L’approccio cattolico

don Luigi Giussani – Perché la Chiesa pp. 24-29

Lo sguardo ortodosso-cattolico

Il terzo atteggiamento che prenderemo in considera zione, come modo più adeguato, cioè ragionevole, per raggiungere certezza in merito all’annuncio di Gesù Cristo, è quello della tradizione cristiana come tale. L’ho chiamato ortodosso-cattolico perché sia l’ortodossia sia il cattolicesimo vivono la medesima concezione. È un atteggiamento che realizza tutta la tradizione. Ogni altra posizione a un certo punto del suo percorso si è dovuta opporre alla tradizione già consolidata. L’atteggiamento ortodosso-cattolico ha come caratteristica la coerenza con la struttura dell’avvenimento cristiano così come si è presentato nella storia.

Come si è presentato nella storia? Si è presentato come la notizia, l’annuncio di Dio, del Mistero che si è fatto «carne», presenza integralmente umana. Esattamente come un amico è presenza integralmente umana per l’amico che incontra per strada, come una madre è presenza integralmente umana per il figlio con cui vive. Con Gesù potevano parlare, discutere, potevano reagire o aderire a quello che andava dicendo nelle piazze, e Lui poteva rispondere, correggere: era una realtà oggettiva che educava la soggettività dell’uomo.

Una presenza integralmente umana perciò implica il metodo dell’incontro, dell’imbattersi con una realtà esterna a sé, è presenza oggettiva eminentemente incontrabile, che percuote il cuore, ma che si trova «fuori» di sé: il termine «incontro» ha un aspetto esteriore decisivo come quello interiore.

Questo è senz’altro accaduto a chi l’ha conosciuto. Ma, e adesso? Dopo duemila anni? Come questa presenza integralmente umana può essere incontrata dall’uomo di duemila anni dopo?

Riandiamo al capitolo decimo del racconto evangelico di Luca. Molti desideravano vedere Gesù, essere guariti, incontrarlo, e Lui non riusciva ad andare dappertutto. Allora cominciò a mandare, nei villaggi dove Lui non poteva arrivare, coloro che lo seguivano più da vicino, prima i dodici che si era scelti e poi una settantina di discepoli. Li inviò a due a due, perché parlassero alla gente di quel ch’era accaduto con Lui. E i discepoli tornarono pieni di entusiasmo perché la gente li ascoltava, i miracoli avvenivano, le persone credevano, cambiavano. Ma allora, nel primo villaggio in cui arrivarono i primi due inviati da Gesù, per chi li avrà accolti o sopportati, il Dio reso presenza umana che volto aveva? Che aspetto aveva? Aveva il volto e l’aspetto di quei due. Gesù, infatti, aveva detto istruendoli al momento della partenza: «Chi ascolta voi ascolta me».

Dunque, perfino quando Gesù era nel vivo della sua attività terrena, il suo avvenimento assumeva una forma che non si identificava solo con la fisionomia fisica della sua persona, ma anche con la fisionomia della presenza di coloro che credevano in Lui, sì da essere inviati da Lui a portare le sue parole, il suo messaggio, a ripetere i suoi gesti portentosi, a recare cioè la salvezza ch’era la Sua persona. L’atteggiamento che abbiamo definito ortodosso-cattolico indica questo come il metodo per raggiungere Gesù Cristo anche oggi, sì da poter verificare se sia reale la sua grande pretesa, se sia Dio o no, se l’annuncio cristiano sia vero o no. Tale metodo è l’imbattersi in una realtà fatta di coloro che credono in Lui. Perché la presenza di Cristo nella storia, proprio come fisionomia, perdura visibilmente come forma incontrabile nella unità dei credenti.

Storicamente parlando questa realtà si chiama «Chiesa», sociologicamente parlando «popolo di Dio», ontologicamente parlando, cioè nel senso profondo del termine, «Corpo misterioso di Cristo».

L’energia con cui Cristo è destinato a possedere tutta la storia e tutto il mondo – ogni cosa il Padre gli ha dato nelle mani -, l’energia con cui è destinato a essere il Signore del mondo e della storia, è una energia per cui Egli assimila a sé, in un senso ontologico a noi non sperimentabile direttamente, le persone che il Padre gli affida, la persona cui lo Spirito dona la fede in Lui. Tale energia afferra il credente in modo tale da assimilarlo come parte del mistero della Sua stessa persona. San Paolo intuì questo quando, sbalzato da cavallo, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». E non aveva conosciuto Cristo! Perseguitava gente che credeva in Lui! A questa intuizione Paolo darà forma e chiarezza quando arriverà poi a dire che l’unità di noi con Cristo ci rende membra di uno stesso corpo: «Noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo». E in modo così realistico che diventiamo membra l’uno dell’altro.

