Don Gaetano porta la luce…

Marina Corradi – Avvenire →

Casalotti, periferia della capitale, oltre il raccordo anulare. Un portone, un cancello spalancato su un bel giardino. Un grosso cane buono che dorme nell’ombra, dei ragazzi intenti a fare pulizie. In una sala da pranzo la tavola è apparecchiata per venti persone. Qui, ogni sera, don Gaetano mangia con i suoi ragazzi. Sette vengono dal carcere minorile di Casal del Marmo; un’altra decina sono migranti stranieri, minorenni, approdati soli in Italia.

Di cosa si parlerà a questa tavola la sera, quali ricordi affioreranno, mentre fuori sul raccordo anulare le auto dei pendolari incolonnate lentamente rincasano? I migranti ragazzini dicono in un italiano incerto del deserto, della traversata del mare, della paura. Per quelli che vengono dal carcere è forse più difficile, raccontare. Quanto a don Gaetano, lui non fa, dice, differenze. Tutti a casa, la sera alle otto. E non va a dormire, se uno solo tarda a rientrare. Come un padre, o una madre, che tende l’orecchio, aspettando i passi del figlio sulle scale.

Don Gaetano Greco, nato nel ’47 a San Giovanni Rotondo, il paese di Padre Pio, è dal 1981 il cappellano del Carcere minorile di Casal del Marmo. Nel ’95 ha fondato questo centro per i minori, Borgo Amigò, dal nome del fondatore dell’ordine dei Terziari Cappuccini dell’Addolorata, cui Greco appartiene. Qui ospita i ragazzi affidatigli dal Tribunale. Colpevoli, anche, di reati gravi. Eppure il cancello aperto non ha, attorno, alcuna recinzione. Si vive in un rapporto di fiducia, di una parola data. Deve essere forte, pensi, l’affetto e l’autorevolezza che circondano questo prete, a cui obbediscono i ragazzi più travagliati, come se in lui avessero trovato un padre. Ha una faccia simpatica, su cui il dolore che ha visto affiora, senza cancellare il sorriso. Ma come nasce una simile vocazione, un’intera vita accanto ai figli che gli altri rifiutano? «Io sono figlio di contadini – racconta – eravamo sei fratelli, mia mamma era devota a Padre Pio. L’idea di diventare prete l’avevo in mente fin da bambino. Mi affascinarono i giovani Terziari Cappuccini che arrivarono in una chiesa vicino a casa nostra. Avevano una vocazione all’aiuto dei giovani “difficili”. Sentivo raccontare da loro le storie di ragazzi apparentemente persi, e poi recuperati. Mi rimase in mente un’espressione: “Per ogni ragazzo salvato, si salva una generazione”».

Ad appena 11 anni entra in Seminario nel Salento, dopo avere ricevuto, in sagrestia, la benedizione di Padre Pio. A 17 i primi voti, a 26 l’ordinazione. Il tirocinio in Spagna, nella Mancha, perché il fondatore dell’Ordine, Luigi Amigò, era un vescovo spagnolo. Poi nell’istituto per minori di Monastir, in Sardegna, Greco sperimenta la possibilità di un nuovo sistema di rieducazione, oltre le sbarre: e questa speranza lo entusiasma. Arriva a Roma, a Casal del Marmo. Sono i tempi dei ragazzi “rossi” e “neri”, del terrorismo. Poi, arriva l’eroina. Approdano nell’istituto gli adolescenti sbarcati a Roma in cerca di fortuna, e finiti nei guai; e i figli delle borgate. Ma già cominciano a vedersi i primi stranieri, avanguardia di una nuova grande onda.

Don Gaetano ha visto passare generazioni di figli ribelli, o disperati, o abbandonati a se stessi. Eppure, dice, tutti in fondo, cercavano una cosa sola: «Qualcuno che li ascoltasse, che non li rifiutasse, non avesse paura di loro. Perché spesso, oggi, gli adulti hanno paura dei giovani, non sanno essere paterni. Rispetto a trent’anni fa quelli in difficoltà sono molti di più, una conseguenza delle famiglie in frantumi. I figli soffrono terribilmente nel sentirsi abbandonati: l’abbandono è la piaga forse più difficile da recuperare. Oppure vedo famiglie cieche, in cui i genitori, troppo impegnati nel lavoro, non si accorgono di nulla. So che è impopolare dirlo, ma sono venute a mancare le madri: lo sguardo, l’attenzione che sapevano avere le madri. E i padri, appaiono spesso svuotati di ogni autorità».

Le generazioni si sono succedute in questi trent’anni, sotto gli occhi del sacerdote. «Con i primi leggevo il Vangelo in carcere, e riscoprivano la fede. Ora invece partono da zero, non sono “contro” la Chiesa, perché non sanno più niente. Naturalmente, poi, ormai gli islamici e gli ortodossi dei Paesi dell’Est hanno superato gli italiani». Uno spaccato dell’Italia più dolente, nei corridoi di Casal del Marmo. Ma, quando passa il cappellano tutti domandano una parola. Greco: «Ogni rapporto comincia da un piccolo gesto di attenzione: magari solo il portare a un ragazzo un francobollo e una busta, perché scriva a casa. E ti commuove come ti aspettano, e come sono in ansia, se tardi ad arrivare».

Forse, per molti, quel prete è il primo padre che incontrano. Gli vogliono bene. E lui continua a volergliene comunque, anche se tornano a rubare. «Li andavo a trovare alla Stazione Termini ed erano contenti di vedermi, contenti che qualcuno li cercasse. Poi si scusavano, sa, padre, ora devo “lavorare”».

