Le pre-persone

La legge in molti paesi permette l’aborto… ogni paese ha stabilito fino a che mese di gravidanza è consentito. Questo limite è una convenzione umana. Si è deciso così. Non c’è una differenza sostanziale tra un feto di 3 e uno di 4 mesi. La differenza sta solo nel fatto che una convenzione umana considera il primo “pre-persona” e il secondo “persona”; il primo può essere eliminato e il secondo no. Allora mi sorge spontanea una domanda: se si decidesse di permettere l’aborto fino al nono mese di gravidanza come ha fatto recentemente lo stato di New York? oppure fino al dodicesimo mese di vita? Oppure più avanti… perché non potremmo farlo? Una convenzione umana si può cambiare… non c’è limite… basta che la maggioranza sia d’accordo! Potrebbe arrivare anche il giorno un cui la legge dichiari che tu non sei persona e quindi puoi essere soppresso per il bene della società. Perché? Non so! Per esempio per le opinioni che hai o per la razza a cui appartieni [ricordate le leggi razziali contro gli ebrei nella Germania Nazista?]. Se la legge è solo il prodotto della maggioranza e non si confronta con il limite imposto dalla verità diventa una dittatura disumana. La vita non è un problema di leggi e convenzioni umane. La vita è un mistero che s’impone. Dal concepimento vediamo nel feto un dinamismo autonomo. Autonomo non significa autosufficiente [nessuno lo è] autonomo significa che segue una norma propria. È quello che la scienza documenta. Il feto possiede una forza vitale che lo rende capace di svilupparsi secondo un progetto proprio. La madre lo ospita e gli fornisce il materiale perché lui realizzi il progetto che porta dentro di sè. Per questo il feto è vivo e quindi persona. Il fatto che quel bambino sia voluto oppure no passa in secondo piano. Il fatto imponente è che Lui esiste! Questo è il limite sacro che non dovremmo violare. In quel feto c’è un punto vivo indifeso che ha un volto… chiede di essere accolto e curato. Purtroppo oggi abbiamo perso l’evidenza della realtà. L’unica realtà inviolabile è ciò che vogliamo. Se qualcosa ci disturba lo eliminiamo senza scrupoli. Santa Madre Teresa di Calcutta descriveva questo dramma con queste parole: “Io sento che il più grande distruttore della pace oggi è l’aborto, perché è una guerra diretta, un’uccisione diretta, un omicidio commesso dalla madre stessa. Oggi il più grande distruttore della pace è l’aborto. Tante persone sono molto preoccupate per i bambini in India, per i bambini in Africa, dove tanti ne muoiono di malnutrizione, di fame e così via, ma milioni muoiono deliberatamente per volere della madre. E questo… è il grande distruttore della pace oggi. Perché se una madre può uccidere il proprio bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla”. Il racconto – “Le pre-persone” – scritto nel 1974 da Philip K. Dick [autore di Blade Runner] mostra fin dove possiamo arrivare di questo passo. Leggi e rifletti! [don Michele Lugli]


LE PRE-PERSONE

Philip K. Dick

Poco lontano dal boschetto di cipressi, Walter – che stava giocando a “king of the mountain” – vide il veicolo bianco, e capì di cosa si trattava. E’ il camion degli aborti, pensò. E’ venuto a prendere qualche ragazzino per un postparto giù alla clinica degli aborti. E, aggiunse mentalmente, forse sono stati i miei genitori a chiamarlo. Per me. Corse a nascondersi tra le more, sentendo i morsi delle spine ma dicendosi che era sempre meglio di farsi risucchiare l’aria fuori dai polmoni. E’ così che funziona; eseguono il postparto contemporaneamente su un intero gruppo di bambini. Hanno una grande stanza apposta per quello. Per i figli che nessuno vuole. Infilandosi più a fondo nel cespuglio, tese l’orecchio per sapere se il camion si sarebbe fermato; sentì il motore che andava. “Sono invisibile” disse a se stesso, una battuta che aveva imparato per la recita scolastica di “Sogno di una notte di mezza estate”, pronunciata da Oberon, il personaggio da lui interpretato. Quando il re diceva quella frase, nessuno poteva più vederlo. Forse avrebbe funzionato anche in quell’occasione. Forse le parole magiche funzionavano