L’immagine evangelica per esprimere la stessa realtà è quella tutta mediterranea della pianta della vite: «Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla».

E san Giovanni, quando nella sua Prima Lettera dice: «Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi», pronuncia la più bella espressione del metodo dell’annuncio cristiano: la verità diventata carne, un Dio fatto presenza che anche dopo settanta, cento, duemila anni, ti raggiunge attraverso una realtà che si vede, si tocca, si sente. E questa è la compagnia dei credenti in Lui.

Talvolta queste formulazioni vengono ripetute in ambito cristiano quasi fossero metafore, incapaci di toccare l’interesse del cuore e la stessa immaginazione, di condensarsi in tutta l’espressività di un fatto umano, espressività che, del resto, lo stesso termine «paro la» racchiude, se non lo si usa secondo la riduzione astratta della intellettualità occidentale. La «parola» è uno che si esprime, che comunica se stesso.

Ecco in sintesi la concezione con cui tutta la tradizione cristiana, mantenuta nella ortodossia e nella cattolicità, definisce la modalità con cui l’avvenimento cristiano si realizza, cioè permane nella storia. È in contrando l’unità dei credenti che ci si imbatte letteralmente in Cristo; incontrando la Chiesa, secondo l’emergenza fissata dallo Spirito. E per incontrare la Chiesa io devo incontrare degli uomini, in un ambiente. Non esiste la possibilità di incontrare la Chiesa universale nella sua interezza, è una immagine astratta: s’incontra la Chiesa nella sua emergenza locale e ambientale. E uno la incontra esattamente come possibilità di serietà critica, così che l’eventuale adesione – adesione grave perché da essa dipende tutto il significato dell’esistenza – possa essere totalmente ragionevole.

È innegabile, da una parte, che questa modalità sfida la nostra ragione identicamente a come l’uomo Cristo sfidò la ragione dei farisei: è il mistero di Dio che è presente. Dall’altra parte, è innegabile anche che metodologicamente ci troviamo nella stessa dinamica verificata si duemila anni fa. L’atteggiamento ortodosso-cattolico concepisce l’annuncio cristiano come l’invito a una esperienza presente integralmente umana, un incontro oggettivo con una realtà umana oggettiva, profondamente significativa per l’interiorità dell’uomo, provocativa a un senso e a un cambiamento della vita, perciò invadente il soggetto, secondo coerenza con l’esempio originale. Anche duemila anni fa l’avvenimento cristiano era l’imbattersi in una realtà oggettiva – un uomo che si poteva ascoltare, guardare, toccare con mano, uomo però che invadeva il soggetto provocandolo profondamente a una esperienza nuova, a una novità di vita.

Le modalità fenomeniche di tale incontro ovvia mente evolvono nei tempi, così come il fenomeno del l’adulto è evoluto rispetto alla sua realtà di bambino, ma la struttura del fenomeno rimane identica: più precisamente, la realtà di Cristo diviene presente, incontro esistenziale in tutti i tempi, attraverso la fatti specie umana che Lui sceglie e che da Lui fluisce inesorabilmente nella storia, come esperienza sensibile della sua realtà divina.

«Noi lo ammettiamo senza arrossire, anzi con orgoglio: il cattolicesimo non va identificato senz’altro e sotto ogni riguardo col cristianesimo primitivo o col messaggio di Cristo, allo stesso modo che la quercia adulta non è totalmente identica alla minuscola ghianda. Esso conserva la sua fisionomia essenziale non in maniera meccanica, ma organicamente […] L’annunzio di Cristo non sarebbe un messaggio vivente, né il seme che esso gettò alle glebe sarebbe un seme vivente, se fosse rimasto eternamente il piccolo seme del l’anno 33 e non avesse messo radici e assimilato mate ria estranea; se, anche con l’aiuto di questa materia, non fosse cresciuto ad albero sui rami del quale nidificano gli uccelli del cielo.» Perciò l’analogia o la coerenza con il dinamismo originale del fatto cristiano è innegabile nel terzo atteggiamento da noi descritto, mentre è tentativamente ridotto nel primo e nel secondo.