Padre Mauro Lepori – Gli interessi di Cristo p. 78-82
Penso sempre all’episodio in cui il mio santo patrono Mauro, obbedendo a san Benedetto, riesce a camminare sulle acque del lago per salvare la vita del piccolo Placido. Subito dopo, Mauro si guarda indietro e quasi si spaventa di quel che è successo. Scrive san Gregorio Magno: “Non appena mise piede a terra, rientrò in sé, si guardò indietro, e si accorse di aver corso sulle acque, e, pieno di spavento, si meravigliò che fosse avvenuto ciò che non avrebbe mai potuto presumere di fare.” (Dialoghi II,7)
Mi rallegra e conforta sempre quando incontro persone anziane che esprimono lo stesso stupore quando guardano al cammino della loro vita in monastero, in famiglia, in ogni tipo di vocazione e missione. Riconoscono che il merito di tutto va al Signore dell’impossibile che non solo ci chiama, ma porta a compimento, nonostante tutto, con infinita pazienza, il cammino della nostra vocazione e missione.
Qual è il nostro merito? Qual è il nostro contributo a questo miracolo?
L’episodio di san Mauro ci aiuta a capire che tutto il merito dell’uomo è quello di obbedire con fiducia, o meglio: di fidarsi fino all’obbedienza. Si potrebbe dire che l’obbedienza è l’incarnazione della fiducia, della libertà che si fida. E in questo, l’obbedienza diventa come la forza trainante della conversione di vita di cui parlavamo a proposito della conversatio morum. San Mauro ha fatto un cammino impossibile correndo sulla via dell’obbedienza. Ha camminato sulle acque, non portato dalle acque, ma dall’obbedienza, quella che, come abbiamo visto, “non stima nulla più caro che Cristo” (RB 5,2). Ha cioè camminato sulle acque portato, sostenuto, dall’amore di Cristo. Come san Pietro, d’altronde, quando ha camminato sul mare per andare da Gesù che gli diceva: “Vieni!” (Mt 14,29)
L’episodio di san Pietro che cammina sulle acque, come per seguire Gesù ad ogni costo, dovremmo leggerlo proprio come una parabola della vita come vocazione e di come è possibile essere fedeli fino alla fine, senza timore, anche se molte volte affondiamo per mancanza di fede.
Nel mezzo del mare in tempesta, Gesù ci viene incontro e ci dice: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!” (Mt 14,27). Queste parole, ognuno di noi le sente nel proprio cuore quando percepisce la vocazione a seguire Gesù. Ogni vocazione inizia dall’ascolto di Gesù che, in mille modi, ci dice: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!”. Pietro sente questa chiamata, e per questo ha ragione di chiedere a Gesù: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque” (v. 28). Noi rispondiamo alla chiamata di Cristo perché Lui ci attira a sé. Il problema non è la strada da percorrere, che sia sulle acque o sull’aria, o chissà su cos’altro. A volte è molto più difficile camminare sulla terra, nella nostra comunità, attraverso le circostanze della vita, che camminare sulle acque. L’importante è che camminiamo per seguire Gesù, lo sguardo e il cuore fissi sulla sua presenza, attirati dalla dolcezza del suo amore che continuamente ci conforta: “Coraggio, sono io, non avere paura!” 2
Manchiamo di fede, come Pietro – “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (v. 31) – quando pretendiamo di avere altra forza e energia per seguire Cristo che la sua persona presente che ci guarda e ci ama. La fede vuol dire attingere da Cristo stesso tutta il coraggio, la forza, la luce, la pace, la gioia di cui abbiamo bisogno per seguirlo, di cui abbiamo bisogno per vivere tutti i voti e gli impegni della nostra vocazione.
Solo questa fede ci permette di essere fedeli alla nostra vocazione, solo questa fiducia, alimentata da Gesù stesso che ci dona lo Spirito Santo e la sua fiducia nel Padre, ci permette di vivere con letizia e fecondità i voti e gli impegni della nostra vocazione. Solo questa fede ci porta a vivere la nostra vocazione con stupore, con meraviglia, perché sempre testimoni di ciò che fa Dio, dell’impossibile che Dio fa avvenire in noi e attorno di noi, contro ogni speranza umana.