anche nella vita reale; così ripeté ancora una volta: “Sono invisibile.” Ma capì subito che non lo era. Poteva vedersi le braccia, le gambe e le scarpe, e sapeva che anche loro – tutti, soprattutto il tipo del camion degli aborti, ma anche sua madre e suo padre – potevano vederlo. Se avessero guardato. Se era davvero lui che cercavano, questa volta. Avrebbe voluto essere un re; avrebbe voluto essere ricoperto di polvere magica e indossare una corona sfavillante, per regnare sulla terra delle fate e avere Puck con cui confidarsi. Per chiedergli aiuto, anche. Per chiederglielo nonostante lui fosse un re e bisticciasse con Titania, sua moglie. Purtroppo, pensò, non sempre i desideri si avverano. Il sole lo stava arrostendo, e lui lanciava rapide occhiate al camion degli aborti, ma più che altro ne ascoltava il motore, che continuava a emettere i suoi rumori; il cuore di Walter si riempì di speranza mentre il veicolo continuava ad andare. Un altro ragazzino era stato trascinato alla clinica, non lui; qualcuno più su lungo la strada. Uscì con non poche difficoltà dai rovi, scosso e graffiato in più punti, e si incamminò passo dopo passo verso casa. E mentre si trascinava per la via iniziò a piangere, soprattutto per il dolore dei tagli ma anche per la paura e il sollievo.

“Oh, Signore!” esclamò sua madre quando lo vide. “Nel nome di Dio, cosa hai combinato?” Balbettando, lui rispose: “Ho… ho visto… il camion… degli aborti.” “E hai pensato che fosse per te?” Lui annuì, in silenzio. “Ascolta, Walter,” iniziò Cynthia Best, piegandosi a prendere le mani tremanti del figlio tra le sue, “ti prometto, io e tuo padre ti promettiamo, che non sarai mai spedito alla County Facility. E in ogni caso sei troppo grande. Prendono solo i bambini fino a dodici anni.” “Ma Jeff Vogel…” “I suoi genitori ce l’hanno fatto rinchiudere prima che il nuovo regolamento entrasse in vigore. Non potrebbe succedere, adesso. E di sicuro non succederà a te. Stammi a sentire… tu hai un’anima; la legge dice che ogni ragazzo dai dodici anni in su ne ha una. Quindi non può andare alla County Facility. Capisci? Sei salvo. Ogni volta che vedi il camion degli aborti, è per qualcun altro, non per te. Non sarà mai per te. E’ chiaro? E’ venuto per un bimbo più piccolo che non ha ancora un’anima, una pre-persona.” Col capo chino, senza incontrare gli occhi della madre, lui ripose: “A me non sembra di avere un’anima; mi sento lo stesso di sempre.” “E’ una questione legale”, scattò lei. “Strettamente collegata all’età. Un’età che tu hai già superato. La Chiesa degli Osservatori ha costretto il Congresso a promulgare questa legge – in realtà, al principio i tizi della chiesa volevano un limite di età inferiore; sostenevano che l’anima entra nel corpo a tre anni, ma furono costretti a giungere a un compromesso. Ma l’importante, per te, è che sei legalmente al sicuro, nonostante le tue paure; hai capito?” “Okay” rispose lui, annuendo. “Avresti dovuto saperle già, queste cose.” Walter lasciò sfogo alla rabbia e al dolore: “Come credi che ci si senta ad aspettarsi ogni giorno che qualcuno arrivi a rinchiuderti in una gabbia nel retro di un camion e…” “La tua paura è irrazionale”, lo interruppe Cynthia. “Li ho visti, il giorno che hanno preso Jeff Vogel. Lui stava piangendo, e l’uomo del camion aprì semplicemente il portellone, lo buttò dentro e richiuse.” “E’ successo due anni fa. Sei un debole.” Sua madre lo fulminò con lo sguardo. “Tuo nonno ti prenderebbe a cinghiate se ti vedesse ora e ti sentisse parlare in quel modo. Non come tuo padre. Lui si limiterebbe a sorridere e a dire qualcosa di stupido. Sono passati due anni, e sai anche di essere oltre l’età massima legale! Tu…” Si sforzò di trovare la parola giusta. “Ti stai comportando da debosciato.” “Jeff non è più tornato.” “Forse qualcuno che voleva un figlio è andato alla County Facility, lo ha trovato e ha deciso di adottarlo. Magari adesso ha una coppia di genitori migliori che si prendono davvero cura di lui. I bambini vengono tenuti alla clinica trenta giorni prima di essere annientati… messi a dormire, voglio dire”, si corresse alla fine.

