Valentina Carissimi
Una volta ho letto che c’è un giorno nella vita di ogni uomo capace di cambiare il senso delle cose. Anche a me è accaduto qualche anno fa quando, nella mia incredulità, Dio si è fatto strada dentro di me con una forza tale da cambiare in modo decisivo la mia vita. Un momento di grande cambiamento e di vera rinascita. La mia vita non avrebbe più senso se ad un tratto non sentissi più il fuoco della fede.
É come se tutto avesse acquistato finalmente un significato: svegliarsi la mattina e iniziare la giornata avendo la consapevolezza che in ogni cosa che faccio, che vedo, che sento, in ogni persona che incontro c’è Dio. Che Dio è la sorgente di tutto.
Vi voglio raccontare una cosa molta bella che mi è accaduta ultimamente con delle mie colleghe di lavoro con le quali condivido non solo molte ore della mia giornata, ma anche storie, emozioni, opinioni e sentimenti che viviamo nelle nostre quotidianità.
Loro conoscono il cammino che sto facendo e devo dire che fino a poco tempo fa mi guardavano sempre con un certo scetticismo, ma comunque curiose perché anche loro stanno facendo dei loro percorsi di crescita interiore, ma verso altre direzioni e filosofie e ci piace molto confrontarci
Io non sono in realtà mai scesa nei dettagli della mia conversione, avvenuta pochi anni fa, né tantomeno faccio discorsi morali o cose del genere. Con loro parlo soprattutto di come il mio “si” a Cristo abbia cambiato la mia vita in meglio portandomi ad avere uno sguardo nuovo verso ogni cosa, racconto di come è cambiato il mio modo di concepire e di giudicare la realtà, ma anche di come siano più autentici i rapporti con gli altri e le mie relazioni.
Qualche settimana fa dopo mesi di sguardi e parole dubbiose nei miei riguardi in relazione al discorso “fede” è accaduta una cosa che ha acceso una scintilla dentro una di loro.
Si parlava di Chiesa e di cose “burocratiche” e mi viene chiesto un parere: “Ti chiedo questa cosa perché tu sei religiosa e forse lo sai”.
Dal momento che non è la prima volta che mi danno della “religiosa” quando si tratta di cose riguardanti la Chiesa, come regole, precetti… decido di chiarire l’argomento una volta per tutte per far capire bene cosa invece sia per me il cammino che sto facendo.
Con semplicità rispondo che le cose che mi chiedevano non le conoscevo e che l’appellativo “religiosa” come lo intendevano loro, non mi appartiene perché io in realtà sono “cristiana”.
La mia collega, sorridendo, mi dice che secondo lei è il concetto è lo stesso e mi chiede cosa cambiasse per me.
Le rispondo che la parola “religiosa” è troppa astratta, indefinita e racconta poco di quello che realmente è il mio credo. Il Cristianesimo è molto di più di questo. Non è una teoria, un seguire delle regole ma è credere in un uomo, Cristo, figlio di Dio che in un certo momento della storia si è rivelato a noi e che poi è morto e risorto. Ecco io credo in quella resurrezione. E credo non perché me l’hanno detto, o perché l’ho letto, ma perché l’ho sperimentato. Non sono cristiana perché l’ho deciso, ma perché ho incontrato Cristo risorto e ho deciso di seguirlo e di fare questo cammino. Io sono una persona che ha come tutti tanti dubbi, ma ho una sola grande certezza, la certezza di questo cammino.
La sera la mia collega mi ha scritto un messaggio molto significativo in cui mi diceva che le cose che le avevo detto l’avevano colpita molto, non tanto per il loro contenuto, ma per il modo in cui le avevo dette, con convinzione. Mi ha detto che anche lei desiderava quella stessa certezza e che le facevo venire voglia di pregare, ma che non era capace.
Le rispondo che ero commossa per quello che mi aveva scritto e che avrei pregato per lei sicuramente, ma, nello stesso tempo le ho inviato una preghiera da fare. La mattina dopo mi ha detto che l’aveva recitata almeno 10 volte.
Questa cosa accaduta mi ha fatto molto riflettere sulla grande responsabilità che abbiamo noi cristiani. Responsabilità che ci sembra una parola pesante, perché ci coinvolge personalmente nei confronti di qualcosa o qualcuno. La responsabilità è certamente un impegno a rispondere a qualcuno, in questo caso a Dio.
Ecco, io rispondo a Cristo che mi ha dato il dono della fede e mi chiede anche di non trattenerlo per me. Mi sento quindi responsabile di questo dono ricevuto, non posso, non voglio, ma nemmeno riesco a trattenerlo perché trabocca fuori di me la gioia del mio incontro con Lui.
E’ un dono quello di saper esprimere con la semplicità e la chiarezza di Valentina, la responsabilità con cui vive l’incontro con Cristo, la Fede. Anche a me, soprattutto negli anni lavorativi sono accaduti episodi in cui le colleghe mi rivolgevano questioni relative non solo alla fede, spesso mi chiedevano di intervenire in momenti di tensioni e chiusure reciproche. Ricordo in particolare un periodo in cui in seguito a premi economici in busta paga, che erano stati elargiti ad alcuni di noi e ad altri no, venne pesantemente condizionata l’attività lavorativa, il clima si era fatto umanamente irrespirabile. La mia “Capa” (che si autodefiniva atea, ma in lei io vedevo un cuore pieno di un particolare calore umano in cui non potevo non riconoscere l’impronta di Gesù, tant’è che glielo dissi e lei si commosse, dicendomi che i suoi l’avevano battezzata, pur essendo “attivisti comunisti”) mi chiamò dicendomi che non si poteva continuare in quel modo, “Fai qualcosa tu che hai la fede e che sei fin troppo ecumenica”. Le dissi che avrei provato, ma non sapevo in quel momento come affrontare la cosa, per cui pregai il Signore che mi guidasse lui. La mattina seguente piombarono in ufficio ispettori della finanza chiedendo di acquisire moltissimi documenti. Colsi la palla al balzo e proposi di organizzare le cose in una sorta di catena di montaggio, accettarono tutte e così ci dividemmo in piccole squadre: un paio di noi tirava fuori dall’archivio i vari faldoni pieni di documenti e li passava ad un’ altra che li aprisse e insieme ad un’ altra ancora pensasse a selezionare quali rispondessero ai requisiti indicati dai finanzieri, un’altra ancora provvedeva a fotocopiarli e infine un’altra provvedeva a dividere gli originali dei documenti da riporre in archivio, dalle copie da consegnare agli ispettori. Con il passare delle ore, lavorando una accanto all’altra, la tensione ed il risentimento si dissolsero letteralmente. Approfittai di una breve pausa per rifocillarci con un caffè insieme e dissi di quanto fossi felice che dopo tanto tempo ci fossimo ritrovate a lavorare di nuovo insieme e che consideravo una vera grazia l’accaduto, tutte eravamo visibilmente contente che si fosse dissolto quel brutto clima, era semplicemente venuto a cadere, anche perché osservai, quei soldi in più che alcune avevano ricevuto, era stato dato loro in base a precisi coefficienti in cui non vi era da parte loro alcuna possibilità di agire a favore o sfavore delle altre, né avrebbero potuto influire sulle decisioni dell’Amministrazione, per cui era veramente brutto far sentire loro un risentimento da parte delle altre. Infine chiesi per chi lo volesse di recitare un Padre nostro di ringraziamento per quelle ore di fatica che ci avevano fatto ritrovare il valore e il gusto del lavoro svolto con coscienza, imprimendo una indicibile e semplice letizia a quella giornata.
La mia cara “capa” con gli occhi lucidi.