I topi

Dino Buzzati

Roma è infestata dai topi! Per riflettere e non sottovalutare il problema vi segnaliamo questo racconto di Dino Buzzati. Uomo avvisato mezzo salvato!


Che ne è degli amici Corio? Che sta accadendo nella loro vecchia villa di campagna, detta la Doganella? Da tempo immemorabile ogni estate mi invitavano per qualche settimana. Quest’anno per la prima volta no. Giovanni mi ha scritto poche righe per scusarsi. Una lettera curiosa, che allude in forma vaga a difficoltà o a dispiaceri familiari; e che non spiega niente.

Quanti giorni lieti ho vissuto in casa loro, nella solitudine dei boschi. Dai vecchi ricordi oggi per la prima volta affiorano dei piccoli fatti che allora mi parvero banali o indifferenti. E all’improvviso si rivelano.

Per esempio, da un’estate lontanissima, parecchio prima della guerra – era la seconda volta che andavo ospite dei Corio – torna a mente la seguente scena: Mi ero già ritirato nella camera d’angolo al secondo piano, che dava sul giardino – anche gli anni successivi ho dormito sempre là – e stavo andando a letto. Quando udii un piccolo rumore, un grattamento alla base della porta. Andai ad aprire. Un minuscolo topo sgusciò tra le mie gambe, attraversò la camera e andò a nascondersi sotto il cassettone. Correva in modo goffo, avrei fatto in tempo benissimo a schiacciarlo. Ma era così grazioso e fragile.

Per caso, il mattino dopo, ne parlai a Giovanni.

“Ah, sì” fece lui distratto “ogni tanto qualche topo gira per la casa.”

“Era un sorcio piccolissimo… non ho avuto neanche il coraggio di…”

“Sì, me lo immagino. Ma non ci fare caso…” Cambiò argomento, pareva che il mio discorso gli spiacesse.

L’anno dopo. Una sera si giocava a carte, sarà stata mezzanotte e mezzo, dalla stanza vicina – il salotto dove a quell’ora le luci erano spente – giunse un clac, suono metallico come di una molla.

“Cos’è?” domando io.

“Non ho sentito niente” fa Giovanni evasivo. “Tu Elena hai sentito qualche cosa?”

“Io no” gli risponde la moglie, facendosi un pò rossa.

“Perché?” Io dico: “Mi sembrava che di là in salotto… un rumore metallico… “. Notai un velo di imbarazzo. “Bene, tocca a me fare le carte?”

Neanche dieci minuti dopo, un altro clac, dal corridoio questa volta, e accompagnato da un sottile strido, come di bestia.

“Dimmi, Giovanni” io chiedo “avete messo delle trappole per topi?”

“Che io sappia, no. Vero, Elena? Sono state messe delle trappole?”

Lei: “E che vi salta in mente? Per i pochi topi che ci sono!”.

Passa un anno. Appena entro nella villa, noto due gatti magnifici, dotati di straordinaria animazione: razza soriana, muscolatura atletica, pelo di seta come hanno i gatti che si nutrono di topi. Dico a Giovanni: “Ah, dunque vi siete decisi finalmente. Chissà che spaventose scorpacciate fanno. Di topi qui non ci sarà penuria”.

“Anzi” fa lui “solo di quando in quando… Se dovessero vivere solo di topi…”

“Però li vedo belli grassi, questi mici.”

“Già, stanno bene, la faccia della salute non gli manca. Sai, in cucina trovano ogni ben di Dio.”

Passa un altro anno e come io arrivo in villa per le mie solite vacanze, ecco che ricompaiono i due gatti. Ma non sembrano più quelli non vigorosi e alacri, bensì cascanti, smorti, magri. Non guizzano più da una stanza all’altra celermente. Al contrario, sempre tra i piedi dei padroni, sonnolenti, privi di qualsiasi iniziativa. Io chiedo: “Sono malati? Come mai così sparuti? Forse non hanno più topi da mangiare?”.