Walter non si sentiva rassicurato. Perché sapeva che “mettere a dormire” era un’espressione tipica della Mafia. Si allontanò dalla madre, non volendo più il suo conforto. Lei aveva sprecato quell’occasione, per quanto lo riguardava; aveva rivelato qualcosa di se stessa o, in ogni caso, aveva mostrato le basi di ciò in cui credeva, di quello che pensava e, forse, di come era. Di come erano tutti. Ma io so di non essere diverso, si disse Walter, da come ero due anni fa, da bambino; se, come sostiene la legge, adesso ho un’anima, ce l’avevo anche allora, oppure l’anima non esiste… l’unica cosa concreta è quell’orribile camion dalla vernice metallizzata, con le sbarre ai finestrini, pieno di bambini che i genitori non vogliono più, genitori che sfruttano un’estensione della vecchia legge sull’aborto secondo la quale potevano uccidere un figlio indesiderato prima che nascesse: dal momento che non aveva “anima” o “identità”, poteva essere risucchiato da un tubo aspirante in meno di due minuti. Un dottore poteva eliminarne un centinaio al giorno, ed era legale perché il bambino non ancora nato non era “umano”. Era una pre-persona. Proprio come adesso con i camion; hanno solo spostato in avanti l’età in cui l’anima entra nel corpo. Il Congresso aveva adottato un semplice metro per stabilire con una certa approssimazione questo importante momento: la capacità di comprendere le operazioni matematiche complesse, l’algebra. Fino a che non sviluppava questa caratteristica, l’individuo era solo carne: corpo e istinti primordiali, riflessi animali e risposta allo stimolo. Come i cani di Pavlov quando vedevano un po’ d’acqua filtrare da sotto la porta del laboratorio di Leningrado; “capivano”, ma non erano umani. Io credo di essere umano, si disse Walter, e alzò lo sguardo sul viso grigio e severo di sua madre, occhi duri e arcigna razionalità. Sono come te, pensò. Ehi, è forte essere umani; non bisogna più aver paura che arrivi il camion.

