Peppino Zola – Tempi
Caro direttore, chi, per seguire le mode, ha eliminato dall’orizzonte della propria vita le evidenze più evidenti finisce con il dire vere e proprie stupidaggini (il grande Chesterton le chiamerebbe pazzie!). È accaduto questo a Milano. Gli eredi dell’artista Vera Omodeo hanno espresso il desiderio di donare al Comune di Milano una sua statua, affinché la stessa fosse esposta in una graziosa piazzetta di Milano, intitolata alla Duse. La statua, peraltro molto bella, raffigura una madre che allatta al seno e che è stata intitolata “Dal seno materno veniamo”. Statua dal titolo lapalissiano. Da quando mondo è mondo, infatti, tutti abbiamo preso il latte dal seno materno. Elementare, Watson! L’ipotesi è stata sottoposta alla Commissione Monumenti affinché fornisse un parere. E la commissione ha detto no. L’ineffabile commissione, pur ammettendo, bontà sua, che la statua rappresenta valori «certamente rispettabili», ha poi aggiunto che tali valori non sono «universalmente condivisibili da tutti» e pertanto ha consigliato che essa non venga posta in uno spazio pubblico ed ha suggerito che, invece, venga donata «a un ente privato (ospedale o istituto religioso) nel quale sia maggiormente valorizzato il tema della maternità, qui espresso con sfumature squisitamente religiose».
Occorrerebbe sotterrare questo parere con una grassa risata e con qualche pernacchia alla Eduardo, ma purtroppo il clima culturale attuale ci obbliga a qualche considerazione. Secondo la commissione non è opportuno valorizzare in pubblico il tema della maternità, che deve essere lasciato a considerazioni di ordine esclusivamente privato. Ma i membri di tale commissione da chi sono nati? Non esisterebbero se il tema della maternità non fosse stato salvaguardato nella loro famiglia, dai loro genitori. Ed hanno cominciato a crescere succhiando il latte dal seno della mamma. La maternità è un tema che riguarda ognuno di noi e la società intera, soprattutto in un momento drammatico in cui stiamo constatando il calo pauroso della natalità. Il mondo intero si sta ponendo il tema della maternità, ma questa commissione vorrebbe che se ne parlasse solo in privato e possibilmente sottovoce, e solo in un ospedale oppure in un istituto religioso.
Evidentemente la commissione pensava, con questo incredibile parere, di obbedire pedissequamente al trend dell’attuale “pensiero unico”, come, del resto, stanno facendo molti sedicenti “tecnici” che sono molto proni a tale pensiero. E loro sono sempre meno “tecnici”. Forse, con il loro parere, i membri della commissione pensavano di fare un piacere al sindaco Sala che, in quanto a “pensiero unico”, non è stato finora secondo a nessuno. Questa volta, però, anche il sindaco ha espresso un parere diverso. Ma non basta. La statua, secondo lorsignori, dovrebbe essere rinchiusa in un luogo privato (il più inaccessibile possibile, immagino) perché essa conterrebbe delle «sfumature squisitamente religiose» peraltro escluse dagli stessi eredi dell’artista. Qui ci risiamo con il solito slogan post illuminista: tutto ciò che, in qualche modo, sa di religione deve essere espulso dallo spazio pubblico, in base ad una concezione squisitamente autoritaria della convivenza sociale. Il pensiero ateo va bene. Il pensiero agnostico va bene. Il pensiero nichilista va bene. Ogni pensiero va bene purché non abbia anche solo sfumature di carattere religioso. In altre parole, un pensiero a cui si riferisce qualche miliardo di cittadini del mondo intero dovrebbe stare fuori dall’agorà pubblica. Dio sarebbe, secondo loro, morto e quindi deve stare fuori da tutto. Siamo di fronte non ad un pensiero “unico”, ma ad un pensiero dittatoriale o, meglio, totalitario. Guai se la religione cerca di dire la sua in politica, perché la religione deve rimanere chiusa nelle sacrestie, sigillate bene a chiave. In politica ci sarebbe così posto solo per i “laicisti”. Nel nostro caso, guai se una statua che rappresenta il momento più tenero di una maternità può anche solo dare l’idea di un pensiero religioso. Sarebbe pericolosa, chiudiamola in un luogo assolutamente privato. Puro totalitarismo. Ironico, poi, pensare che anche gli atei hanno succhiato il latte materno!
Ma ancora. La statua, secondo la commissione, impersona valori «non universalmente condivisibili da tutti». A parte la risibilità di questo giudizio, occorre dire che se dovessimo prendere sul serio il criterio così espresso, nessuna statua potrebbe più essere esposta in pubblico, perché nessuna statua potrà mai essere condivisa da tutti. Allora, dovremmo togliere dai giardini pubblici della civile Milano la statua di Montanelli solo perché qualche imbecille continua ad imbrattarla? Oppure dovremmo togliere la statua posta nella piazza della borsa solo perché essa indica un gesto osceno? Oppure dobbiamo nascondere le statue che rappresentano dei nudi solo per non offendere qualche islamico? Se dovessimo attuare il criterio della commissione, dovremmo condannarci al silenzio pubblico, perché ogni espressione artistica porta con sé la possibilità che non sia condivisa da tutti.
Lo spazio pubblico deve poter essere usato secondo il principio del pluralismo delle presenze reali oppure deve condannarsi ad essere un deserto. E’ molto triste che il tema della maternità, così universale, venga considerato non degno di stare in un luogo pubblico. Segno del degrado di una intera società. Visto che il sindaco Sala ha, sorprendentemente, espresso un giudizio critico verso la commissione, spero che questa sconcertante vicenda abbia, alla fine, un esito positivo, perché la maternità è un bene per tutti, anche per quelli che, sfortunatamente, non apprezzano questa straordinaria vita, che ha potuto crescere anche grazie al latte materno.
Peppino Zola
Caro Peppino, basterebbe raccontare, come ha fatto la figlia al Corriere, la storia dell’artista Vera Omodeo per capire che la questione “religiosa” qui non c’entra nulla (per lei, cui dissero non avrebbe potuto avere figli e poi ne partorì sei, era un tema «tutto biografico»).
Ma qui la vera questione è quella che ci disse in un’intervista la ministra Eugenia Roccella: «La maternità è la grande ferita del nostro tempo perché è “svalorizzata”». Riporto le sue parole per spiegare in che senso c’è un “attacco alla maternità”: «Si pensi ai concetti oggi tanto di moda di fluidità e neutralità, che neutri non sono per nulla. La parola “donna” non si può più pronunciare. La persecuzione mediatica cui è stata sottoposta l’autrice di Harry Potter, J.K. Rowling, ci mostra proprio questo. Appena qualche anno fa, fu pubblicato un documento dei ginecologi statunitensi in cui, nemmeno una volta, appariva la parola “donna”, ma solo l’espressione “persona con l’utero”. E pure questa, ormai, è inadeguata: mi è persino capitato di trovare l’assurda e vergognosa definizione di “persona con il buco davanti”. Ma lo vediamo anche in fenomeni come l’utero in affitto o le tecniche di riproduzione che consentono di definire “madre” tre, quattro, cinque persone diverse. Quindi, sì, è la potenza del materno che è sotto attacco».
Emanuele Boffi
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