don Ignazio Beghi – Ritiro di Quaresima
«La tua ferita si rimarginerà presto» (Is 58,7)
Canto: Qui presso a Te
Qui presso a te, Signor, restar vogl’io!
È il grido del mio cuore, l´ascolta, o Dio!
La sera scende oscura sul cuor che s’impaura;
mi tenga ognor la fe´, qui presso a te.
Qui presso a te, Signor, restar vogl’io!
Niun vede il mio dolor; tu ‘l vedi, o Dio!
O vivo Pan verace, sol tu puoi darmi pace;
e pace v’ha per me, qui presso a te.
Introduzione
Il canto che abbiamo ascoltato penso descriva in modo semplice e profondo l’essenza della conversione che la Chiesa ci invita a vivere nel tempo di Quaresima. Che in noi cresca il desiderio della compagnia di Gesù, che, come di che il canto, “il grido del mio cuore” sia “qui, presso a te, Signor, restar volgi’io”. La conversione non ha altro scopo che permettere al nostro cuore di affezionarsi a ciò che veramente vale, che il nostro cuore non sia più pieno di tanto rumore confuso ma sia tutto teso a Gesù si fa vicino.
La Chiesa definisce la Quaresima un “Tempo Forte”. Cosa significa questa espressione? L’anno liturgico, la scansione delle feste – Natale, Pasqua, Pentecoste etc… – ha lo scopo di farci rivivere i misteri della vita di Cristo – la sua nascita, la sua passione e resurrezione. La vita di Gesù non è tutta uguale, omogena e indistinta. Al contrario, è come la nostra vita, ha momenti più significati e altri più nascosti.
Gesù è vissuto trent’anni lavorando nella bottega di Giuseppe, poi per tre anni ha predicato al popolo di Israele e l’ultima settimana della sua vita terrena ha offerto la sua vita per salvare il mondo. Chi lo ha incontrato quando ragazzo viveva a Nazareth ha fatto un’esperienza diversa di chi lo ha ascoltato annunciare il Regno di Dio e anche i suoi apostoli che hanno vissuto con lui per tre anni, durante la sua Passione e quando poi lo hanno incontrato Risorto, hanno fatto un’esperienza totalmente nuova di Lui.
Ogni tempo ha una sua grazia singolare. Per questo la Chiesa scandisce l’anno distribuendo una grazia particolare per ogni momento. Questo significa che un Tempo Forte, innanzitutto, è una promessa. Dio ci attende con una grazia particolare che vuole donarci proprio in questi quaranta giorni.
Una promessa è come un appuntamento. Noi potremmo girare per Roma e sperare di incontrare un amico, non è impossibile. Ma se abbiamo un appuntamento, sappiamo che ci basta andare nel luogo e nell’ora stabilita, e lì ci incontreremo se entrambi siamo fedeli alla decisone presa. Ecco, Dio, Colui che è il Fedele, ci ha dato un appuntamento per questi quaranta giorni.
La grazia particolare che la vita della Chiesa ci offre in Quaresima, lo abbiamo detto, è la conversione. E Dio allora ci fa questa promessa: “Se desideri la conversione, io ti aspetto, in questi quaranta giorni, per donarti un cuore nuovo”.
C’è una lettura del tempo quaresimale, un oracolo del profeta Isaia, che descrive tutto ciò con un’immagine molto bella. Dio manda il profeta per annunciare al popolo la necessità di convertirsi, il dovere quindi di digiunare e fare penitenza, così che, dice il Signore: «La tua ferita si rimarginerà presto» (Is 58,7). Dio ci fa questa promessa proprio in questi preziosi giorni di Quaresima. Questo tempo di penitenza è una grande promessa di Dio: «La tua ferita si rimarginerà presto». L’immagine della ferita che si rimargina, l’immagine della guarigione è usata molte volte nella Bibbia per descrivere il cammino della conversione che volgiamo intraprendere in questo tempo.