“Ti senti meglio” osservò Cynthia. “Ho abbassato la soglia della tua ansietà.” “Non sono mica così fifone” ribatté lui. Era finita; il camion se ne era andato, e non lo aveva portato con sé. Ma sarebbe tornato tra qualche giorno. Faceva dei giri regolari. Comunque avrebbe avuto un po’ di tempo, prima di rivederlo… Se solo non sapessi che tolgono l’aria dai polmoni, si lamentò mentalmente. Li annientano così, i bambini che portano alla clinica. Perché? E’ più economico, gli aveva spiegato suo padre. Fa risparmiare i soldi dei contribuenti. Provò a immaginare cosa fosse un contribuente. Una creatura che guarda male i bambini, pensò. Che non risponde alle loro domande. Una faccia sottile, segnata dalle rughe di una preoccupazione eterna, gli occhi sempre in movimento. O forse è grassa; una o l’altra. Lui era più spaventato dal volto magro, il volto di un essere cui non piaceva la vita e che voleva distruggerla. Era come un’insegna lampeggiante: “Muori, vai via, ammàlati, non esistere.” E il camion degli aborti era la prova dell’esistenza di questo mostro, o il suo strumento. “Mamma,” chiamò Walter, “come si fa a chiudere una County Facility, una delle cliniche di aborti dove tengono i bimbi e i ragazzini?” “Bisogna inviare una petizione alla Contea” rispose lei. “Sai cosa farei io?” insisté il ragazzo. “Aspetterei finché non ci sono più bambini dentro, solo gli impiegati e i funzionari politici, e poi darei fuoco a tutto.” “Non lo dire nemmeno!” lo ammonì la madre, e lui le vide sul volto i lineamenti rigidi del contribuente magro. E ne fu spaventato; spaventato dalla sua stessa madre. Quegli occhi freddi e opachi non rispecchiavano nulla, nessuna traccia di vita, e lui pensò: sei tu a non avere un’anima, tu e i tuoi divieti meschini. Non noi. Poi corse fuori, per tornare a giocare.

Incontrò altri ragazzi che avevano visto il camion; se ne stavano in giro, chiacchierando di tanto in tanto, ma soprattutto scalciando i sassi e la polvere, calpestando ogni tanto qualche brutto insetto. “Per chi era venuto?” chiese Walter. “Fleischhacker. Earl Fleischhacker.” “L’hanno preso?” “Certo. Non hai sentito le urla?” “I suoi erano a casa?” “No, se l’erano svignata prima con una balla sul fatto di ‘portare la macchina all’autolavaggio’.” “Hanno chiamato loro il camion?” chiese Walter. “Sicuro, è la legge; devono farlo i genitori. Ma quei due sono troppo dei cacasotto per rimanere lì all’arrivo del camion. Cazzo, Earl ha strillato davvero. Tu abiti troppo lontano per poterlo sentire, ma ha fatto un casino.” Walter disse: “Sapete cosa dovremmo fare? Incendiare il camion e uccidere chi lo guida.” Gli altri ragazzi lo guardarono con disprezzo: “Finisci in un ospedale psichiatrico per tutta la vita, se fai una cosa del genere.” “Non sempre”, li corresse Pete Bride. “Qualche volta ti ‘ristrutturano una nuova personalità socialmente compatibile’.” “E allora, che si fa?” chiese Walter. “Tu hai dodici anni, sei al sicuro.” “Ma metti che modificano il regolamento.” In ogni caso, sapere di essere tecnicamente salvo non serviva ad alleviare la sua preoccupazione: il camion sarebbe comunque venuto per gli altri, e l’avrebbe sempre spaventato. Pensò ai bambini giù alla Facility in quel momento, che guardavano attraverso gli steccati della Cyclone ora dopo ora, giorno dopo giorno, aspettando e segnando il passare del tempo nella speranza che arrivasse qualcuno per adottarli. “Sei mai stato lì?” chiese a Peter Bride. “Nella County Facility? Tutti quei ragazzini, alcuni davvero piccoli, magari di un anno appena. E neanche sanno cosa li aspetta.” “I bambini vengono adottati” intervenne Zack Yablonski. “Sono i più grandi che non hanno alcuna possibilità. Ci sono sempre loro ad accoglierti; cioè, parlano con la gente che va nella clinica e cercano di fare una bella impressione, di sembrare gradevoli. Ma tutti sanno che non sarebbero lì se non fossero… voglio dire… sgradevoli.” “Sgonfiamo le ruote” disse Walter, pensando a voce alta. “Del camion? A proposito, lo sai che se metti una pallina di naftalina in un serbatoio, dopo circa una settimana il motore è andato? Potremmo provare.” Ben Balire disse: “Ma poi ci darebbero la caccia.” “Lo fanno già” ribatté Walter. “Secondo me dovremmo davvero dar fuoco al camion” riprese Harry Gottlieb. “Ma metti che poi ci sono dei bambini, dentro. Finirebbero arrostiti. Ogni camion raccoglie circa… cazzo, non so, cinque bambini al giorno, da differenti zone della contea.”

