Dialogo della Moda e della Morte

Giacomo Leopardi

TESTO PARAFRASATO

Moda. Signora Morte, signora Morte.

Morte. Aspetta che sia l’ora, e verrò senza che tu mi chiami.

Moda. Signora Morte.

Morte. Vattene al diavolo. Verrò quando tu non vorrai.

Moda. Come se io non fossi immortale.

Morte. Immortale? Sono già passati più di mille anni da quando sono finiti i tempi degli immortali.

Moda. Anche Madama petrarcheggia come fosse un poeta italiano del cinque o dell’ottocento?

Morte. Mi sono care le rime di Petrarca, perché vi trovo il mio Trionfo, e perché parlano di me quasi dappertutto. Ma insomma togliti di torno.

Moda. Suvvia, per l’amore che porti ai sette vizi capitali, fermati un po’, e guardami.

Morte. Ti guardo.

Moda. Non mi conosci?

Morte. Dovresti sapere che ho cattiva vista, e che non posso usare occhiali, perché gli Inglesi non ne fanno adatti a me, e se anche li facessero, io non riuscirei a metterli (*essendo priva di naso e orecchie, secondo la sua tradizionale raffigurazione come teschio).

Moda. Io sono la Moda, tua sorella.

Morte. Mia sorella?

Moda. Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate dalla Caducità?

Morte. Che vuoi che ricordi io che sono nemica mortale della memoria!

Moda. Ma io me ne ricordo bene. E so che entrambe miriamo a demolire e a trasformare di continuo le cose di quaggiù, benché seguendo strade diverse.

Morte. Se tu non parli col tuo pensiero o con una persona che tu abbia in gola, alza la voce e scandisci meglio le parole. Se borbotti tra i denti con quella vocina così esile, non posso sentirti, perché l’udito, se non lo sai, non mi serve meglio della vista.

Moda. Benché sia contrario alle buone maniere e sebbene in Francia non sia di moda parlare per essere ascoltati, poiché siamo sorelle e tra di noi non c’è bisogno di troppi riguardi, parlerò come vuoi tu. È nella nostra natura e nelle nostre abitudini rinnovare continuamente il mondo, ma tu ti sei sempre dedicata alle persone e al sangue, mentre io mi accontento di solito delle barbe, dei capelli, degli abiti, dei mobili, dei palazzi e di cose simili. È ben vero però che io non manco di imporre giochi di tortura paragonabili ai tuoi, come ad esempio sforacchiare orecchi, labbra e nasi, e lacerarli per appendere ai fori gingilli di scarso valore, oppure bruciare le carni degli uomini con stampi roventi (*per realizzare tatuaggi). Oppure, ancora, induco a deformare le teste dei bambini con fasciature o altri accorgimenti, per la moda del paese di modellare teste tutte simili, come in America e in Asia. E ancora: a storpiare la gente con calzature troppo piccole, a soffocare e a far scoppiare gli occhi per la strettezza dei busti, e cento altre ancora. Anzi, in genere io persuado e costringo tutti gli uomini nobili a sopportare ogni giorno innumerevoli fatiche e disagi, dolori e supplizi, e qualcuno persino a morire coraggiosamente, per l’amore che mi porta. Potrei citare i mal di testa, i raffreddori, le congestioni e le emorragie, le febbri giornaliere, terzane o quartane, che gli uomini si procurano per ubbidirmi. Sopportano di tremare per il freddo o di soffocare per il caldo, secondo le mie indicazioni, di proteggersi le spalle con panni di lana e il petto con panni di tela, e di fare ogni cosa come dico io, anche se è per loro dannosa.

Morte. Va bene, va bene. Credo che tu mi sia sorella, ne sono certa più della morte, senza bisogno di certificati. Ma restando così ferma svengo, perciò se ce la fai corri accanto a me, cercando di non crepare, perché io corro veloce. Mentre corriamo, potrai dirmi di che cosa hai bisogno. Altrimenti, per riguardo alla nostra parentela, ti prometto che alla mia morte ti lascerò tutti i miei beni, e accontentati di questo.

