Se ami il fiore cura la sua radice

Miguel Manara commentato da Franco Nembrini pp. 47-52

Don Miguel: Voi amate i fiori, Girolama? Eppure non ne vedo mai nè tra i vostri capelli nè sui vostri abiti.

Girolama: Perchè non mi piacciono le ragazze che ne fanno un ornamento, come fossero seta o pizzo o piume colorate. Io non metto mai fiori tra i capelli (sono già belli così, grazie a Dio!). I fiori sono begli esseri viventi, e bisogna lasciare che vivano e che respirino l’aria del sole e della luna. Io non colgo mai i fiori. Si può benissimo amare a questo mondo senza aver subito la smania di uccidere il proprio caro amore, o di imprigionarlo tra i vetri, oppure, come si fa con gli uccelli, in una gabbia in cui l’acqua non ha più il gusto dell’acqua e i semi d’estate non hanno più il gusto dei semi.

Questo è il punto. Da una parte c’è la tentazione del possesso, di possedere te stesso, la donna, i figli, i soldi, tutto. E’ il mondo in cui Miguel ha vissuto fino a ora: cogliere, strappare i fiori che uno trova di fronte a sè per farsene ornamento, per metterli al proprio servizio; ma in questo modo si distruggono. Invece Girolama gli mette davanti la verginità. Che non è solo la verginità fisica: la castità, la verginità fisica è la vocazione, la condizione in cui vivono alcuni per richiamare a tutti la verginità del cuore, dello spirito, cioè una verginità nel modo di guardare tutto, sè stessi e gli altri, senza voler ridurre tutto a sè, usare tutto per sè: “Si può benissimo amare senza aver subito la smania di uccidere il proprio caro amore.” […]

Quando uno passa per la strada e vede un bellissimo fiore lo sente per sè, come un bene per sè; e allora è comprensibile che venga la tentazione di strapparlo e portarlo a casa, di possederlo. Ma nel momento in cui lo strappi hai già tra le mani un cadavere […] Se lo metti nell’acqua potrà durare una settimana, ma è già morto. Perchè quel fiore pesca la vita altrove, non gliela dai tu.

Per essere se stesso, per essere sempre per te, ha bisogno del sole e della luce e di affondare le radici nella terra, nella terra che lo alimenta, che lo tiene su, che lo fa vivere. Quando decidi che è tuo, nel senso che lo vuoi possedere, inevitabilmente lo uccidi, o lo imprigioni in una gabbia in cui la realtà non ha più sapore, niente ha più il sapore che dovrebbe avere, tutto diventa una finzione, una menzogna: “l’acqua non ha più il gusto dell’acqua, e i semi d’estate non hanno più il gusto dei semi”.

E’ questa la distanza, è questo l’amore al Destino dell’altro e a ciò che lo fa vivere che Miguel comincia a intravedere in questa risposta. Che è la ragione per cui ho sempre detto ai ragazzi ascuola: “Vedete un po’ voi, fate come vi pare, ma vale quello che mi insegnarono quando ero giovane tanti anni fa”. Grazie a Dio infatti abbiamo avuto dei maestri da seguire; e così quando io e Grazia ci siamo messi insieme abbiamo cercato di usare la testa, e qualcuno ci ha insegnato ad usarla. Così mi ricordo benissimo la sera precisa in cui ci siamo guardati e abbiamo detto: “Se io ti voglio bene vuol dire che voglio il tuo bene, se voglio il tuo bene vuol dire che tu hai diritto di sposare l’uomo più in gamba del mondo, che cosa posso desiderare per te se non che l’uomo che sposi sia l’uomo più in gamba del mondo, il migliore? Ergo, siccome sono io, io ho un compito nei tuoi confronti: diventare più grande. Dammi qualche annetto (io l’avrei sposata anche subito, ma ci siamo presi qualche annetto) e lo userò per diventare l’uomo migliore del mondo”. Il problema è che non divento migliore stando con te, divento tanto migliore quanta più realtà riesco ad incontrare, abbracciare,conoscere. È per l’ampiezza del rapporto con la realtà, è per questo slancio a 360° che si ha sulla vita e sul mondo che si diventa grandi. E così, pur abitando a cento metri di distanza uno dall’altra,finivamo per vederci raramente, perché eravamo impegnati a vivere. Ci vedevamo di tanto in tanto e ci raccontavamo quel che vivevamo, io nella mia vita e lei nella sua, perché ci occupavamo di essere e di diventare i più grandi possibile. Lei ce l’ha fatta, nel senso che era sempre uno stupore incredibile, da una volta all’altra mi si ingigantiva davanti agli occhi in un modo da commuovere.

Occuparsi di diventar grandi, cioè occuparsi del proprio rapporto con la realtà: questo è l’unico modo dignitoso per stare davanti all’altro. Lo dico sempre agli alunni delle superiori: “Per che cosa cercate una morosa?” Certo, non è che uno può decidere di innamorarsi o di non innamorarsi; ma il modo incui oggi i ragazzi quasi sempre si mettono insieme non ha più nulla a che fare neanche con l’innamoramento: è proprio un rintanarsi in un buco per difendersi dalla realtà. Esattamente il contrario di ciò a cui l’amore dovrebbe spingere: a scoprire di più il mondo, la realtà. E dico loro sempre: “Vi mettete insieme per che cosa? Amare richiede tempo, energia, pensieri, soldi: costa. E’ una cosa impegnativa, lasciate stare. A questa età avete il diritto di fare indigestione di realtà, di arraffare tutto il bene che c’è: c’è tanto, tantissimo da capire, da imparare, da far proprio. Amicizie, rapporti: vivete alla grande, per diventar grandi! Per diventar grandi e per offrire alla donna che deciderà di accompagnarvi per tutta la vita – e viceversa – qualcosa di grande”. Non mi sembra difficile come ragionamento…