Il Venerdì Santo della vita

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Quando Gesù è morto, per gli Apostoli e per chi Lo seguiva è crollato il mondo. Nonostante la familiarità e la certezza che gli anni di frequentazione con Lui avevano generato in loro, il giorno della Sua morte sono tornate a galla le componenti più umane dei loro sentimenti.

Ho provato tante volte a immaginarmi cosa abbia potuto voler dire vedere finire – e nel peggiore dei modi, finendoci di mezzo pure loro – qualcosa in cui avevano sinceramente creduto, e che sembrava loro finalmente ben avviato. Chissà quante volte Gesù avrà spiegato loro che la strada verso il Suo trionfo non sarebbe stata come loro – umanamente e legittimamente – se la immaginavano. Chissà quanti episodi piccoli o grandi avrebbero dovuto far loro capire che la sofferenza e la sconfitta, e non il trionfo e la gloria umana, erano le cifre della grandezza che Gesù prometteva. Eppure erano uomini come noi, e quando Gesù ha perso e hanno vinto “i cattivi” hanno certamente pensato che fosse tutto finito.

Qualcuno di sicuro ha pensato di essersi illuso troppo, di aver fatto male a non tener conto di quel presentimento per cui “io in fondo lo sapevo che finiva male”.

Avevano mollato il lavoro, la vita sociale, gli amici, gli affetti, la famiglia, la propria donna, la reputazione, qualcuno pure la salute per seguire Gesù. Non è che non ci avessero investito: ci avevano puntato proprio tutto. E di colpo si sono trovati con niente in mano, con la vita rovinata: Lui aveva perso, e a loro restava la catastrofe addosso. Non avrebbero più potuto tornare alla vita di prima, e non avevano probabilmente nessuna prospettiva per il futuro. Tutto finito. Male. E in modo incontrovertibile, irreversibile, irrimediabile. Lui morto, loro fottuti.

Noi oggi sappiamo come è andata a finire, ma questo non ci risparmia un percorso molto simile nel momento in cui – e succede a tutti, prima o poi, almeno una volta – arriva il Venerdì Santo della vita. Non un momento di fatica o di dolore, per quanto enormi, ma proprio il momento in cui tutto ti crolla sotto i piedi. Quando davvero, in barba alla tua storia e ai segni evidenti che hai e hai avuto, pensi di essere stato raggirato, di esserci rimasto con il cerino in mano. Tutto crolla, le certezze muoiono, e improvvisamente ti guardi da fuori e ti vedi come uno stolto, rileggi la tua storia e ti dici “io in fondo lo sapevo che finiva male”.

E qual è l’errore più facile e più disastroso che possiamo commettere quando questo avviene (e avviene, senza necessariamente passare per grandi tragedie personali o avvenimenti catastrofici)? Quello di cedere alla tentazione di prendere decisioni in fretta. Perché l’uomo è fatto così: vuole decidere il Venerdì Santo stesso. La sera stessa della morte di tutto, sente il bisogno di fissare un punto e definire il prossimo passo. Se gli Apostoli avessero preso la loro decisione il Venerdì Santo, la Chiesa non esisterebbe.

Invece l’unica cosa saggia da fare, chiedendo la grazia di esserne capaci, è quella di saper esercitare la pazienza.

La Santa Pazienza di sopportare l’incomprensibile dolore del Venerdì Santo, non prendendo decisioni.

La Santa Pazienza di obbligarsi al silenzio del Sabato, quando ancora si è straniti e increduli, ma contemporaneamente si inizia a realizzare che è tutto successo per davvero.

La Santa Pazienza che ci saprà portare, immancabile, all’alba della Resurrezione. Che arriva, e improvvisamente capovolge tutti i verdetti.

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