Moda. Se noi dovessimo correre insieme il palio, non so chi delle due vincerebbe la prova, perché se tu corri io galoppo, e se tu svieni a fermarti in un luogo io ne esco stremata. Sicché ricominciamo pure a correre, e mentre corriamo parleremo di affari.

Morte. Bene allora. Dunque, poiché sei nata da mia madre, sarebbe il caso che tu mi aiutassi in qualche modo nelle mie faccende.

Moda. L’ho già fatto in passato, più di quel che pensi. Intanto, io che annullo e stravolgo continuamente tutte le usanze, non ho fatto interrompere da nessuna parte del mondo quella di morire che, infatti, dura ovunque, fino a oggi, dall’origine del mondo.

Morte. Bel miracolo, non fare quello che non avresti potuto!

Moda. Come? Non avrei potuto? Tu non sembri conoscere la potenza della moda.

Morte. Bene bene. Di questo faremo in tempo a parlare quando vi sarà l’usanza che non si muoia. Intanto, però, vorrei che tu da buona sorella mi aiutassi invece a ottenere il contrario con meno fatica e più in fretta di quel che ho fatto finora.

Moda. Già ti ho raccontato alcune mie opere che ti hanno giovato molto. Ma si tratta di inezie se paragonate a quelle che ora ti dirò. A poco a poco, ma molto in questi ultimi tempi, per aiutarti ho reso fuori moda e fatto dimenticare le fatiche e gli esercizi che servono al benessere del corpo, mentre ho introdotto e fatto apprezzare numerose pratiche che distruggono il corpo in mille modi e che accorciano la vita. Inoltre, ho introdotto nel mondo tali usanze e abitudini che la vita stessa, sia nel corpo che nell’animo, è più morta che viva, tanto che questo secolo si può ben definire il secolo della morte. Mentre un tempo non avevi altri possedimenti che le fosse e le caverne, dove seminavi ossa e polvere al buio, sementi che non danno frutto, adesso hai terreni al sole e persone che si muovono e camminano, cose di tua proprietà anche prima di mieterle, anzi, appena nascono. Inoltre, mentre in passato eri odiata e denigrata, oggi per merito mio chiunque ha un po’ di cervello ti prega e ti loda, preferendoti alla vita, e ti vuole tanto bene da invocarti e da volgere gli occhi a te come alla propria maggiore speranza. Molti si sono vantati in passato di voler diventare immortali, cioè di non morire del tutto e di sottrarti una buona parte di sé. Si trattava di frottole, perché anche se costoro vivessero nella memoria degli uomini, vivrebbero in modo ridicolo e non godrebbero della loro fama più di quanto patirebbero per l’umidità della sepoltura. In ogni modo, poiché questa questione degli immortali ti scottava, sottraendoti onore e reputazione, ho eliminato quest’usanza di cercare l’immortalità e anche quella di concederla nel caso che qualcuno se la meritasse.

Stai certa, quindi, che oggi chiunque muoia non lascia di sé un briciolo che non sia morto, e fila subito sotto terra tutto quanto intero, come un pesciolino trangugiato in un boccone, con la testa e le spine. Per amor tuo ho fatto tutte queste cose, finora, che non sono poche, per accrescere il tuo potere sulla terra, come poi è successo. A questo scopo sono disposta a fare ogni giorno altrettanto e ancora di più. È con questa intenzione che ti ho cercata e mi sembra proprio il caso che noi da ora in poi non ci separiamo l’una dall’altra, perché stando in compagnia potremo consultarci sul da farsi per prendere le decisioni migliori a seconda dei casi e su come portarli meglio a termine.

Morte. Hai perfettamente ragione, d’ora in avanti faremo proprio così.

 

TESTO ORIGINALE

Moda. Madama Morte, madama Morte.

Morte. Aspetta che sia l’ora, e verrò senza che tu mi chiami.

Moda. Madama Morte.

