostra amicizia qualcosa che mantenga nel tuo amore un significato per l’eternità; fa che possiamo essere l’uno per l’altro un’aurora amabile del tuo amore eterno».