Il silenzio attivo di Gesù

don Paolo Sottopietra – Fraternità e Missione

[…] Dopo aver riferito del bacio di Giuda e della cattura di Gesù (cfr. Mc 14, 43-49), Marco riporta due scene analoghe. In esse, silenzi e parole di Gesù si intrecciano in ordine inverso l’una rispetto all’altra, ma secondo la stessa logica. 

La prima scena si svolge davanti al Sinedrio (cfr. Mc 14, 53-64). I falsi testimoni sfilano davanti all’imputato, ma di fronte delle accuse che si susseguono Gesù tace. Finché non viene interrogato dal sommo sacerdote in modo diretto: Sei tu il Cristo, il figlio del Benedetto? (Mc 15, 61). Gesù allora manifesta apertamente la sua identità: Io lo sono (Mc 15, 62), ottenendo in cambio la condanna a morte per bestemmia (cfr. Mc 14, 63-64). 

La seconda scena si svolge invece davanti a Pilato (cfr. Mc 15, 1-15). In questo caso la domanda diretta, posta dal governatore, precede l’elenco dei capi di imputazione presentato dai capi dei Giudei. Tu sei il re dei Giudei? (Mc 15, 2), chiede Pilato, e Gesù risponde subito: Tu lo dici (Mc 15, 2). Poi tace di nuovo e non si cura delle accuse che si moltiplicano a suo carico. Marco specifica che Pilato ne restò meravigliato (Mc 15, 5) e proprio registrando questa reazione del governatore romano rende testimonianza alla realtà che sfuggiva al pagano: Gesù si è ormai ritirato in un altro luogo, dal quale scaturirà la sua azione decisiva. Quando Gesù, sul piano dell’azione storica e della costruzione, ha ormai tutto compiuto, quando ha pronunciato tutte le parole necessarie per annunciare e correggere, per prevedere il destino dei suoi e sostenerli, a Gesù non rimane che la forza della nuda testimonianza: Io lo sono (Mc 15, 62), Tu lo dici (Mc 15, 2). Essa ha una fecondità misteriosa, perché rivela un altro attore degli eventi, il Padre in cui Gesù confida: Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado […]. Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me (Gv 8, 14.18)

E infine Gesù riceve in silenzio la condanna, si sottopone alla flagellazione (cfr. Mc 15, 15) e allo scherno volgare dei soldati pagani (cfr. Mc 15, 16-20); in silenzio percorre la via che porta al Golgota (cfr. Mc 15, 21) e viene crocifisso (cfr. Mc 15, 24-27); accetta senza reagire le ingiurie dei passanti (cfr. Mc 15, 29, 30), il sarcasmo dei capi dei sacerdoti che ancora chiedono un miracolo perché vediamo e crediamo (Mc 15, 32) e perfino gli insulti dei due malfattori crocifissi ai suoi fianchi (cfr. Mc 15, 32). D’ora in poi Gesù non parla più agli uomini, si rivolge solo al Padre in un ultimo grido innalzato dalla croce prima di morire (cfr. Mc 15, 34). Infine Gesù spira e così entra nel vero santuario, nel cielo stesso, per comparire al cospetto di Dio in nostro favore (Eb 9, 24). Da qui egli restaura, redime, riacquista ciò che era suo e come pegno di questa vita che torna, l’evangelista Marco ci mostra il riconoscimento del centurione sotto la croce: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio (Mc 15, 39).

Pensando alla scena della Pentecoste e alle centinaia di persone che quel giorno aderirono alla fede, convertendosi a Cristo e riunendosi agli Apostoli (cfr. At 2, 41), veniamo presi da una grande gioia. La fede incerta di coloro che avevano seguito Cristo è resa forte e stabile dal dono dello Spirito Santo. Egli fa risorgere anche coloro che hanno vacillato e ceduto a causa dei terribili eventi della Passione. Il sacrificio di Cristo si compie in una festa di fede e di comunione.

Laddove tutti i mezzi umani sono stati giustamente impiegati, laddove ciò che era doveroso fare è stato fatto, allora dobbiamo dire con Cristo: Tutto è compiuto (Gv 19, 30). Cristo stesso ci richiama con il suo silenzio a ritirarci in un altro spazio, a partecipare alla sua Passione redentrice operando su un altro piano, più profondo, quello del dialogo personale con Dio e dell’intercessione. Quando la circostanza sembra umanamente senza uscita, risuona una chiamata ad unirci a lui nell’offerta silenziosa e apparentemente inattiva della nostra vita, perché l’atto con cui il Figlio ci ha salvato possa avere impatto sul nostro mondo. Il Vangelo ci insegna così a vincere la sviante superficialità con cui tendiamo a giudicare le vicende del mondo e della Chiesa, della nostra stessa vita.