“Lo sapete che prendono anche i cani?” chiese Walter. “E i gatti; questo tipo di camion gira solo una volta al mese, più o meno. ‘Accalappiacani’, lo chiamano così. Ma per il resto è uguale all’altro: mettono gli animali in una grande stanza e gli aspirano l’aria dai polmoni fino a ucciderli. Lo fanno anche agli animali! Ai cuccioli!” “Ci crederò quando l’avrò visto coi miei occhi”, commentò Harry Gottlieb con un’aria di scetticismo e derisione. “Un camion che si porta via i cani…” Walter sapeva che era vero. Aveva visto l’accalappiacani due volte. Gatti, cani, ma soprattutto noi, rifletté cupo. Voglio dire, visto che hanno cominciato con noi, è naturale che si portino via anche gli animali domestici; non siamo poi così diversi. Ma quale tipo di persona è disposta a fare una cosa del genere, anche se è legale? ‘Alcune leggi sono fatte per essere osservate, altre per essere infrante’, ricordava di aver letto in un libro. Dovremmo incendiare l’accalappiacani per primo, si disse; è quello il camion peggiore. Ma perché, chiese a se stesso, quanto più è indifesa una creatura tanto più per alcuni è facile farla fuori? Come un bimbo nel ventre materno; l’aborto originale, gli esseri “pre-parto”, le “pre-persone”, come vengono chiamate adesso. Come potrebbero difendersi? Chi sprecherebbe una parola per loro? Tutte quelle vite, un centinaio al giorno per ogni dottore… indifese, silenziose e poi semplicemente morte. Stronzi, pensò. Ecco perché lo fanno, perché possono; si basano sul loro potere. Così un esserino che non ha mai visto la luce del sole viene aspirato via in meno di due minuti. E il dottore passa alla prossima pollastrella. Dovrebbe esserci un’organizzazione, si rammaricò mentalmente, simile alla Mafia. “Ammazza gli assassini”, o qualcosa del genere. Un sicario che va da uno di questi medici, tira fuori un tubo e ce lo risucchia dentro, e il dottore diventa piccolo come un feto. Un dottor feto, con lo stetoscopio grande quanto una capocchia di spillo… Walter cominciò a ridere per quell’immagine. I bambini non capiscono. Ma non era vero. I bambini capiscono tutto. Capiscono troppo.

Il camion degli aborti, durante i suoi giri, trasmetteva un ritornello del Signor Buon Umore: Jack e Jill / andarono in collina / per riempire un secchio di brina. Un nastro nell’impianto stereo del camion, costruito specificamente per la General Motors dalla Ampex, ripeteva di continuo quel motivetto squillante, a meno che il veicolo non si stesse avvicinando a una preda. In quel caso l’autista spegneva l’impianto e veleggiava silenzioso fino a raggiungere la casa giusta. In ogni caso, una volta rinchiuso il figlio indesiderato nel retro, col camion sulla via del ritorno per la County Facility o diretto a un altro prelievo di pre-persona, il guidatore lo riaccendeva. Jack e Jill / andarono in collina / per riempire un secchio di brina. Cantando per se stesso, Oscar Ferris, autista del camion numero Tre, continuò: “Jack cadde e la corona si spaccò, e Jill dietro di lui per terra si trovò.” Che diavolo sarà mai questa corona? si chiese Oscar. Magari una parte intima. L’uomo sogghignò. Forse Jack ci stava giochicchiando, o era Jill… tutti e due insieme magari. Brina un paio di palle, pensò. Lo so io perché sono andati tra i cespugli. Solo che Jack è caduto, e si è sfasciato il coso. “Ti ha detto male, Jill”, quasi urlò mentre guidava il camion, che aveva appena quattro anni, per le curve ventose della California Highway One. I ragazzini sono così, si disse Oscar. Degli sporcaccioni che fanno giochi più sconci di loro.

