A volte il Mistero ci chiama per nome

Federico Pichetto – Il Sussidiario

Un cavo di traino che cede e una cabina della funivia che collega Stresa a Mottarone, sul versante piemontese del lago Maggiore, che precipita per una quindicina di metri e si schianta sul pendio, provocando 14 morti e un bambino di 5 anni in gravi condizioni ma stabile.

È il bilancio della tragedia che ha squarciato l’Italia nella penultima domenica di maggio e che ha avuto eco sui media di tutto il mondo. Immediate le condoglianze e il cordoglio di tutto il mondo politico, delle istituzioni, del campionato di serie A che osserva un minuto di silenzio. Difficile questa volta rintracciare responsabilità immediate, in quanto la funivia era stata riaperta nel 2016 dopo due anni di manutenzione costata più di 4 milioni di euro e l’impresa incaricata del compito era una ditta sudtirolese di Vipiteno la cui serietà è giudicata da molti fuori discussione. Il ministro dei Trasporti ha comunque annunciato una commissione di inchiesta, nella certezza che qualcuno un po’ più responsabile degli altri anche questa volta si possa trovare.

Del resto noi umani siamo così: abbiamo bisogno di dare un nome alle nostre colpe, ai nostri dolori, abbiamo bisogno di dare un orizzonte narrabile alle nostre tragedie per renderle sopportabili. Il punto, però, è che nessuno dei turisti che domenica mattina ha preso la funivia che lo avrebbe portato all’appuntamento col proprio destino – nessuno di loro – immaginava che al pomeriggio sarebbe stato ricordato sui campi da calcio o in un comunicato della Presidenza del Consiglio. Le persone che sono morte su quella cabina, in prevalenza giovani, fanno parte dei milioni di donne e uomini che, dopo questo lungo inverno, desideravano soltanto un po’ di libertà, un po’ di sole e di bellezza, per tornare a vivere.

E forse ci siamo un po’ tutti illusi, come spesso capita quando si soffre o quando si comincia qualcosa, che bastasse quel desiderio per garantirci una sorta di immunità, che bastasse essere vaccinati per essere al sicuro dai pericoli dell’esistenza, che bastasse aver voglia di lasciarsi tutto alle spalle per non dover più fare i conti con le domande della vita.

Ma non è così: la pandemia ha chiesto a tutti un lavoro su se stessi e sui motivi per cui vale la pena vivere, perché la realtà chiede a tutti quel lavoro. E chi in questi mesi si è barricato dietro le più curiose ricostruzioni di quanto è accaduto, sperando che fosse sufficiente aspettare perché le questioni squadernate da questo anno e mezzo di Covid potessero essere superate o dimenticate, adesso si trova davanti a quanto la realtà sia testarda, a quanto non basti “riaprire” per mettere tutto a posto.

Il tutto, se vogliamo, è amplificato dal fatto che su quella funivia c’erano persone nate in Israele e un ragazzo nato in Iran, un uomo anziano e un bambino di due anni, una giovane coppia di fidanzatini e una donna che festeggiava il suo quarantesimo compleanno: non c’è una circostanza, o una situazione dell’esistenza, che ci possa evitare di fare i conti con la vita, non c’è un fatto tolto il quale la vita finalmente funzioni, in modo da potercene fregare di interrogarci circa il significato dell’essere nel mondo, del morire, dell’amare, del lavorare, del credere o del gioire.

A volte preghiamo, chiedendo di poter aggirare ciò che ci si palesa innanzi nel cammino, a volte fuggiamo, pensando che esista un posto dove sfuggire alla nostra umanità, a volte lasciamo stare, illudendoci che, continuando a non considerare le cose, le cose smettano di considerare noi.

Eppure questo nostro cuore di carne attende senza sosta di essere considerato, guardato, amato, perdonato. Abbracciato. Lo sanno bene tutti coloro che piangono o che attendono. Lo saprà fin troppo bene quel bimbo che lotta contro la morte in ospedale in queste ore e che – d’improvviso e per sempre – è rimasto orfano.

Il Mistero non si può sfuggire. E chi crede di poterlo fare, ad un certo punto s’arresta. O sorpreso da un moto di consapevolezza oppure riacciuffato per i capelli da un fatto della vita. Possiamo forse diventare più ricchi, possiamo perfino far approvare dallo Stato tutte le leggi che ci piacciono, ma c’è un punto nella luce della sera che non smette di chiedere pace. È l’enigma che siamo, l’infinito che non conosciamo, la felicità che speriamo e che diventa ogni istante più urgente, anche nell’istante in cui si stacca quel sottile cavo a cui tutti – in fondo – siamo appesi.