In questa meditazione vorrei allora soffermarmi sul brano che abbiamo ascoltato lo scorso mercoledì, il Mercoledì delle Ceneri, l’inizio della Quaresima, alla luce dell’esperienza della guarigione. Vorrei provare a raccogliere le indicazioni che Gesù ci rivolge in questo brano alla luce delle guarigioni che Lui stesso ha operato proprio all’inizio della sua missione. Mi soffermerò solo di una, la guarigione del paralitico raccontata nel secondo capitolo del Vangelo secondo Marco (Mc 2,1-12).
Se le guarigioni stanno all’inizio dei racconti degli evangelisti è perché esse sono in qualche modo il modello dell’agire di Gesù, il suo rivelarsi come Dio salvatore inizia con la manifestazione della sua potenza di guaritore dei corpi malati e sofferenti.
L’invito alla conversione – elemosina, preghiera e digiuno: cammino di guarigione
Ogni anno, la Chiesa, all’inizio della Quaresima, ci ripropone le parole che Gesù rivolge alla folle, secondo il racconto dell’evangelista Matteo, durante il suo primo grande discorso, il cosiddetto Discorso della Montagna (Cfr. Mt 6,1-18). Sono parole con le quali il Signore indica le tre grandi strade per ogni cammino di conversione: elemosina, preghiera e digiuno. Per ciascuna di esse, Gesù aggiunge delle preziose indicazioni.
«Quando fai l’elemosina, [dice Gesù] non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
C’è un’insistente ripetizione nelle esortazioni che Gesù rivolge ai suoi e infatti, in modo molto simile, ammonisce riguardo alla preghiera:
«Non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto, e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
Infine, le medesime indicazioni vengono di nuovo date per il digiuno:
«Non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
Questo testo ci riferisce l’atteggiamento fondamentale che Gesù ci propone per il cammino di preparazione alla sua Pasqua. Oltre alle tre vie essenziali per avanzare sulla via della conversione – preghiera, elemosina e digiuno – Gesù ci dice il modo adeguato di vivere questi strumenti che ci offre. Quali indicazioni emergono e perché sono un cammino di guarigione?
Ci sono alcune espressioni che ricorrono identiche, soffermiamoci su di esse.
«Hanno già ricevuto la loro ricompensa» – Guarire il desiderio: digiuno e confessione
La prima è: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tutti cerchiamo una ricompensa, un frutto che possa dare un senso al nostro agire. Gesù non condanna affatto questo desiderio che la vita sia utile e feconda, che porti frutti buoni e abbondanti. Nulla è più terribile di una vita inutile. Proprio perché il bisogno che la vita abbia un senso è così giusto e imponente nel nostro cuore, Gesù inizia il suo discorso puntando l’attenzione sullo scopo che decidiamo per la nostra vita, sulla ricompensa che cerchiamo. La prima cosa che Gesù vuole guarire è il nostro desiderio.
Mi colpisce sempre questo brano perché se da una parte ci rivela quanto spesso anche noi cerchiamo l’approvazione degli altri, dall’altra ci ricorda che è un’esperienza triste. Investiamo tutte le nostre energie per essere lodati almeno in qualcosa e quando ci riusciamo, perché c’è sempre almeno qualcosa con cui riusciamo a metterci in mostra davanti agli altri, alla fine siamo tristi e un po’ più soli. Gesù non dice a chi ostenta la sua elemosina o la sua preghiera: “Ti castigherò togliendoti ciò che cerchi!”. No, anzi, fa una costatazione ben più amara: “Se proprio desideri essere lodato dalla gente, ce la farai”. Cioè: “se desideri poco, otterrai poco”.
A Gesù interessa il desiderio profondo del nostro cuore, ciò che lo rattrista è vedere tanta gente che si accontenta di cose piccole, come la lode degli uomini.
Se guardiamo alla guarigione del paralitico, le prime parole del racconto sono impressionanti per la radicalità del desiderio che esprimo:
Entrò di nuovo a Cafarnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.
È bellissimo come questa breve notazione di Marco ci faccia respirare il desiderio di vedere Gesù, il fascino irresistibile che la sua persona esercitava. Appena si viene a sapere che Gesù è tornato in paese, tutti abbandonano le occupazioni della giornata e si recano da lui, quasi più per vederlo che per ascoltarlo. Non sappiamo cosa stesse dicendo, ma sappiamo dal racconto di Marco che tutti consideravano stare lì con Gesù come la cosa più importante da fare quel giorno. Tra la folla, intanto, spuntano dei personaggi un alquanto originali.