Era ancora in aperta campagna, e spesso i bambini randagi andavano rotolandosi nei canyon e tra i campi; bastava tenere gli occhi aperti, e prima o poi… proprio alla sua destra ne vide uno, sui sei anni, che cercava di nascondersi. In un istante Ferris schiacciò il pulsante che attivava la sirena. Il ragazzino si immobilizzò, congelato dalla paura, e aspettò mentre il camion, che ancora trasmetteva Jack e Jill, gli si accostava accanto prima di spegnersi. “Fammi vedere la tua patente di Desiderabilità” ordinò Ferris, senza scendere; sporse un braccio dal finestrino, mostrando l’uniforme e la fascia marroni, simboli della sua autorità. Il piccolo era pelle e ossa, come molti randagi, ma, d’altra parte, aveva un paio di occhiali. I capelli di un biondo slavato, in jeans e maglietta, guardava verso Ferris con occhi pieni di timore, senza accennare a tirar fuori i documenti di identificazione. “Ce l’hai una patente D o no?” chiese lui. “C-c-cos’è una ‘patente D’?” Nel suo tono ufficiale, Oscar Ferris spiegò al bambino i suoi diritti secondo la legge: “I tuoi genitori, o almeno uno dei due o chi ne fa le veci, compilano il modulo 36-W, che è una dichiarazione formale di desiderabilità. Vuol dire che ti considerano persona gradita. Non ne sei munito? Legalmente, questo fa di te un randagio, anche se i tuoi genitori desiderano tenerti con sé; sono passibili di una multa di cinquecento dollari.” “Oh” fece il ragazzino. “Be’, l’ho persa.” “Allora ce ne sarà una copia in archivio. Ormai tutti i documenti e le registrazioni sono su microfilm. Ti porterò…” “Alla County Facility?”. Le gambe del bambino, sottili come manici di scopa, parvero sul punto di cedere per la paura. “I tuoi genitori avranno trenta giorni per reclamarti, compilando il modulo 36-W. Se non lo faranno…” “I miei genitori non vanno d’accordo. Adesso io sto con papà.” “E lui non ti ha dato una patente D per identificarti.” Montato di traverso sul soffitto della cabina di guida, c’era un fucile. Era sempre possibile che sorgessero dei problemi, quando si trattava di prendere un randagio. D’istinto, Ferris lanciò un’occhiata all’arma. Era al suo posto, tutto okay: aveva un fucile a pompa. Lo aveva usato solo cinque volte nel corso della sua carriera nelle forze dell’ordine. Poteva ridurre un uomo in brandelli. “Devo portarti con me” disse, aprendo lo sportello del camion e tirando fuori le chiavi. “Ci sono altri due ragazzini nel retro; potete farvi compagnia.” “No” rispose il piccolo. “Non vengo.” Battendo le palpebre, si piazzò di fronte a Ferris, cocciuto e rigido come una roccia. “Oh, probabilmente hai sentito un sacco di storie sulla County Facility. Solo gli storpi, i deformi vengono messi a dormire; tutti i bambini normali e di bell’aspetto sono adottati… ti taglieremo i capelli e ti daremo una sistemata, e sarai pulito e ordinato. Vogliamo solo trovarti una casa. Tutto qua. Sono pochi – lo sai no? i malati mentalmente e fisicamente – quelli che nessuno vuole. Sarai subito scelto da una persona per bene, vedrai. E così non te ne andrai più in giro da queste parti senza la guida dei tuoi genitori. Avrai una madre e un padre nuovi e, ascolta, pagheranno dei bei bigliettoni per te; diamine, ti registreranno. Capisci? In realtà il posto dove ti terremo è più che altro un alloggio temporaneo, per renderti disponibile ai tuoi prossimi genitori.” “Ma se nessuno mi adotta entro un mese…” “Diamine, potresti cadere giù da una scogliera qui a Big Sur e morire. Non ti preoccupare. Gli impiegati alla Facility contatteranno i tuoi genitori attuali e di sicuro loro verranno con il Modulo di Desiderabilità (il 15 A) prima o poi, magari oggi stesso. E nel frattempo tu ti sarai fatto un bel viaggio, avrai conosciuto un sacco di altri bambini. Quando…” “No”, ripeté il ragazzino. “Devo informarti” disse Ferris cambiando tono “che sono un Ufficiale di Contea.” Spalancò lo sportello, saltò giù dal camion e mostrò al piccolo il suo lucente distintivo di metallo. “Sono l’Ufficiale di Pace Oscar Ferris e adesso ti ordino di entrare nel retro di questo veicolo.”