La novità, lo stupore, è qualcuno che voglia loro bene, comunque. Ma è sempre solo questione di mancanza di amore? Non ha mai conosciuto, padre, dei ragazzi cattivi? Tace e riflette, interrogandosi. Si vede che vorrebbe dire, semplicemente, di no. «Guardi, il germe della cattiveria – dice, quasi a fatica – l’ho visto nascere in quei ragazzi che si sono sentiti abbandonati dalla madre. Questo abbandono genera una profonda paura, e poi aggressività. Poi, si ritrovano dentro a drammi da cui non riescono più a uscire».

Storie, occhi, facce stanno a decine nella memoria del cappellano. Quel ragazzo borghese che un giorno sterminò, senza alcuna ragione, padre, madre e fratello. In carcere non parlava con nessuno. Però gli piaceva giocare a ping pong: allora don Gaetano per settimane giocò con lui lunghe, mute partite – senza far domande. Finché il ragazzo un giorno mise giù la racchetta: «Oggi no, ho bisogno di parlare». E il figlio del mafioso? Finito dentro, giovanissimo, pregò don Greco di fargli conoscere suo padre, che quasi non aveva mai visto, ed era in un carcere di massima sicurezza. «Lo accompagnai, e quei due quasi non sapevano cosa dirsi. Ma alla fine il padre, nel congedarsi, parlò: “Cambia vita, ti prego, non tornare indietro. Io ho creato solo dolore”. Ora quel ragazzo lavora, è sposato, ha due bambini».

Ma il volto che ancora pesa di più nella memoria è quello di un giovane detenuto che una sera, mentre don Greco se ne andava, gli chiese di parlargli. «Quella sera io non potevo fermarmi. La mattina dopo mi dissero che il ragazzo, nella notte, si era ucciso». Una commozione intensa gli passa negli occhi, il solco di un grande dolore. «Quella tragedia mi ha spinto a stare ancora più dentro al carcere, ancora più vicino». Anni dopo un’altra sera, un altro adolescente appena arrestato gli chiese di parlare. Poche parole, faccia a faccia. Poi, gli consegnò una cintura: «Tenga padre, con questa stanotte volevo impiccarmi».

«Il momento dell’arresto – dice don Gaetano – è critico, perché è l’ennesima di una lunga serie di sconfitte. Questi ragazzi hanno già “perso” in famiglia, hanno “perso” a scuola, l’arresto può farli crollare. Hanno “perso”, spesso, anche all’oratorio: quanti ne arrivano, che sono stati mandati via anche da lì». E lei, allora, cosa direbbe ai sacerdoti di oratorio? «Direi di cercare di volere bene davvero a quei ragazzi, di non cedere alle provocazioni, che spesso sono una richiesta di attenzione. Se gli vuoi bene davvero, lo avvertono: e qualcosa cambia».

Una questione di amore, solo d’amore, sembra ripeterti quest’uomo. E l’energia, per esserne capaci? «È solo Cristo. Senza di lui tutto sarebbe impossibile. Lui è la mia energia vitale». Due anni fa, il Giovedì Santo, il Papa, appena eletto, volle andare dai ragazzi di Casal del Marmo. A dodici di loro lavò i piedi. «All’inizio c’erano quelli che non capivano, che non volevano. Eppure alla fine fu un momento splendido: come se tutti, di ogni fede, fossimo uniti in uno spirito buono. Come se, per un momento, non ci fossero più barriere».

Da qualche anno a Borgo Amigò c’è un centro sportivo, e la piscina, e vengono a fare sport i ragazzini del quartiere. Ma, e i genitori non hanno paura? Greco sorride tranquillo: «No. Vedono, e si fidano». Ciò che alcuni, qui dentro, hanno alle spalle, non è cosa da poco. Eppure vedi che tutti gravitano su don Gaetano, come i figli di una numerosa famiglia. Te ne torni verso il centro domandandoti come fanno, certi uomini, a fare certe cose. Questo qui, per esempio, felice di portare ogni domenica l’Eucaristia in un carcere minorile, ma lui preferisce dire che porta «Cristo, a Casal del Marmo». La forza, il motore è in quel nome. Ha cara una frase: «Io mi dono tutto a tutti, e come potrei non farlo, quando so che tutto mi è stato dato gratuitamente». Parole di Padre Pio, il santo del suo paese, caro a sua madre.

Dieci minuti dopo che hai salutato don Gaetano ti arriva un sms. È lui. «No, non esistono ragazzi cattivi», scrive, come se ci avesse pensato fino ad adesso, e non potesse tacere la certezza della sua vita.

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1 Commento

  1. Cosa c’è di più bello del PERDONO? Di una mano tesa che ti dice “Io ci sono, Io non ti lascio solo, Io non ti abbandono”
    Alla fine siamo tutti un po’ come quei ragazzi di Casal del Marmo; sta a noi poi decidere se accettare la mano tesa e aggrapparci ad essa.
    Il perdono è assicurato al 100% a tutti. Ma dobbiamo deciderlo noi, proprio come il ragazzo che amava giocare silenziosamente a ping pong, e poi ha deciso di aprire il proprio cuore, o il ragazzo che voleva usare la sua cintura per togliersi la vita, ma poi ha capito che la vita era troppo bella per compiere un gesto così estremo. Si sono sentiti amati, sono stati toccati. Hanno deciso di farsi toccare.
    In piena LIBERTA’. Ed è avvenuto il cambiamento.

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