Però, e questo è essenziale capirlo e viverlo, è indispensabile che per vivere la nostra vocazione, i voti, la conversione che ci è chiesta, attraverso tutte le prove della vita, è indispensabile capire e fare esperienza che ciò che ci permette di fare questo cammino sulle acque è solo Gesù che ci chiama, ci guarda, ci conforta.
Immaginate la nostra vocazione come se ci trovassimo effettivamente sulla barca o sulla riva. Ed ecco che Gesù ci appare in piedi sulla acque del mare. Ci dice che non è un fantasma, ma proprio Lui. Ci incoraggia a non avere paura e ci dice: “Vieni!” Questo vuol dire che tutta la nostra vocazione ci chiede di metterci a camminare sulle acque, altrimenti non seguiamo Gesù, non camminiamo con Lui. Allora guardiamo l’acqua, che oltre tutto è un po’ agitata. E ci chiediamo: ma come sarà possibile che io cammini sulle acque? Come sarà possibile che segua la mia vocazione, che, per quanto riguarda la vocazione monastica, io viva in una comunità, obbedisca a dei superiori, viva stabile in monastero, rinunci a formare la mia famiglia, che mi stacchi da tutti i miei beni, che mi alzi presto al mattino per pregare, ecc.? Cosa mi permetterà di camminare su queste acque? Forse la forma dei miei piedi? O il peso del mio corpo? O forse saranno certi tipi di osservanze, di forme monastiche e liturgiche? Magari facciamo la prova. Prima di mettere il piede sull’acqua, provo a pregare in latino. Ma il mio piede affonda e non è questo che mi fa camminare sull’acqua. Allora provo a pregare in lingua vernacola, magari con chitarre e batterie. Ma anche questo non mi fa camminare sull’acqua. Faccio la Comunione in ginocchio, sulla lingua, e non cammino sulle acque; la faccio in piedi sulle mani, e non cammino sulle acque. Allora è magari il mio abito che può aiutarmi. Metto il cappuccio, ma non cammino sull’acqua. Tolgo il cappuccio, e non cammino sull’acqua. Per le monache: metto il velo, tolgo il velo; provo a mettere il soggolo e poi lo tolgo. Ma in nessun caso questo mi aiuta a camminare sull’acqua. Forse è il tipo di osservanza che mi può aiutare. Provo a seguire un’osservanza molto monastica, con tanta clausura, silenzio continuo, tre ore al giorno di lectio divina, lunghi tempi di adorazione, lavoro manuale… Ma tutto questo non mi fa camminare sull’acqua. Allora provo ad essere più aperto, a non avere mai silenzio, a fare lavoro pastorale, scuole e parrocchie, e a uscire ad ogni occasione. Ma metto il piede in acqua e anche tutto questo non mi fa camminare sul mare. 3 Insomma, le tento tutte, tutti gli stili, tutte le tendenze, tutte le pratiche e i metodi possibili, tutte le osservanze, strette, medie, larghe… E nulla di questo, di per sé, mi permette di camminare sulle acque, cioè di seguire la vocazione a cui mi chiama Gesù.
Alla fine, esasperato, sul punto di lasciare tutto e di rinunciare a camminare sulle acque, perché tanto è impossibile, alla fine alzo lo sguardo e mi accorgo che Gesù è ancora lì, in mezzo al mare in tempesta, che mi guarda, che mi ama, sorride e mi ripete: “Vieni!”. E come distratto da questo sguardo, da questo amore, senza pensarci, istintivamente, come un ragazzino innamorato, vado verso di Lui, mi lascio attrarre solo da Lui, senza pensare né ai miei piedi, né all’acqua, né alle osservanze. E allora, miracolo! Senza accorgermi sto camminando sulle acque! Sto avanzando nella mia vocazione! Sto convertendomi alla santità! Il mio cuore si dilata nell’amore di Dio e dei fratelli!
Allora capisco che anche tutte le osservanze, le pratiche, le missioni, gli stili di vita monastica, tutto è buono e serve la vocazione e ci santifica solo se serve ad accorgermi che Gesù è lì a guardarmi e a chiamarmi, a confortarmi e a rendere possibile, suscitando il mio amore, l’impossibile viaggio, seguendolo verso la vita eterna, nel seno del Padre!