don Michele Lugli
Recentemente ho letto “Di cosa è fatta la speranza” un bellissimo romanzo di Emmanuel Exitu. Racconta la storia di Cicely Saunders. È la pioniera delle cure palliative. Ha inventato gli Hospice. Ha dedicato la vita a curare gli incurabili quando nessuno si prendeva cura di loro.
Un momento chiave della sua vita è stato l’incontro con David un malato a cui nessuno aveva il coraggio di dire che era incurabile. Lui stesso lo intuisce: “Tutti si comportano come se sapessero qualcosa che non vogliono dirmi, una cosa grave su di me di cui tutti eccetto me sono a conoscenza. E non c’è niente di peggio”. Cicely è la prima che gli dice la verità. Tra loro nasce un’amicizia. Cicely lo visita tutti i giorni per prendersi cura di lui. Nel suo diario annota ogni cosa. Parlano, mangiano, si guardano, si innamorano… dopo 52 giorni David muore!
Cicely è straziata dal dolore. Pensa che se scomparirà il dolore scomparirà anche la memoria di lui; per questo ogni mattina rilegge il diario e rivive i 52 giorni che hanno passato insieme. Vuole tenere aperta la ferita perché in quella ferita c’è David. Finche un bel giorno accade qualcosa…
“Poi un bel giorno la finì, la fini di colpo un sabato mattina mentre faceva le pulizie, quando spalancò la porta della stanza e si trovò il sole che entrava di taglio dalla finestra… [immaginate un raggio di sole che entra in una stanza in penombra quando c’è un po’ di polvere che galleggia nell’aria e ti sembra che puoi quasi toccare la sua luce]
Cicely restò a lungo impalata a guardarlo, guardava e non riusciva a staccarsi. Lo guardò correre sulle coperte del letto, sul tappeto, sul pavimento nudo, sulle pareti vuote, correva verso di lei. E con la mano ancora sulla maniglia le scappò detto: “Che bello però”.
In quell’istante di sole, un sole qualunque di un giorno qualunque, Cicely scoprì che era stufa di piangere e straziarsi e che forse aveva ragione il cuore. Doveva decidere: accontentarsi di essere come si sentiva, come anzi aveva scelto di sentirsi, e dunque attorcigliarsi a tutte le buone ragioni che la facevano sentire violentata, distrutta e vuota, oppure seguire il più essere a cui la chiamava tutto il resto?.
Essere o più essere, questo è il problema. Da che parte voleva stare? In quel preciso istante di sole, nell’istante in cui se lo domandò, Cicely capì che aveva risposto ben prima di porsi la domanda, aveva già scelto. Che bello però.” [p. 233]
“Essere o non essere questo è il problema” direbbe l’Amleto di Shakespeare. Essere come dico io o non essere cioè scappare, abbandonare, smettere di vivere quando la vita mi ferisce. Invece per Cicely il problema della vita è un altro: “essere o più essere questo è il problema”.
Non è un gioco di parole, ma una posizione di fronte alla vita; “Essere” come mi sento, come ho deciso di sentirmi, come ho ragione di sentirmi, oppure “più essere”; cosa significa? Non significa pensare positivo o sforzarsi di fare… significa rispondere a quel raggio di sole che entra nella nostra vita e che ci strappa dalla ragnatela dei nostri umori e malumori.
Vi ricordate Lazzaro? Gesù lo resuscita chiamandolo: Lazzaro vieni fuori! Il miracolo è fatto di due parti: Gesù che chiama e Lazzaro che risponde; se Lazzaro non risponde il miracolo non avviene e la sua vita rimane una tomba. La stessa cosa accade con Abramo; Dio gli promette una discendenza numerosa come le stelle del cielo, ma a una condizione: Abramo esci dalla tua terra – cioè dal tuo modo di concepire la vita – e va dove ti mostrerò.
Attenzione! la finestra da cui entra un raggio di sole non è una immagine poetica. Quella finestra è David; durante i 52 giorni con lui Cicely comincerà a intuire la sua vocazione: prendersi cura degli incurabili; un giorno Cicely glielo confida: “voglio accoglierli in una casa specializzata come un ospedale e un ospedale caldo come una casa”. David allora le dona i suoi ultimi risparmi e le dice: “sono per la tua casa-ospedale. Facci una finestra… Io voglio essere una finestra della tua casa”.
Il letto in cui un malato terminale vive gli ultimi giorni della sua vita diventa così la finestra da cui entra la luce di Dio che svela a Cicely la sua vocazione; in un letto di morte viene concepita la vita; David ha fecondato Cicely; l’opera dell’Hospice è figlio di entrambi; a quel punto Cicely doveva decidere se continuare a piangere o mettersi all’opera. Se abortire o accogliere la nuova creatura. Grazie a Dio ha deciso di rispondere alla chiamata.
Così David diventa sacro. Non per la nostalgia romantica e sentimentale di un amore perduto, ma perché la ferita che ha lasciato diventa una feritoia attraverso cui passa la grazia; per questo sarà, nonostante la morte, un compagno di cammino, una finestra sempre aperta nel dialogo con il mistero.
Speriamo di poter vivere l’avvento con la stessa apertura d’animo. L’avvento è il tempo dell’attesa. Ma è anche il tempo della venuta di Cristo. Attendiamo colui che viene. Gesù viene come un raggio di sole che entra nella nostra vita grigia e la feconda attraverso un volto che è sia finestra che ferita come David per Cicely. Gesù viene e ci propone un viaggio più grande della nostra immaginazione.