“L’hai detto ” risponde Giovanni Corio vivamente. “Sono i più stupidi gatti che abbia visto. Hanno messo il muso da quando in casa non esistono più topi… Neanche il seme ci è rimasto!” E soddisfatto fa una gran risata.

Più tardi Giorgio, il figlio più grandicello, mi chiama in disparte con aria di complotto: “Sai il motivo qual è? Hanno paura!”.

“Chi ha paura?”

E lui: “I gatti, hanno paura. Papà non vuole mai che se ne parli, è una cosa che gli dà fastidio. Ma è positivo che i gatti hanno paura”.

“Paura di chi?”

“Bravo! Dei topi! In un anno, da dieci che erano, quelle bestiacce sono diventate cento… E altro che i sorcettini d’una volta! Sembrano delle tigri. Più grandi di una talpa, il pelo ispido e di colore nero. Insomma i gatti non osano attaccarli.”

“E voi non fate niente?”

“Mah, qualcosa si dovrà pur fare, ma il papà non si decide mai. Non capisco il perché, ma è un argomento che è meglio non toccare, lui diventa subito nervoso… ”

E l’anno dopo, fin dalla prima notte, un grande strepito sopra la mia camera come di gente che corresse. Patatrùm, patatrùm. Eppure so benissimo che sopra non ci può essere nessuno, soltanto la inabitabile soffitta, piena di mobili vecchi, casse e simili.

“Accidenti che cavalleria” mi dico “devono essere ben grossi questi topi”. Un tal rumore che stento a addormentarmi.

Il giorno dopo, a tavola, domando: “Ma non prendete nessun provvedimento contro i topi? In soffitta c’era la sarabanda, questa notte”.

Vedo Giovanni che si scurisce in volto: “I topi? Di che topi parli? In casa grazie a Dio non ce n’è più”.

Anche i suoi vecchi genitori insorgono: “Macché topi d’Egitto. Ti sarai sognato, caro mio”.

“Eppure” dico “vi garantisco che c’era il quarantotto, e non esagero. In certi momenti ho visto il soffitto che tremava.”

Giovanni s’è fatto pensieroso: “Sai che cosa può essere? Non te n’ho mai parlato perché c’è chi si impressiona, ma in questa casa ci sono degli spiriti. Anch’io li sento spesso… E certe notti hanno il demonio in corpo!”

Io rido: “Non mi prenderai mica per un ragazzetto, spero! Altro che spiriti. Quelli erano topi, garantito, topacci, ratti, pantegane!… E a proposito, dove sono andati a finire i due famosi gatti?”.

“Li abbiamo dati via, se vuoi sapere… Ma coi topi hai la fissazione! Possibile che tu non parli d’altro!… Dopo tutto, questa è una casa di campagna, non puoi mica pretendere che… ”

Io lo guardo sbalordito: ma perché si arrabbia tanto? Lui, di solito così gentile e mite.

Più tardi è ancora Giorgio, il primogenito, a farmi il quadro della situazione. “Non credere a papà” mi dice. ” Quelli che hai sentito erano proprio topi, alle volte anche noi non riusciamo a prender sonno. Tu li vedessi, sono dei mostri, sono; neri come il carbone, con delle setole che sembran degli stecchi… E i due gatti, se vuoi sapere, sono stati loro a farli fuori… è successo di notte. Si dormiva già da un paio d’ore e dei terribili miagolii ci hanno svegliato. In salotto c’era il putiferio. Allora siamo saltati giù dal letto, ma dei gatti non si è trovata traccia… Solo dei ciuffi di pelo… delle macchie di sangue qua e là.”

“Ma non provvedete? Trappole? Veleni? Non capisco come tuo papà non si preoccupi…”

“Come no? Il suo assillo, è diventato. Ma anche lui adesso ha paura, dice che è meglio non provocarli, che sarebbe peggio. Dice che, tanto, non servirebbe a niente, che ormai sono diventati troppi… Dice che l’unica sarebbe dar fuoco alla casa… E poi, poi sai cosa dice? è ridicolo a pensarci. Dice che non conviene mettersi decisamente contro.”