Un uomo alto si avvicinò, camminando con circospezione; come il bambino, indossava dei jeans e una maglietta, ma non aveva occhiali. “Lei è il padre?” chiese Ferris. Con voce roca, l’uomo ribatté: “Hai intenzione di portare il piccolo al canile?” “Noi lo consideriamo un centro di protezione per i bambini” rispose Ferris. “L’uso del termine ‘canile’ è un’offesa da hippie comunista, e distorce – volutamente – il senso complessivo di ciò che facciamo.” Indicando il camion, l’altro disse: “Chiudete i bambini in gabbie, o no?” “Mi favorisca i suoi documenti, prego” domandò l’ufficiale. “E vorrei anche sapere se è mai stato arrestato.” “Arrestato e poi giudicato innocente? O arrestato e trovato colpevole?” “Risponda alle mie domande, signore” gli intimò Ferris, mostrandogli il tesserino nero che usava con gli adulti per identificarsi come Ufficiale di Pace della Contea. “Chi è lei? Forza, vediamo i documenti.” L’uomo rispose: “Mi chiamo Ed Gantro, e ho un precedente. Avevo diciotto anni. Ho rubato quattro casse di Coca-Cola da un camion parcheggiato.” “E’ stato colto in flagrante?” “No, quando ho riportato i vuoti per il rimborso. E’ stato allora che mi hanno preso. Ho scontato una pena di sei mesi.” “Ha con sé una patente di Desiderabilità per il suo ragazzo?” chiese Ferris. “Non possiamo permetterci i novanta dollari del prezzo.” “Bene, adesso ve ne costerà cinquecento. Avreste dovuto provvedere prima. Le suggerisco di consultare un avvocato.” Oscar si mosse verso il bambino, dichiarando ufficialmente: “La prego di unirsi agli altri minori nella sezione posteriore del veicolo.” All’adulto chiese: “Gli dica di seguire le mie istruzioni.” L’uomo esitò, prima di dire: “Tim, entra in quel maledetto camion. Troveremo un avvocato; ci procureremo la patente D. E’ inutile creare dei problemi… tecnicamente sei un randagio.” “Un randagio” ripeté il piccolo, osservando suo padre. “Esattamente” commentò Ferris. “Lei ha trenta giorni per – lo sa, no? – avviare le…” “Prendete anche i gatti?” lo interruppe il bambino. “Ci sono anche dei gatti lì dentro? Mi piacciono molto, sono a posto.” “Mi occupo solo dei casi da postparto” rispose l’ufficiale. “Di quelli come te, vale a dire.” Con una chiave aprì il portellone posteriore del camion. “Cerca di non liberarti la vescica mentre sei a bordo; pulire le macchie e far andare via l’odore è dura da morire.” Il piccolo parve non capire; spostò lo sguardo da Ferris a suo padre, perplesso. “Non fare i tuoi bisogni nel camion”, gli spiegò il genitore. “Vogliono mantenere l’igiene per tagliare i costi di manutenzione.” La sua voce era feroce e severa. “Per quanto riguarda cani e gatti randagi,” disse l’altro uomo “gli sparano a vista, o piazzano delle esche avvelenate.” “Ah, sì, conosco quella roba, il Warfarin” commentò il padre di Tim. “L’animale ne mangia per circa una settimana, dopodiché ha un’emorragia interna e muore.” “Senza soffrire”, puntualizzò Ferris. “Non è meglio che succhiargli via l’aria dai polmoni?” chiese Ed Gantro. “Meglio che soffocarli in massa?” “Be’, con gli animali le autorità di contea…” “Mi riferisco ai bambini. Come Tim”.

