Don Luigi Maquignaz
Nella rivelazione cristiana […] salire le montagne, raggiungere le vette è la metafora del cammino dell’uomo alla ricerca dell’Assoluto, di Dio.
Mi fa piacere che tu lo abbia ripreso, anche perché chi hai davanti a te si è convinto definitivamente a fare il prete proprio mentre era in montagna, durante una scalata importante, quando ho salito il Cervino per la via Furggen nell’estate del 1947. Ero entrato in seminario sette anni prima, ma ero andato in crisi. […] In quel continuo tergiversare – prete si, prete no – […] ero lì che continuavo ad arrovellarmi […] quando le mie certezze furono tutte troncate di netto, al punto da svanire completamente durante un’ascensione in montagna.
L’occasione mi fu offerta da una salita sul Cervino per la via Furggen, una delle più difficili creste, intrapreso insieme a Carrellino [guida alpina detto il “signore del Cervino”] […]. Alle 10 del mattino eravamo già in vetta e abbiamo cominciato a scendere dalla parte italiana per guadagnare tempo. Sotto il Pic Tyndall ci aspettava una scena raccapricciante. Un giovane alpinista era attaccato al suo moschettone, aveva le mani insanguinate per lo sforzo di tenere la corda alla quale era legato il suo compagno precipitato nel vuoto con uno sbalzo di circa 20 m. Ci avviciniamo con precauzione verso il giovane al limite della sua resistenza e pian pianino cominciammo a tirare su la corda. Il caduto era decisamente grave, non era in grado di muoversi e si lamentava di aver molto male dappertutto. Che fare? Carrellino decise di scendere immediatamente alla capanna Carrel assieme all’altro alpinista che, pur spaventato e ferito alle mani, era in grado di camminare, per mandare dalla capanna segnali di soccorso […].
Io […] rimasi accanto a quel giovane alpinista che si lamentava insistentemente per i forti dolori in tutte le parti del corpo e soprattutto per il gran freddo che sentiva. Cercai di massaggiarlo nella speranza di riattivare la circolazione del sangue, mi tolsi anche la giacca per coprirlo un poco, ma inutilmente, il freddo lo faceva tremare. Mi sembrò che dovesse morire da un momento all’altro. E allora gli chiesi se volesse dire l’”Atto di dolore”. Lui spalancò due grandi occhi e, aprendo appena appena la bocca, mi rispose gemendo: “ma io non voglio morire! No, non voglio morire”.Gli spiegai: “io sono qui con te e, come hai visto facciamo tutto il possibile per salvarti, però non so come andrà a finire. L’Importante è che, se il Signore ti dovesse chiamare, tu possa arrivare ben preparato ad incontrarlo. […] tieni duro, non succederà, ma se per caso dovessi morire, va di là con il passaporto firmato”.
Per alcuni istanti rimase zitto; quando riaprì la bocca, lo fece per dirmi solo di si: sì facciamo così come dici. Recitammo insieme: “Mio Dio, mi pento mi tolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi e molto più perché ho offeso te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Signore, misericordia, perdonami”.Credo di aver detto quel giorno il miglior “Atto di dolore”in vita mia. Prima di concludere insieme recitiamo anche un’Avemaria. Dopo mi parlò della sua mamma, mi incaricò di portarle saluti e di chiederle perdono. Mi citò ancora il nome di una ragazza. Era la sua fidanzata.
La situazione si faceva sempre più difficile, anzi mi sembrava che precipitasse. Carrellino ebbe la fortuna di trovare nella capanna due guide […] lasciarono l’infortunato che era sceso con Carlino alla capanna e subito tutti e tre si misero a risalire per darci soccorso. Riuscimmo legare il giovane alpinista ferito e a trasportarlo accucciato. Durante la discesa fatta molto lentamente, quel giovane continuava a dire: “Non ce la faccio più. Lasciatemi stare. Mi fate troppo male!”Noi ci guardavamo negli occhi l’un l’altro, poco convinti di poterlo salvare, ma comunque tutti decisi a non abbandonarlo. Arrivati al bivacco Wimper, Carrellino si rivolse a me con un sottile filo di voce […]: “Raccomanda la sua anima a Dio perché se ne sta andando”.Riuscii ancora dire qualche preghiera per lui che continuava a soffrire e a guardarmi, adesso senza più lamentarsi, fino a spegnersi lentamente. Prendemmo una coperta del rifugio per coprire il giovane morto; mettemmo alcune pietre sopra il telo per proteggere il corpo dai corvi e ci congedammo da lui con un segno di croce. Il giorno dopo qualcuno sarebbe risalito a recuperare il corpo.
Alle 21.30 eravamo rifugio Oriondè, 800 m sopra Cervinia […] E mentre tante immagini di quella lunga giornata scorrevano a rotazione nella mia mente, prima il Cervino raggiunto di slancio per la via Furggen e poi la disgrazia del giovane alpinista di sotto, avevo in me due motivi di soddisfazione. Quando si è giovani, si è particolarmente orgogliosi di quel che si fa e quel giorno alpinisticamente avevo compiuto una piccola grande impresa per la mia età: una salita impegnativa di cui andare orgoglioso. Però provavo una gioia ancora più grande e più profondo: quel ragazzo è andato in paradiso, anche grazie al mio piccolo contributo. L’avevo invitato a dire l’”Atto di dolore”e avevo pregato con lui prima che morisse. A quel punto mi sono detto: Ecco chi è il prete. […] Il prete è qualcuno che non è proprio come gli altri. Ha un dono è un dovere in più: la sua vocazione. È vero che lui scala le montagne come fanno gli altri, però si ricorda che c’è il Signore sopra ogni cosa e non dimentica i suoi fratelli. Mai dimentica il proprio compito che è quello di cercare di rendere felici gli altri e, così facendo, il più felice è proprio lui stesso.
Caro don Mik,
La montagna, che io amo sempre più, é un esperienza vera, ed incredibile, di Dio.
Quello che leggo tra le righe e che mi tocca, é il desiderio che anche per me, quando sarà quel momento, quando il Signore mi chiamerà, venga donato di avere vicino qualcuno che con certezza mi riconduca a Lui, col coraggio di propormi di recitare un atto di dolore, per non essere distratta magari dal dolore o da altro.
Proprio poco tempo fa, durante una bellissima gita in montagna, pensando nel silenzio del luogo, nel silenzio del camminare, nel silenzio del pensare alla vita, appariva pian piano il desiderio di condividere tanta bellezza con le persone che il Signore mi ha messo vicina.
Più pensavo a Lui, più pensavo a loro. Più pensavo a loro, più pensavo a Lui.
Più saliva dal profondo delle viscere la letizia di un grazie, di tanta grazia.
Mi sarei portata lassù ogni amico, mi sarei portata lassù tutti, perché potessero commuoversi davanti a tanta bellezza, a tanto bene.
Perché é questo che sento, camminando… ogni giorno: ma quanto sono preferita che il Signore mi ha messo cosi, qui ora?
Scusami un fiume di parole… scritte pure male.
Ma grazie per le continue perle preziose che ci offri con queste letture.