“Contro chi?”

“Contro di loro, i topi. Dice che un giorno, quando saranno ancora di più, potrebbero anche vendicarsi… Alle volte mi domando se papà non stia diventando un poco matto. Lo sai che una sera l’ho sorpreso mentre buttava una salsiccia giù in cantina? Il bocconcino per i cari animaletti! Li odia ma li teme. E li vuol tenere buoni.”

Così per anni. Finché l’estate scorsa aspettai invano che sopra la mia camera si scatenasse il solito tumulto. Silenzio, finalmente. Una gran pace. Solo la voce dei grilli dal giardino.

Al mattino, sulle scale incontro Giorgio: “Complimenti” gli dico “ma mi sai dire come siete riusciti a far piazza pulita? Questa notte non c’era un topolino in tutta la soffitta”.

Giorgio mi guarda con un sorriso incerto. Poi: “Vieni vieni” risponde “vieni un pò a vedere”.

Mi conduce in cantina, là dove c’è una botola chiusa da un portello: “Sono laggiù adesso” mi sussurra. “Da qualche mese si sono tutti riuniti qui sotto, nella fogna. Per la casa non ne girano che pochi. Sono qui sotto… ascolta…”

Tacque. E attraverso il pavimento giunse un suono difficilmente descrivibile: un brusìo, un cupo fremito, un rombo sordo come di materia inquieta e viva che fermenti; e frammezzo pure delle voci, piccole grida acute, fischi, sussurri.

“Ma quanti sono?” chiesi con un brivido.

“Chissà. Milioni forse… Adesso guarda, ma fa presto.” Accese un fiammifero e, sollevato il coperchéo della botola, lo lasciò cadere giù nel buco. Per un attimo io vidi: in una specie di caverna, un frenetico brulichio di forme nere, accavallantisi in smaniosi vortici. E c’era in quel laido tumulto una potenza, una vitalità infernale, che nessuno avrebbe più fermato. I topi! Vidi anche un luccicare di pupille, migliaia e migliaia, rivolte in su, che mi fissavano cattive. Ma Giorgio chiuse il coperchio con un tonfo.

E adesso? Perché Giovanni ha scritto di non potere più invitarmi? Cosa è successo? Avrei la tentazione di fargli una visita, pochi minuti basterebbero, tanto per sapere. Ma confesso che non ne ho il coraggio. Da varie fonti mi sono giunte strane voci. Talmente strane che la gente le ripete come favole, e ne ride. Ma io non rido.

Dicono per esempio che i due vecchi genitori Corio siano morti. Dicono che nessuno esca più dalla villa e che i viveri glieli porti un uomo del paese, lasciando il pacco al limite del bosco. Dicono che nella villa nessuno possa entrare; che enormi topi l’abbiano occupata e che i Corio ne siano gli schiavi.

Un contadino che si è avvicinato – ma non molto perché sulla soglia della villa stava una dozzina di bestiacce in atteggiamento minaccioso – dice di aver intravisto la signora Elena Corio, la moglie del mio amico, quella dolce e amabile creatura. Era in cucina, accanto al fuoco, vestita come una pezzente; e rimestava in un immenso calderone, mentre intorno grappoli fetidi di topi la incitavano, avidi di cibo. Sembrava stanchissima ed afflitta. Come scorse l’uomo che guardava, gli fece con le mani un gesto sconsolato, quasi volesse dire: “Non datevi pensiero, è troppo tardi. Per noi non ci sono più speranze”.


La lotta con il male è una lotta quotidiana. Questo racconto m’impressiona perché parte da un topino piccolo piccolo che passava, che gli faceva perfino tenerezza anni prima. E invece il male, il topolino, si moltiplica e cominci ad averne paura e poi non lo domini più. È una lotta, una vera lotta quotidiana. [F. Nembrini]