Frammento tratto da Bariona o il figlio del tuono di Jean-Paul Sartre pp. 3-4 e 90-92 →
Parla il narratore
Sono cieco, per caso, ma prima di perdere la vista, ho guardato più di mille volte le immagini che contemplerete. Le conosco a memoria poiché mio padre era presentatore d’immagini come me e me le ha lasciate in eredità. Quella che vedete dietro di me, e che vi mostro col bastone, so che rappresenta Maria di Nazareth.
L’angelo viene ad annunciarle che avrà un figlio e che questo figlio sarà Gesù, nostro Signore. L’angelo è immenso con delle ali come due arcobaleni. Potete vederlo; io non lo vedo più, ma lo guardo ancora nella mia mente. È disceso come un’inondazione nell’umile casa di Maria e la riempie ora del suo corpo fluido e sacro, del suo grande abito svolazzante. […] Sta davanti a Maria e Maria lo guarda appena. Ella riflette.
L’angelo non ha avuto bisogno di scatenare la sua voce come l’uragano. Egli non ha parlato; ella lo presentiva già nella sua carne. Ora l’angelo sta davanti a Maria e Maria è impenetrabile e cupa come una foresta di notte e la buona novella si è perduta in lei come un viaggiatore si perde nei boschi. E Maria è piena di uccelli e del lungo stormire delle fronde. E mille pensieri senza parola si destano in lei, pensieri pesanti di madri che accettano il dolore.
L’angelo ha l’aria interdetta davanti a questi pensieri troppo umani: gli dispiace essere angelo perché gli angeli non possono nascere né soffrire. E quel mattino di Annunciazione, davanti agli occhi sorpresi di un angelo, è la festa degli uomini poiché è il tempo dell’uomo essere sacro. Guardate bene l’immagine, miei buoni signori […] il prologo è terminato; la storia incomincerà nove mesi più tardi, il 24 dicembre, nelle alte montagne della Giudea.
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Siccome oggi è Natale, avete il diritto di esigere che vi si mostri il presepe. Eccolo. Ecco la Vergine ed ecco Giuseppe ed ecco il bambino Gesù. L’artista ha messo tutto il suo amore in questo disegno ma voi lo troverete forse un po’ naïf. Guardate, i personaggi hanno ornamenti belli ma sono rigidi: si direbbero delle marionette. Non erano certamente così. Se foste come me, che ho gli occhi chiusi… Ma ascoltate: non avete che da chiudere gli occhi per sentirmi e vi dirò come li vedo dentro di me.
La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L’ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio! Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un sacro timore per questo Dio muto, per questo bambino terrificante.
Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita, ma è popolata di pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana davanti a suo figlio.
Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: «Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia». E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive.
Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l’espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride. Questo è tutto su Gesù e sulla Vergine Maria.
E Giuseppe? Giuseppe, non lo dipingerei. Non mostrerei che un’ombra in fondo al pagliaio e due occhi brillanti. Poiché non so cosa dire di Giuseppe e Giuseppe non sa che dire di se stesso. Adora ed è felice di adorare e si sente un po’ in esilio. Credo che soffra senza confessarselo. Soffre perché vede quanto la donna che ama assomigli a Dio, quanto già sia vicino a Dio. Poiché Dio è scoppiato come una bomba nell’intimità di questa famiglia. Giuseppe e Maria sono separati per sempre da questo incendio di luce. E tutta la vita di Giuseppe, immagino, sarà per imparare ad accettare. Miei buoni signori, questa è la Sacra Famiglia.