4 Commenti

  1. Come è vero quello che leggo nei commenti pubblicati da don Michele e don Paolo, in particolare la conclusione di don Michele “non perderei troppo tempo a cercare i colpevoli, piuttosto a cercare Chi può salvarci” e don Paolo sul fatto che vittime siano anche i responsabili di questo tragico accadimento.
    Ieri il piccolo Etian (il suo nome, credo non a caso, significa forza) è stato dimesso dall’ospedale. Tornato a casa con gli zii.
    Per una naturale predisposizione che ho verso i bambini piccoli, porto la sua storia, il dolore sproporzionato e devastante che dovrà vivere, nella preghiera quotidiana e oggi mi colpiscono particolarmente le lodi mattutine (salmo 142 in te solo confido), poi l’antifona al cantico del profeta Geremia: “povertà e fatica, a cominciare da giovane”, poi l’antifona al salmo 26 e tutto lo stesso salmo, “non temete!”.
    Prego che il piccolo Etian possa ritrovare la gioia nella vita che ha davanti, nella certezza che i suoi affetti non sono perduti. Lo prego per me stessa e per tutti, in realtà. Grazie ancora per questo luogo sia pure virtuale, dove anche nei lockdown della vita si incontra una compagnia che ridona la certezza della Sua Presenza, di quello sguardo pieno di sollecito, infinito amore che ci consente di rialzarci da ogni sbaglio e dolore.

  2. Qualcuno, per evitare di stare di fronte al mistero della vita, dirà che è tutta colpa dei freni di sicurezza bloccati da qualcuno per interesse… dirà che la giustizia deve mettere in galera i responsabili… trovare il colpevole e metterlo di fronte alle sue responsabilità è utile ma non è tutto… anzi il giustizialismo che c’è in giro ci ubriaca facendoci credere che morire è un imprevisto evitabile… tanto gridare alla forca ci fa dimenticare la domanda più importante: chi ci salverà? perchè la fune che porta la nostra vita, per una ragione o per l’altra, prima o poi si riomperà comunque, anche nel sistema più perfetto… allora io non perderei troppo tempo a cercare il colpevole, ma occuperei la vita a cercare chi può salvarci.

  3. I blocchi ai freni e i pastorelli di Fatima

    In questo tempo si è fatto gran parlare dell’incidente della funivia di Stresa e giustamente. Ma, come sempre, non ci si è fermati in silenzio di fronte all’accaduto, non ce la si è fatta a fermarsi di fronte ai morti e alle vittime che -a parer mio- sono anche gli eventuali responsabili e le loro famiglie, subito messi alla gogna mediatica.
    Immediatamente si è spostata l’attenzione ai fattori tecnici, ai colpevoli, per coprire ogni eventuale provocazione potesse sorgere per la nostra vita. Anche io ci sono dentro.
    Un risveglio però mi è arrivato, in modo inatteso, dai pastorelli di Fatima e dalla loro vicenda, raccontata in modo bellissimo da don Paolo Di Gennaro ai bambini del catechismo.
    A questi tre bambini, Maria santissima ha detto che, con le loro preghiere e con la loro offerta, potevano cambiare il destino del mondo e salvare molte anime. Loro hanno accettato questa responsabilità, hanno risposto a questa chiamata ed hanno realmente contribuito a cambiare la storia (ed anche la traiettoria di un proiettile!)
    Allora penso che quel “blocco dei freni” mi riguarda tutte le volte che non rispondo alla vocazione che mi è stata donata, tutte le volte che non dico il mio “sì” alla volontà di Dio, anche nelle piccole circostanze quotidiane ed allora in modo misterioso, ma non meno reale, metto a rischio il mondo e le persone affidate dal Mistero al mio piccolo “sì”.

  4. Quanto dolore e che sguardi pieni di sana giovinezza hanno le vittime di questa tragedia, un autentico comun denominatore che è segno del Mistero in cui noi tutti crediamo. Tragedia avvenuta nel giorno di Pentecoste, mentre anch’io ero a messa e poco prima avevo pregato tanto soprattutto per i giovani e i bambini di tutto il mondo, ignara di cosa stava accadendo in quei luoghi pieni di bellezza e di promessa di vita. …. Ora che stanno emergendo anche responsabilità per l’accaduto, il dolore martellante, si riempie di domande e soprattutto di invocazione: pietà di noi, che il male non abbia a prevalere! Il segno della speranza è tutto nel piccolo sopravvissuto, sembra protetto in un estremo gesto, dal corpo del padre. Pietà….

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