Si recarono da lui [continua il racconto evangelico] portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico.
La stanzetta al piano terra dove Gesù parla è gremita di gente, non c’è spazio neanche per i bambini che cercano almeno di sbirciare il volto di quest’uomo che tutti gli adulti trovano così affasciante. Possiamo immaginarci il silenzio innaturale che avvolgeva la piccola folla, tutti gli orecchi tesi a cogliere le parole che uscivano dalla bocca di Gesù. Se ci fossimo imbattuti in un simile assembramento, ci saremmo anche noi istintivamente sentiti intimoriti come al cospetto di un grande evento degno della nostra riverente attenzione. I quattro amici, invece, ignorando le proteste e i commenti malevoli dei presenti, si fanno largo a spintoni fino a raggiungere le parteti della casa e salgono sul tetto. Da qui, con un intraprendenze che è quasi irruenta, sfondano il tetto e calano la barella del loro amico proprio ai piedi di Gesù.
Ecco, Gesù attende questo desiderio di salvezza. Chi si avvicina a Lui per semplice curiosità, come la folla, non lo incontrerà mai veramente. Invece, chi sente che solo da Gesù può ricevere la guarigione a lungo attesa, Lo incontrerà. Chi ha già ricevuto la sua ricompensa, chi è tranquillo del suo, non sta più cercando Gesù. È tranquillo. Triste, ma non è più in ricerca.
Quello della guarigione del paralitico è un episodio dove, come in tanti altri casi nel Vangelo, Gesù è circondato da una folla così numerosa che quasi ne viene schiacciato. Ma fra tante facce di cui non sappiamo nulla, si staglia nitido il volto di chi non si è avvicinato a Gesù tranquillo della ricompensa che si era già guadagnato, ma lo ha cercato aspettandosi tutti dall’incontro con Lui, desiderando tutto da Lui soltanto. Ecco, Gesù invita il nostro cuore a gridare tutto il suo bisogno di salvezza perché solo così possiamo incontrarlo.
Ma c’è un problema: nessuno ha il potere di controllare i propri desideri. Spesso ci accorgiamo che stiamo desiderando e ricercando qualcosa di meschino, di sbagliato. Con la testa lo capiamo, ma non riusciamo fino in fondo a distogliere il nostro cuore dall’attendere il compimento delle nostre attese dai piccoli successi, dalle piccole ricompense che cerchiamo. In fondo, tante volte, ci ritroviamo ad attendere la salvezza da ciò che non può darla, e lo sappiamo bene, ma non riusciamo a cambiare il nostro cuore.
Il brano che abbiamo letto trovo sia di grande conforto per il nostro personale camino di conversione. Inizia con queste parole: Entrò di nuovo a Cafarnao. È solo la presenza di Gesù che può attrarre il nostro cuore e convertirlo a Lui, non la nostra volontà. Non è che il paralitico avesse una spiritualità più raffinata delle altre persone, è stato attratto da Gesù innanzitutto perché Gesù era presente.
Questa presenza particolare Cristo che chiama il nostro cuore è proprio il contenuto della promessa che è la Quaresima. Qual è allora la differenza tra il paralitico e l’altra gente? Che lui ha un bisogno più urgente, più bruciante. Il Vangelo ci dice che l’unica condizione per incontrare Gesù è essere consapevoli di non bastare a noi stessi, alzare lo sguardo e chiedere. Gesù ci invita, come primo passo della nostra conversione, a curare il nostro desiderio.
E Gesù stesso ci offre uno strumento semplicissimo ed efficace per renderci conto che siamo creature finite, bisognose di tutto: il digiuno. Basta un piccolo gesto, il digiuno che la Chiesa ci propone i venerdì della Quaresima, per sentire che siamo fragili, affamati, bisognosi.
Sarà capitato anche a voi di ascoltare il racconto di chi, scampato il pericolo di una grave malattia, si dice grato dell’angoscia passata perché proprio davanti al pericolo, ha capito che nella sua vita stava dando troppo peso a ciò che in realtà non ha valore. Talvolta sono testimonianze di un tale cambiamento di vita che quasi ci viene un po’ di invidia.
