Franco Nembrini – Il Sussidiario
La chiamano “integrazione”. Ma questa è disintegrazione. Nel senso letterale del termine: mandare una cosa in mille pezzi. Perché è rifiuto, di conoscere il mondo dell’altro, a priori! Perché parte dal presupposto che il diverso sia male e perciò vada evitato.
In una scuola media di Treviso, due studenti islamici sono stati esentati dalla lettura della Divina commedia, perché il suo contenuto “offende la cultura islamica” (come è noto, Dante colloca Maometto all’inferno, fra i seminatori di discordie).
Per capire, facciamo un esempio al contrario. Io vado a vivere in Arabia Saudita. Vado lì per stare, per rimanere, io e i miei figli. Se mi voglio integrare, devo cercare di capire la gente che mi sta intorno, la sua mentalità, la sua storia! Cosa dovrei fare? Dovrei forse dire ai miei figli, “no, voi il Corano non lo leggete, perché siamo cristiani”? Al contrario! Faccio di tutto perché lo capiscano bene, così da saper leggere ed affrontare la nuova realtà in cui devono vivere.
Non vale lo stesso anche nell’altro senso? Se vuoi vivere in Italia, se vuoi davvero integrarti, dovresti fare di tutto per conoscere la tradizione, la mentalità, la storia culturale della gente fra cui vivi!
Ma alla radice di questa rinuncia a conoscere l’altro e la sua storia, che cosa c’è? C’è l’idea che la storia dell’altro sia cattiva. Una convinzione che ha, mi pare, due aspetti.
Il primo riguarda il confronto fra culture, religioni diverse. Da questo punto di vista, l’episodio di Treviso avalla l’idea che, come ho detto in apertura, il diverso è male. E questo non è il punto di partenza per un percorso di integrazione; al contrario, semina l’idea che l’altro, il diverso, se è male, può solo essere combattuto, estirpato.
Il secondo aspetto è interno alla nostra cultura, alla nostra tradizione. Non è che dietro la rinuncia alla Commedia ci sia, più che un rispetto verso i musulmani, un dispetto verso Dante? Non è che c’è dietro l’ombra della “cancel culture”, di quell’autolesionistico odio verso noi stessi per cui tutto quel che nella nostra tradizione culturale non è conforme ai canoni oggi vincenti va cancellato dalla memoria storica? Non parlo dell’insegnante di Treviso, per carità, non lo conosco, avrà preso questa decisione in totale buona fede; parlo del clima culturale dentro cui siamo immersi.
E allora forse tocca proprio a noi fare un lavoro per (ri)scoprire Dante: che vive in un tempo tanto diverso dal nostro, che ha una cultura tanto diversa dalla nostra, che parla una lingua tanto diversa dalla nostra; ma che proprio per questo ha uno sguardo sulla vita e sul mondo diverso dal nostro, dal quale anche il nostro può guadagnare molto.
In sintesi: solo se amiamo il diverso che abita la nostra cultura possiamo farla amare al diverso che abita la nostra terra; e solo così possiamo porre le condizioni perché due genti diverse si comprendano e si guardino con reciproco rispetto.