Aprire il cuore all’iniziativa di un Altro

Massimo Camisasca – Una voce nella mia vita 

Dobbiamo porci una domanda: se la nostra capacità viene da Dio, in cosa consiste il nostro compito, qual è la nostra responsabilità? A noi è chiesto di accogliere la grazia di Dio, di riconoscere e accettare il suo movimento verso di noi. Ci è chiesto di aprire il nostro cuore all’iniziativa di un Altro, di appoggiarci a un Altro, di «rimanere» in un Altro. Per questo è necessaria la preghiera, perché senza reale apertura al Signore, non c’è possibilità di energia vera nella vita.

Sant’Agostino ha paragonato l’uomo a un sacchetto chiuso, e ha detto che dobbiamo aprire il sacchetto perché l’aria possa entrare: quanto più dilateremo il sacchetto, tanto più l’aria, cioè lo Spirito di Dio, riempirà le nostre esistenze. La preghiera è proprio la dilatazione del nostro cuore e della nostra mente affinché Dio possa entrare nella nostra vita. Non esiste un’altra strada per sfondare il muro del proprio limite e della propria incapacità, non c’è altro modo, se così posso esprimermi, per diventare più grandi di se stessi. […]

Quando manca la preghiera, quando Dio è lontano, quando il rapporto con Lui è trascurato, messo in secondo piano, dimenticato, tutto diventa un’abitudine soffocante, o addirittura un peso insopportabile. Non è un caso che Gesù abbia detto: Vegliate e pregate in ogni momento (Lc 21,26).

La preghiera permette di ricollocare la nostra vita dentro l’opera che Cristo ha iniziato per noi e attraverso di noi, permette cioè la maturazione di uno sguardo lieto su noi stessi, non definito dai nostri successi né dai nostri fallimenti, non determinato dall’esito visibile delle nostre azioni. La preghiera, in una parola, apre il nostro cuore alla speranza e ci permette di riscattarci dalla distrazione e dalla violenza in cui sono normalmente collocate le nostre giornate. 

«Il peccato più grande contro la propria vita e il proprio destino è l’insistenza sul proprio male, sulla propria debolezza, sulla propria incapacità.» Questa osservazione, a partire dalla quale si sviluppa il libro di don Giussani Affezione e dimora, mi sembra davvero illuminante. Essa ci costringe a domandarci cosa occupi il posto privilegiato nelle nostre anime. Di più, essa ci obbliga a una domanda inevitabile e decisiva: cosa pensiamo quando riflettiamo su noi stessi? Cosa pensiamo quando consideriamo la storia della nostra vita, quando ragioniamo sul nostro lavoro, sulla nostra famiglia, sulle responsabilità che abbiamo?

È a questo livello che si gioca l’opzione più profonda e determinante della nostra libertà; è a questo livello che si pone il punto radicale della nostra conversione. Qui si svela infatti il valore ultimo che noi diamo al nostro io, e quindi al nostro pensiero, al nostro desiderio, al nostro amore. Perché il significato che noi riconosciamo a noi stessi potrebbe essere determinato soltanto dalla nostra capacità di far carriera, dal consenso che riusciamo a ottenere, dalla nostra efficienza, dalla nostra brillantezza, addirittura dal nostro aspetto fisico. Potremmo avere su noi stessi uno sguardo disumano, impietoso, schiavo delle vittorie e delle sconfitte, continuamente oscillante tra l’esaltazione per i risultati ottenuti e l’abbattimento per quelli mancati.

Ma non è questa la verità di noi stessi, poiché ciò che ci definisce compiutamente è soltanto il rapporto con colui che tiene in vita, con Dio. Bisogna lottare affinché il nostro rapporto con Dio sia sempre al centro delle nostre giornate, perché tutto cambia quando si comincia a guardare a se stessi sapendosi amati, conosciuti, voluti; tutto si riempie di una luce nuova. La compagnia di Cristo colma di dolcezza ogni istante, anche la quotidianità più normale, perfino le ore in apparenza più amare.

Dobbiamo dunque chiederci quale sia il contenuto della nostra memoria. Se il contenuto della memoria è soltanto la problematicità dell’esistenza, o l’esaltazione momentanea per essa, allora la vita – presto o tardi – si risolverà in una grande delusione, come una palla che rotola sempre più in basso e alla fine si perde.

La nostra vita si salva soltanto nella misura in cui il suo contenuto è il dialogo attuale col Mistero, nella misura in cui è vissuta come rapporto con Cristo, come riconoscimento del suo movimento verso di noi, come risposta alla sua chiamata. La nostra vita si salva se è vissuta come vocazione.

E non importa se Dio ci chiama a partire missionari verso una terra lontana oppure a restare a casa per accudire un genitore malato, perché qualunque azione è il luogo del nostro rapporto con Lui, e perciò ha un valore infinito, che sfonda le pareti della nostra casa, del nostro ufficio o del nostro convento, e si allarga secondo una misura che non possiamo neppure immaginare.

1 Commento

  1. Il nostro compito, la nostra responsabilità è di usare bene la libertà con cui siamo stati creati, per vivere la nostra vita con Dio, in Dio e verso Dio.
    Dio ci ha creati liberi, e possiamo mettere a frutto positivamente questa libertà, o sprecarla, usandola in modo sbagliato.

    La preghiera è il miglior dialogo con il Padre; attraverso la preghiera entriamo in intimità con lui. Attraverso la preghiera possiamo ringraziare, chiedere, affidare le nostre preoccupazioni e i nostri affanni (e se lo si fa bene, gli affanni e le preoccupazioni si sgonfiano come palloncini).
    Qualsiasi sia “la leva” della preghiera, è il miglior dialogo con Lui.
    E può essere anche “una chiacchierata”, una parola detta col cuore.
    Come diciamo di fare ai nostri bambini del catechismo quando ancora non sanno bene a memoria tutte le preghiere, e ci dicono “ma io la preghiera del mattino non la so ancora a memoria, come faccio?” Allora li rassicuriamo (tirano proprio un sospiro di sollievo e si vede nei loro occhi la felicità) dicendo loro “iniziate la vostra mattinata dicendo “Caro Gesù, ti ringrazio per questo nuovo giorno e ti affido tutta la mia giornata” oppure a fine giornata “caro Gesù, grazie per questo giorno che sta finendo”.
    La preghiera è potente, in tutte le sue forme, perché come Padre Lui guarda il cuore, la sincerità e la purezza con cui ci si rivolge a Lui

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