Ecco, la grazia del tempo di Quaresima è così grande, che Gesù ci offre la stessa esperienza di cambiamento a partire dai semplici gesti che ci propone: il digiuno e la Confessione, vissuti come rinuncia volontaria a ciò che non riempie la nostra vita e come preghiera a Dio che sia Lui il centro del nostro desiderio.
«Il Padre tuo, che vede nel segreto» – Preghiera: l’agire di Cristo nel nostro cuore
La seconda espressione che ricorre identica nei tre ammonimenti di Gesù nel Discorso della Montagna è: Il Padre tuo, che vede nel segreto. Appare la parola segreto che poi sarà tanto importante anche nelle conclusioni di Gesù. Cosa vuol dire segreto? Che esperienza descrive e quindi quale atteggiamento ci suggerisce?
Nel contesto del Discorso della Montagna, segreto è opposto a gente. Compiere le opere in segreto è l’opposto che farle davanti alla gente. Se però guardiamo a come Gesù opera la guarigione che stiamo meditando, Lo troviamo circondato dalla folla. A quale tipo di segreto si riferisce allora?
Torniamo al racconto che fa l’evangelista Marco:
Fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”. Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: “Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?”
Immaginiamo la scena. Il discorso di Gesù viene interrotto dalle prime macerie che cadono dal soffitto, tutti alzano lo sguardo per vedere cosa sta accadendo e poi vedono comparire una barella sospesa che, lentamente, viene calta in mezzo alla stanza. Quello che per la folla era uno spettacolo, viene interrotto. E poi appare un malto che certo tutti conoscevano in paese, quello che tutti evitavano con lo sguardo perché la sua malattia, la sua sofferenza, li metteva a disagio, ricordava loro che la vita è fragile e nessuno aveva una risposta al male di quest’uomo.
Penso che la casupola dove si trovava Gesù si sia riempita di baccano, proteste, commenti. Non tanto perché si era interrotto il discorso di Gesù ma perché l’apparire improvviso di un malato pone domande a cui di solito non si vuole guardare perché non si sa rispondere. Davanti al male, alla noia, alla sofferenza, tutti siamo tentati di distarci, di pensare o di fare altro, perché ci spaventa.
La nostra vita, spesso, è immersa in questo baccano che ci distare e ci impedisce di guardare a ciò che il nostro cuore veramente desidera e, soprattutto, ci distare dal fatto che Gesù è presente. Gesù, allora, si impone sulla confusione del mondo, sia esteriore sia interiore al nostro cuore, e lo fa con una parola.
Le sue parole: “Figlio, ti sono perdonati i peccati” hanno il potere di rivelare i cuori e di sanarli. In questo caso, innanzitutto, impongono il silenzio. Infatti, gli scribi pensavano in cuor loro dice il testo, perché evidentemente non c’era più il rumore che poteva nascondere i loro discorsi.
Per entrare nella nostra vita, per entrare nella stanza intima del nostro cuore dove si trovano le ferite per le quali abbiamo così bisogno delle sue cure, Gesù ha bisogno di silenzio. Per ascoltare la parola di guarigione che Gesù vuole donare alla nostra vita dobbiamo preparare una stanza silenziosa nel nostro cuore dove poterlo accogliere. Una stanza dove la confusone delle nostre preoccupazioni e delle nostre distrazioni, dove la confusione delle immagini e delle informazioni del mondo che intasano la nostra mente, non possono entrare. Una stanza del nostro cuore custodita nel silenzio, tesa ad accogliere la sola presenza amata e attesa di Gesù. Tutto ciò altro non è che la preghiera.
Sembra impossibile poter preparare questa stanza dentro il nostro cuore. In fondo, lo dicevamo anche prima, nessuno ha il controllo del proprio cuore il cuore dell’uomo è un abisso (Sal 64,7) dice il salmo e solo Dio ha in mano il mistero dei nostri cuori.