Morte. Vattene col diavolo. Verrò quando tu non vorrai.

Moda. Come se io non fossi immortale.

Morte. Immortale? Passato è già più che ‘lmillesim’anno che sono finiti i tempi degl’immortali.

Moda. Anche Madama petrarcheggia come fosse un lirico italiano del cinque o dell’ottocento?

Morte. Ho care le rime del Petrarca, perché vi trovo il mio Trionfo, e perché parlano di me quasi da per tutto. Ma in somma levamiti d’attorno.

Moda. Via, per l’amore che tu porti ai sette vizi capitali, fermati tanto o quanto, e guardami.

Morte. Ti guardo.

Moda. Non mi conosci?

Morte. Dovresti sapere che ho mala vista, e che non posso usare occhiali, perché gl’Inglesi non ne fanno che mi valgano, e quando ne facessero, io non avrei dove me gl’incavalcassi.

Moda. Io sono la Moda, tua sorella.

Morte. Mia sorella?

Moda. Sì: non ti ricordi che tutte e due siamo nate dalla Caducità?

Morte. Che m’ho a ricordare io che sono nemica capitale della memoria.

Moda. Ma io me ne ricordo bene; e so che l’una e l’altra tiriamo parimente a disfare e a rimutare di continuo le cose di quaggiù, benché tu vadi a questo effetto per una strada e io per un’altra.

Morte. In caso che tu non parli col tuo pensiero o con persona che tu abbi dentro alla strozza, alza più la voce e scolpisci meglio le parole; che se mi vai borbottando tra’ denti con quella vocina da ragnatelo, io t’intenderò domani, perché l’udito, se non sai, non mi serve meglio che la vista.

Moda. Benché sia contrario alla costumatezza, e in Francia non si usi di parlare per essere uditi, pure perché siamo sorelle, e tra noi possiamo fare senza troppi rispetti, parlerò come tu vuoi. Dico che la nostra natura e usanza comune è di rinnovare continuamente il mondo, ma tu fino da principio ti gittasti alle persone e al sangue; io mi contento per lo più delle barbe, dei capelli, degli abiti, delle masserizie, dei palazzi e di cose tali. Ben è vero che io non sono però mancata e non manco di fare parecchi giuochi da paragonare ai tuoi, come verbigrazia sforacchiare quando orecchi, quando labbra e nasi, e stracciarli colle bazzecole che io v’appicco per li fori; abbruciacchiare le carni degli uomini con istampe roventi che io fo che essi v’improntino per bellezza; sformare le teste dei bambini con fasciature e altri ingegni, mettendo per costume che tutti gli uomini del paese abbiano a portare il capo di una figura, come ho fatto in America e in Asia; storpiare la gente colle calzature snelle; chiuderle il fiato e fare che gli occhi le scoppino dalla strettura dei bustini; e cento altre cose di questo andare. Anzi generalmente parlando, io persuado e costringo tutti gli uomini gentili a sopportare ogni giorno mille fatiche e mille disagi, e spesso dolori e strazi, e qualcuno a morire gloriosamente, per l’amore che mi portano. Io non vo’ dire nulla dei mali di capo, delle infreddature, delle flussioni di ogni sorta, delle febbri quotidiane, terzane, quartane, che gli uomini si guadagnano per ubbidirmi, consentendo di tremare dal freddo o affogare dal caldo secondo che io voglio, difendersi le spalle coi panni lani e il petto con quei di tela, e fare di ogni cosa a mio modo ancorché sia con loro danno.

Morte. In conclusione io ti credo che mi sii sorella e, se tu vuoi, l’ho per più certo della morte, senza che tu me ne cavi la fede del parrocchiano. Ma stando così ferma, io svengo; e però, se ti dà l’animo di corrermi allato, fa di non vi crepare, perch’io fuggo assai, e correndo mi potrai dire il tuo bisogno; se no, a contemplazione della parentela, ti prometto, quando io muoia, di lasciarti tutta la mia roba, e rimanti col buon anno.

