Cose che nessuno sa – Alessandro D’avenia pp. 33-36; Mondadori. →
5000.
1000.
5.
Scrisse così senza dire una parola, poi si sedette dietro la cattedra e cominciò a fissarli uno per uno, come se quel silenzio potesse svelare il loro vero volto.
Aprì il registro e cominciò a pronunciare i cognomi dei ragazzi con solennità eccessiva. Dopo ogni cognome si fermava e fissava chi, timidamente o con spavalderia, a seconda della maschera più rassicurante, alzava la mano o pronunciava attestati più o meno convinti di presenza. Li fissava negli occhi e non si rendeva conto che aumentava la loro paura già incontrollata. Non voleva si trattasse del solito appello di un’ora di italiano che sarebbe finita di lì a poco e dimenticata.
Tra quelle mura si sentiva invincibile, poteva riempire lo spazio di personaggi usciti dalle pagine dei libri e metterli in dialogo con quei ragazzi, ai suoi occhi personaggi anche loro, più che persone. Nel guardarli li paragonava alle creature conosciute nei romanzi: il ragazzo con la faccia da bambino assomigliava a Oliver Twist, la ragazzina con le guance rosse sembrava uscita da Alice nel Paese delle Meraviglie e quella con lo sguardo timido rivolto verso il basso era uguale a Nausicaa.
Alla fine di quella litania terrificante, fatta di cognomi e sguardi, disse:
«D’ora in poi quando formulo l’appello ciascuno di voi risponderà: Adsum! E se qualcuno è assente gli altri diranno: Abest!»
«Perché in inglese?» chiese un ragazzino spavaldo con la zazzera bionda.
«È latino! “Oh creature sciocche, quanta ignoranza è quella che v’offende!”» rispose il professore, citando Dante.
Il ragazzino diventò paonazzo per la vergogna. Nessuno fiatava, ma tutti si chiedevano quale fosse il pianeta da cui era fuggito quel professore. Gli altri venivano da Marte, ma questo da qualche pianeta sperduto e più lontano ancora…
«All’appello si risponde in latino! La parola rispondere viene dal latino respondeo, da cui anche l’italiano responsabilità. Quando io vi chiamerò voi sarete invitati a rispondere così: ci sto.»
Un ragazzetto allampanato con la faccia da gatto dispettoso alzò la mano.
«Come ti chiami?»
«Aldo Cecchi.»
«Loquere.»
«No, non Luca, Aldo!» soffiò quello.
«Ti ho detto: parla, in latino, imperativo deponente.»
«Figo sto latino! Perché quei numeri? Lei non fa italiano e latino?»
Il professore fissò il soffitto e gli scagliò contro un sospiro.
«Mettiamo in chiaro alcune cose. Intanto la parola figo e i suoi derivati sono banditi da questa classe! Qui si usano aggettivi italiani e si cerca quello più adeguato alla sfumatura che si vuole attribuire alla parola: bello, interessante, affascinante, notevole, piacevole, ameno, leggiadro, elegante, armonioso, equilibrato, singolare, stimolante, intrigante, avvincente, appassionante, curioso, nobile, dignitoso, illustre, pregevole, mirabile… e così via! E poi usiamo l’aggettivo dimostrativo completo: questo latino, non sto latino. Aldo, sono stato chiaro?!»
«Io volevo solo sapere perché c’erano quei numeri alla lavagna…»
Il professore si avviò alla lavagna e accanto a 5000 scrisse: ore. Poi accanto a 1000: giorni. Infine accanto a 5: anni.
«Questo è il tempo che durerà la vostra storia d’amore.»
Tutti si misero a ridere, o quasi. Margherita rimase seria.
«Quella che comincia oggi con quest’ora è una storia di cinque anni, fatta di quei numeri lì. Ogni anno scolastico è fatto di duecento giorni e mille ore. Riuscite a immaginarlo? Cinquemila ore, mille giorni, cinque anni. È il tempo che passerete al liceo, salvo imprevisti per coloro che si appassioneranno in modo eccessivo ad alcune materie e avranno voglia di ripeterle…
Tutto questo tempo dovrà servirvi a qualcosa. Altrimenti l’unico scopo si ridurrà ad assolvere un dovere. Non avete più l’età per fare le cose semplicemente perché ve le dicono i vostri genitori. Fino a oggi hanno deciso tutto loro. Ora è venuto il momento di prendere le vostre decisioni. A questo servono i cinque anni di liceo.
“Ché perder tempo a chi più sa più spiace”» Li fissò per scovare qualcuno che avesse notato la citazione dantesca, ma il vuoto riecheggiava sulle loro facce. Continuò: «Un tempo magico, in cui potrete dedicarvi a cose che probabilmente non farete più nella vostra vita. Un tempo per scoprire chi siete e che storia siete venuti a raccontare su questa Terra. Non sopporto di vedere ragazzi che finiscono la scuola e non sanno se andare a lavorare o scegliere una facoltà universitaria o quale scegliere. Significa che hanno buttato quelle cinquemila ore, quei mille giorni.
L’unico modo che abbiamo per scoprire la nostra storia è conoscere quelle degli altri: reali e inventate. E noi faremo questo con la letteratura. Solo chi legge e ascolta storie trova la sua.
Quindi quello che oggi comincia è un viaggio con queste coordinate temporali e questo mare da navigare. Io sarò con voi solo per quest’anno, a meno che non mi confermino anche l’anno prossimo. Comunque vada ce la metteremo tutta, come si fa su una nave, in cui ciascuno ha il suo compito. Ecco perché farò l’appello, ogni volta. Per sapere se accettate la sfida, se salpate con me.»
Rimase in silenzio mentre passeggiava per i banchi e guardava a turno ciascuno dei suoi ragazzi. Riprese posto alla cattedra, afferrò il registro e poi disse:
«Cinquemila ore, mille giorni, cinque anni per trovare la propria storia nell’età che serve a questo. Ci state?»
Il silenzio era calato in aula. Nessuno osava chiedere se si trattasse di uno scherzo o di un gioco. La mistura di rigore e fascinazione provocava un effetto ambiguo in ragazzi ancora incapaci di dare forma alla vita.
Ecco perché farò l’appello, ogni volta. Per sapere se accettate la sfida, se salpate con me.» queste sono le parole del professore di Margherita. Anche una preghiera che si recita all’inizio di ogni attività recita: L’Angelo del Signore portò l’annuncio a Maria … e la Vergine concepì per opera dello Spirito Santo.
Proviamo a togliere il nome di Maria e mettiamo il nostro, così che anche ognuno noi accetti la sfida in prima persona di incominciare questo cammino nel migliore dei modi