Per questo, di nuovo, trovo così consolante il brano che abbiamo letto: è Gesù con la sua parola che si impone sulla confusione e fa silenzio. È la sua parola che apre il cuore del paralitico. Non è il malto che si dispone ad accogliere un perdono che non si aspettava ma è Gesù che fa questo silenzio nel suo cuore così lui possa accogliere la parola di perdono che vuole offrire.
Il paralitico non può far nulla, è stato semplicemente portato di peso sotto lo sguardo di Gesù. I barellieri non sapevano bene cosa fare, avevano soltanto intuito che Gesù avrebbe potuto fare qualcosa per il loro amico e lo hanno portato di peso proprio sotto il suo sguardo. Questa è una preghiera bellissima. Non sanno veramente che cosa fare e allora decidono di depositare il loro amico, così com’è, sotto il suo sguardo e lasciano a Gesù tutta l’iniziativa. Con il loro gesto, privo di parole, rivolgono a Gesù una preghiera purissima.
Non c’è nessuna condizione, non si sono preparati un discorso da fare a Gesù, non hanno forse nemmeno ben chiaro cosa lui avrebbe potuto fare. Si sono anzi presentati sulla scena in modo abbastanza irruento. Non importa, loro hanno chiesto a Gesù di intervenire e allora Gesù è libero di entrare in questa situazione, nella vita sofferta di quest’uomo, e inizia a cambiarla.
Gesù accoglie questa loro preghiera, espressa in modo tanto semplice e subito entra nel segreto del cuore del paralitico e lì mette ordine, fa silenzio. La preghiera apre questa strada che permette a Gesù di arrivare al punto più profondo della nostra persona.
Non c’è nulla di indelicato in questa parola di Gesù: il paralitico giace inerme sotto i suoi occhi e con tutta la sua impotenza non fa che implorare Gesù di intervenire, non pone nessuna condizione, lui e suoi amici chiedono a Gesù di prendere in mano la situazione come preferisce, tant’è che non v’è traccia di alcuna richiesta di guarigione né da parte dei barellieri né da parte del paralitico.
All’opposto troviamo gli scribi, i quali, dice il Vangelo, pensavano in cuor loro. Il loro cuore è pieno dei loro pensieri, il loro segreto è tenuto celato, non lasciano a Gesù la possibilità di entrare nel loro segreto e così il loro cuore rimane in balia dei loro ragionamenti. Il rumore del loro cuore è impermeabile alla parola di Gesù.
Gesù ha il potere di cacciare via tutta la confusione anche del cuore degli scribi ma non vuole e non può farlo contro la loro volontà. Gesù non ha bisogno che il nostro cuore sia già puro per guarirci ma ha bisogno di un nostro invito ad entrare nel segreto del nostro cuore per poter operare nella nostra vita.
Questo possiamo farlo solo nella preghiera. Ma, come ci mostrano i Vangeli, quando finalmente ci disponiamo alla preghiera e al silenzio necessari per accogliere Gesù, è Gesù stesso che entrando nel nostro cuore lo libera da tutto ciò che lo ingombra. Il Signore ci chiede di iniziare a pregare non perché né siamo già capaci ma perché così potrà venire Lui a insegnarci come pregare. Non pretende che la nostra interiorità sia perfetta per farci visita ma, al contrario, ci promette che Lui stesso metterà ordine nel nostro cuore se lo lasciamo entrare nella nostra vita.
«Ti ricompenserà» – La salvezza di Gesù: una presenza più forte del male
L’ultima parola che ricorre in tutte e tre le ammonizioni è: ti ricompenserà. Il frutto che Gesù promette a chi segue la strada che ci indica è una ricompensa che si riceve nel segreto. Ci siamo appena soffermati sul significato del segreto, proviamo ora ad addentrarci nel contenuto di questa ricompensa che Gesù promette. Il testo di Matteo non dà molte indicazioni se non che questa ricompensa di Gesù è ben altra cosa dalla ricompensa che si può ricevere dal mondo.
Guardiamo allora la guarigione del paralitico. Quando il tetto della casa di Cafarnao viene scoperchiato, l’evangelista Marco riferisce che:
Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”.