Moda. Se noi avessimo a correre insieme il palio, non so chi delle due si vincesse la prova, perché se tu corri, io vo meglio che di galoppo; e a stare in un luogo, se tu ne svieni, io me ne struggo. Sicché ripigliamo a correre, e correndo, come tu dici, parleremo dei casi nostri.

Morte. Sia con buon’ora. Dunque poiché tu sei nata dal corpo di mia madre, saria conveniente che tu mi giovassi in qualche modo a fare le mie faccende.

Moda. Io l’ho fatto già per l’addietro più che non pensi. Primieramente io che annullo o stravolgo per lo continuo tutte le altre usanze, non ho mai lasciato smettere in nessun luogo la pratica di morire, e per questo vedi che ella dura universalmente insino a oggi dal principio del mondo.

Morte. Gran miracolo, che tu non abbi fatto quello che non hai potuto!

Moda. Come non ho potuto? Tu mostri di non conoscere la potenza della moda.

Morte. Ben bene: di cotesto saremo a tempo a discorrere quando sarà venuta l’usanza che non si muoia. Ma in questo mezzo io vorrei che tu da buona sorella, m’aiutassi a ottenere il contrario più facilmente e più presto che non ho fatto finora.

Moda. Già ti ho raccontate alcune delle opere mie che ti fanno molto profitto. Ma elle sono baie per comparazione a queste che io ti vo’ dire. A poco per volta, ma il più in questi ultimi tempi, io per favorirti ho mandato in disuso e in dimenticanza le fatiche e gli esercizi che giovano al ben essere corporale, e introdottone o recato in pregio innumerabili che abbattono il corpo in mille modi e scorciano la vita. Oltre di questo ho messo nel mondo tali ordini e tali costumi, che la vita stessa, così per rispetto del corpo come dell’animo, e più morta che viva; tanto che questo secolo si può dire con verità che sia proprio il secolo della morte. E quando che anticamente tu non avevi altri poderi che fosse e caverne, dove tu seminavi ossami e polverumi al buio, che sono semenze che non fruttano; adesso hai terreni al sole; e genti che si muovono e che vanno attorno co’ loro piedi, sono roba, si può dire, di tua ragione libera, ancorché tu non le abbi mietute, anzi subito che elle nascono. Di più, dove per l’addietro solevi essere odiata e vituperata, oggi per opera mia le cose sono ridotte in termine che chiunque ha intelletto ti pregia e loda, anteponendoti alla vita, e ti vuol tanto bene che sempre ti chiama e ti volge gli occhi come alla sua maggiore speranza. Finalmente perch’io vedeva che molti si erano vantati di volersi fare immortali, cioè non morire interi, perché una buona parte di sé non ti sarebbe capitata sotto le mani, io quantunque sapessi che queste erano ciance, e che quando costoro o altri vivessero nella memoria degli uomini, vivevano, come dire, da burla, e non godevano della loro fama più che si patissero dell’umidità della sepoltura; a ogni modo intendendo che questo negozio degl’immortali ti scottava, perché parea che ti scemasse l’onore e la riputazione, ho levata via quest’usanza di cercare l’immortalità, ed anche di concederla in caso che pure alcuno la meritasse.

Di modo che al presente, chiunque si muoia, sta sicura che non ne resta un briciolo che non sia morto, e che gli conviene andare subito sotterra tutto quanto, come un pesciolino che sia trangugiato in un boccone con tutta la testa e le lische. Queste cose, che non sono poche né piccole, io mi trovo aver fatte finora per amor tuo, volendo accrescere il tuo stato nella terra, com’è seguito. E per quest’effetto sono disposta a far ogni giorno altrettanto e più; colla quale intenzione ti sono andata cercando; e mi pare a proposito che noi per l’avanti non ci partiamo dal fianco l’una dell’altra, perché stando sempre in compagnia, potremo consultare insieme secondo i casi, e prendere migliori partiti che altrimenti, come anche mandarli meglio ad esecuzione.

Morte. Tu dici il vero, e così voglio che facciamo.