Padre Mauro Lepori – Nella predilezione di Cristo pp. 69-78
Possiamo tutti fare un test. Quando ci svegliamo al mattino, prima di alzarci dal letto, come pensiamo alla giornata che si apre? Per cosa ci alziamo? Confesso che spesso comincio a pensare alle cose da fare, ai problemi da affrontare, alle persone da contattare e da incontrare, alle cose che avrei dovuto fare ieri e che non sono ancora riuscito a fare o a finire… Allora arriva la prima tentazione: quella di dirmi che anche oggi non ce la farò a fare tutto quello che dovrei. Così la giornata, prima ancora di iniziare, diventa come la giornata di uno che è condannato ai lavori forzati.È tutta solo un “da fare”, e il proprio “io” che si sveglia è come subito schiacciato da una montagna che gli crolla addosso.
Solgenitsin ha espresso molto bene tutto questo nelle sue opere sui lager. Penso per esempio a Una giornata di Ivan Denissovic. Tutta la giornata è una lotta per sopravvivere, per salvare se stessi e il proprio interesse in ogni minimo dettaglio. Per cui ogni minimo dettaglio, quello che si mangia, potersi riscaldare un po’ dal gelo siberiano, ecc., col tempo diventa più importante che la vita e la libertà. Il protagonista, Sciuchov, alla fine si chiede “se desiderava la libertà oppure no”, e non sa cosa rispondersi. Però almeno ammette: “Avrebbe desiderato la libertà soltanto per tornare a casa. Ma a casa non ce l’avrebbero fatto tornare…”, cioè il desiderio di familiarità che è fondamentale nel cuore dell’uomo, svanisce subito nello scetticismo.
Accanto a lui, nelle cuccette del dormitorio del lager, c’è un giovane di confessione battista, che prega e legge il Vangelo. Lui, dalla sua fede, anche se un po’ fondamentalista, trae la forza ingenua per accettare che la sua casa sia il lager, perché vive per Cristo e con Cristo. E il protagonista, anche se non ha questa fede, riconosce che il giovane vive una libertà e una pienezza che lui non ha: “Non mente, Alioscia, e dalla sua voce e dai suoi occhi si vede che è contento di trovarsi in prigione.” E gli dice: “Vedi, Alioscia, (…) da te vien fuori così bene: Cristo ti ha ordinato di vivere in prigione, e tu per Cristo ci sei andato a finire. Ma io perché sono finito dentro? Perché nel ’41 non erano pronti a fare la guerra. E io che c’entro?” (A. Solgenitsin, Una giornata di Ivan Denissovic, Ed. Garzanti 1974, pp. 200-201).
Ecco, magari anche ognuna delle nostre giornate può essere dura come un lager sovietico, ma il problema è la ragione per cui ci disponiamo a vivere la vita, a stare nella vita, ad affrontare la realtà. “E io che c’entro?”, potremmo dirci come Sciuchov. Cosa c’entriamo noi con la realtà che ci tocca vivere, con le persone con cui ci tocca passare la giornata, lavorare, con la nostra comunità, o con la nostra famiglia, ecc.?[…]
Ecco, quando stiamo per alzarci al mattino, potremmo proprio dirci che in fondo non c’entriamo con la giornata che inizia, perché affrontiamo la giornata come attraverso un filtro, quello della presunzione di dover dar valore noi alla giornata o che la giornata deve dare valore a noi. Noi abbiamo la presunzione di dover far bella e interessante la realtà di questo giorno attraverso quello che facciamo o quello che abbiamo. E pretendiamo che la realtà della giornata venga a soddisfarci con quello che sarà o ci porterà.Ma la presunzione ci inganna, perché essa ci illude di avere un contatto diretto con la realtà, fra noi e la realtà, e tutto deve regolarsi fra noi e la realtà, fra quello che siamo e quello che la realtà è, per cui o va bene o va male, o mi piace o non mi piace, non c’è altro valore fra me e il reale che il mio interesse, il mio progetto, il mio piacere.
Quando l’affrontiamo così, è vero che la vita prima o poi fa paura, non si ha voglia di viverla, perché questa pretesa è sempre delusa. Perché, dobbiamo riconoscerlo, la realtà non è fatta per soddisfarci. Meglio: non siamo fatti noi per soddisfarci della realtà quotidiana in cui viviamo. Siamo fatti per soddisfarci, per essere felici nellarealtà quotidiana, ma non dellarealtà quotidiana.
È il grande errore dei ricchi che Gesù condanna nel Vangelo: credono che i granai pieni siano una soddisfazione, una gioia, una pienezza per la loro vita. Ma questo non è vero, non è vero ontologicamente, perché il nostro cuore è fatto per altro. Anche se quel ricco stolto non fosse morto la notte seguente, anche se avesse vissuto cent’anni a godersi quello che aveva stipato nei suoi granai, anche in questo caso non sarebbe stato felice, non sarebbe stato soddisfatto, perché il suo cuore era fatto per altro(cfr. Lc 12,15-21). […]
La grande scelta del mattino
La grande rivoluzione, quella che permette ad ognuno di noi di alzarsi nel modo giusto ogni mattino, è proprio l’annuncio del Prologo del Vangelo secondo san Giovanni: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Da quell’istante, tutta la realtà umana e quotidiana non è più la scena del nostro da fare e del nostro possedere, ma il luogo in cui il Verbo vuole abitare con noi, in cui Dio vuole vivere una familiarità con noi, con il nostro cuore, e il luogo in cui vivere assieme agli altri questa familiarità con Dio che è la pienezza di ogni vita.
Ecco, quando siamo in procinto di alzarci al mattino dobbiamo fare questo test, interpellare la nostra libertà, il nostro cuore. Mi alzo per affrontare la realtà come un “da fare” o per vivere la familiarità con Cristo in ogni circostanza, ogni incontro, ogni istante, in ogni gesto? Mi alzo per fare o per incontrare?
La prospettiva della familiarità con Cristo dà al mattino la letizia dell’inizio. Il mattino è veramente un mattino, un’alba nuova. Se invece affronto la giornata con la pretesa del da fare, imposta fra me e la realtà, la prima cosa a cui penso è cosa avrò ottenuto stasera, cosa sarò riuscito a fare, a ottenere, a guadagnare da questa giornata. Ed è come se invece di alzarci all’alba ci alzassimo al tramonto, quando cade la notte, tristi e delusi prima ancora di iniziare il giorno, perché in realtà non iniziamo nulla. […]
La freschezza del mattino, la bellezza di poter cominciare con stupore un nuovo giorno, non la educhiamo in noi con uno sforzo di volontà, ma riprendendo coscienza che il nostro compito quotidiano non è quello che dobbiamo fare noi ma di lasciar compiere al Signore la sua opera. È una grande conversione per noi passare dal valore che diamo noi alle cose e al tempo, al valore che dà Dio, che è Dio. Quello che vale davvero nella nostra vita non è quello che facciamo noi, ma quello che fa Dio. E quello che facciamo noi ha valore se lo compiamo dentro un’obbedienza, cioè facendoci strumenti di Dio, dell’opera di Dio.