Tutti avevano sentito dire che Gesù compiva gesti straordinari, è per questo che si sono ammassati per vederlo, ascoltarlo ma forse, soprattutto, per vederlo operare qualche prodigio di cui già avevano sentito parlare. Sulla scena appare ora un paralitico, la malattia è evidente, la cura sperata pare ovvia: tornare a camminare. Possiamo immaginare che nella confusione sarà serpeggiata anche una certa eccitazione: “Presto vedremo il prodigio” si saranno detti. Tutto ciò è l’attesa della folla, un’attesa anonima di gente curiosa.
Il paralitico, vedendosi circondato da tanta gente, avrà probabilmente percepito questo fremito nella folla che attendeva il prodigio, si sarà forse sentito come un fenomeno da baraccone, deposto sul palco per il diletto del pubblico.
La sofferenza è qualcosa di così intimo e personale che è quasi impossibile trovare un malato che, a ragione, prima o poi non dica: “nessuno capisce il mio dolore”. In un certo senso è vero, la sofferenza mette in luce come ogni donna e uomo è chiamato a vivere il suo dramma personale, e tale dramma non è mai un copione prestabilito, è la vicenda umana unica e personale di ciascuno. Quanto più essa si fa drammatica, come nel caso in cui la malattia colpisce, tanto più diventa insopportabile sentirsi trattati in modo generico, come uno fra i tanti.
Su questi sentimenti contrasti nel cuore del paralitico, si posa la parola di salvezza di Gesù. Gesù non tratta il paralitico come la comparsa arrivata al momento giusto del suo discorso, come l’occasione per mostrare il suo potere come vorrebbe la folla, che infatti rimane delusa. Al contrario, entra nell’intimità del paralitico perché lui e i suoi amici, a modo loro, gli hanno rivolto questa preghiera.
Le parole di perdono che Gesù rivolge al paralitico avranno immediatamente raggiunto il cuore del bisogno di quest’uomo. Forse anche lui si aspettava la salute del corpo, ma quando Gesù ha la delicatezza di percepire il bisogno di perdono del malato, si sarà sentito compreso e amato come mai prima in vita sua.
Avviene un incontro personalissimo, dove il paralitico è trattato come uomo, non come malato, e Gesù prende sul serio tutto il bisogno umano di questa persona. Non è appena la salute fisica che necessita ma, molto più profondamente, una parola di speranza sul male che ha sperimentato e vissuto. Ciò che stupisce e il coraggio di Gesù di entrare in contatto col cuore della sofferenza e del male. Non ci gira attorno, ma arriva subito al punto più doloroso di ogni sofferenza.
Quando una persona soffre, sia per la malattia sia per una situazione personale o famigliare che vive, si insinua la tentazione di credere che tutta la vita sia determinata dal male che si sta vivendo. Accanto al letto di un malto si discute delle prossime terapie da provare per non affrontare il fatto che la malattia sta già distruggendo la vita, difronte a un amico che ci racconta una difficoltà che vive, spesso diciamo un generico “vedrai che le cose si sistemeranno”. Ma se anche le cose si sistemassero, che ne è della vita sofferta, delle lacrime versate?
Il paralitico avrà avuto nel cuore l’oscuro presentimento che la sua vita non aveva più senso e che se anche fosse guarito, la parte di vita mangiata dalla malattia sarebbe stata inevitabilmente perduta. Questo avrà generato nel suo cuore una disperazione profonda che non osava rivelare neanche a sé stesso per paura di esserne travolto. Gesù, invece, punta la sua attenzione esattamente a questo dolore.
La guarigione non avrebbe restituito al paralitico il tempo della sua vita e comunque sarebbe andato incontro ad una nuova malattia prima o poi. Quello che sperimenta con Gesù è allora molto più che la guarigione del corpo: è l’incontro con l’unico Uomo che non ha paura del male. Gesù prende con sé il paralitico, lo porta nel profondo del suo cuore, e gli mostra che lui, Gesù, è più grande del male e della morte.
La Pasqua alla quale ci prepariamo con la Quaresima è proprio il mistero della vittoria definitiva di Gesù sulla morte e sul male. Mistero al quale Gesù ci invita a partecipare.
Infatti, Gesù rivolge al paralitico la più grande parola di speranza sul dolore che esista: “non sei solo ad affrontare questo male, sei in compagnia di Colui che ha il potere di vincere la morte”. Prima ancora che la restituzione della salute, Gesù offre questa consolazione impensabile al cuore del malato. Il rancore e la disperazione non sono la condanna della sua vita, neanche della vita durante la malattia, perché Gesù perdona tutto il suo male. La ricompensa del paralitico è questa parola personalissima di speranza che supera ogni possibilità di dolore nella vita.
La folla è esclusa da questo dialogo, non lo capisce, protesa, è delusa; in fondo, non hanno colto quasi nulla dell’importanza di ciò che è appena accaduto. Il paralitico, al contrario, ha vissuto l’incontro con un Uomo, Gesù, che non ha avuto paura del dolore e della sofferenza e che anzi, entrando in essa, ha mostrato che sa individuare e sanare fino alla radice il male che penetra nella nostra vita.
È questa la ricompensa che il mondo non conosce ma che Gesù ci offre ogni giorno, specialmente in questo tempo di grazia della Quaresima, nei sacramenti, nella preghiera, nella strada che la nostra vocazione ci indica.
«Vedendo la loro fede» – Il dono di una compagnia: la carità
Vorrei concludere con una nota di speranza che emerge dal racconto che abbiamo meditato. Il paralitico viene guarito per l’intercessione presso Gesù dei suoi amici barellieri. Questo malato è così allo stremo delle forze che non riesce più nemmeno a chiedere aiuto. Tutti, prima o poi, ci siamo sentiti in questa condizione paralizzata, bloccati dal nostro male, dagli errori commessi, e sicuri di non avere più nessuna risorsa per risollevarci e ripartire.
Per questo trovo che l’inciso con cui Marco introduce la guarigione del paralitico sia una perla di rara bellezza nelle pagine evangeliche:
Gesù, vedendo la loro fede [cioè degli amici], disse al paralitico: “Figlio, ti sono perdonati i peccati”.
La Fede che salva il paralitico non è la sua, è quella dei suoi amici!
Che esperienza grande ci è promessa nelle nostre comunità. Tutti i passi che Gesù ci ha indicato possono essere sostenuti dalla Fede delle nostre sorelle e dei nostri fratelli. La parola di salvezza Gesù la rivolgerà sempre personalmente a ciascuno di noi ma per arrivare a noi si servirà anche della Fede di chi ci è vicino.
Gesù ci invita a vivere l’elemosina, la carità concreta nei confronti degli altri. Non ci chiede di avere buoni sentimenti verso gli altri, abbiamo già visto che non siamo capaci di comandare al nostro cuore, ci chiede una cosa più semplice e concreta: un gesto di elemosina. Quello che ci promette è che attraverso questo gesto concreto, quasi esteriore, Lui saprà cambiare il nostro e insegnarci ad amare.
Penso che la Carità che Gesù vuole donarci abbia molto a che vedere con l’esperienza degli amici del paralitico. Loro hanno fatto un gesto semplice, calare la barella dal tetto. Gesù ha usato questo loro gesto per donare la salvezza al loro amico. Sono sicuro che dopo questo fatto l’amicizia tra di loro sia diventata cento volte più forte e ogni gesto di carità, da allora, per loro portava iscritta la promessa che avrebbe potuto essere l’occasione di un nuovo incontro con Gesù.
Credo che tutti noi, se oggi abbiamo la grazia di essere nella grande compagnia che è la Chiesa, abbiamo fatto l’esperienza del paralitico, l’esperienza cioè di essere stati portati di peso davanti al volto di Gesù, magari anche contro i nostri desideri, ma grazie all’insistenza degli amici che ci hanno condotto davanti a Lui, abbiamo incontrato la salvezza.
Il cammino di conversione quaresimale che abbiamo cominciato sia allora sostenuto dalla memoria e dalla gratitudine per chi ci ha condotto, nelle misere condizioni in cui eravamo, sotto lo sguardo di Gesù. Sia memoria viva del fatto che all’inizio del nostro cammino c’è un grande dono ricevuto e tenga aperto il nostro cuore a chiedere ogni giorno di ricevere il dono della fedeltà alla Sua amicizia.