L’uomo era in piedi dietro suo figlio, ed entrambi guardavano l’interno del camion. Vi si potevano appena distinguere due figure in ombra, rannicchiate quanto più in fondo era possibile, in atteggiamento di totale disperazione. “Fleischhacker!” urlò il piccolo Tim. “Non ce l’avevi una patente D?” “Per via della carenza di risorse energetiche e di carburante,” stava intanto spiegando Ferris, “la popolazione deve diminuire radicalmente. Oppure entro dieci anni non ci sarà più cibo per nessuno. Questa è una fase di…” “Ce l’avevo,” rispose Earl Fleischhacker “ma i miei me l’hanno tolta. Non mi volevano più; così si sono ripresi la patente e hanno chiamato il camion degli aborti.” Aveva una voce gracchiante; era ovvio che aveva pianto. “E che differenza c’è tra un feto di cinque mesi e quei due nel camion?” continuò l’ufficiale. “In entrambi i casi si tratta di figli indesiderati. I politici non hanno fatto altro che liberalizzare le leggi.” Il padre di Tim, fissando Ferris, gli chiese: “E tu sei d’accordo con queste leggi?” “Be’, in realtà la cosa riguarda Washington e quello che lì decidono per venire incontro ai nostri bisogni in questi giorni di crisi. Io non faccio altro che mettere in pratica i loro editti. Se la legge cambiasse… diamine… trasporterei i vuoti del latte per il riciclaggio o qualcosa del genere, e sarei altrettanto felice.” “Altrettanto? Ti piace il tuo lavoro?” Meccanicamente, Ferris rispose: “Mi dà la possibilità di viaggiare molto e di conoscere gente.” Ed Gantro disse: “Tu sei malato. Guarda a cosa ci hanno portato questo progetto di aborto postparto e la legge che c’era prima, per la quale i bambini non ancora nati non avevano diritti… venivano rimossi come tumori. Se un feto può essere ucciso senza processo, allora perché non facciamo fuori anche i piccoli dopo la nascita? Quello che secondo me entrambi i casi hanno in comune è che si tratta di esseri indifesi; l’organismo che viene eliminato non ha nessuna possibilità, né la capacità, di proteggersi. Sai una cosa? Voglio che prendi anche me. Nel camion con i tre bambini.” “Ma il Presidente e il Congresso hanno dichiarato che dopo i dodici anni si possiede un’anima” obiettò Ferris. “Non posso portare via anche lei. Non sarebbe legale.” “Io non ho anima” rispose il padre di Tim. “Quando ho compiuto dodici anni non è successo niente. Caricati anche me. A meno che non trovi la mia anima.” “Cavoli”, si lamentò l’altro. “Se non sei in grado di farmi vedere la mia anima,” continuò Gantro, “di localizzarla con precisione, allora insisto che prendi me proprio come hai fatto con questi bambini.” Ferris disse: “Dovrò contattare la County Facility via radio, per vedere cosa ne pensano.” “Fallo” rispose l’uomo, e si issò a fatica nel retro del camion, aiutando poi suo figlio a fare altrettanto. Insieme agli altri due ragazzi, aspettarono mentre l’Ufficiale di Pace Oscar Ferris, con tutte le sue ufficiali dichiarazioni riguardo la propria identità, parlava alla radio. “Ho qui un maschio di razza caucasica, circa trent’anni, che insiste per essere trasportato alla County Facility con suo figlio, un bambino” disse Ferris. “Dichiara di non avere anima, e sostiene quindi di rientrare nella stessa categoria dei minori di dodici anni. Non ho con me né conosco un test per stabilire se dice la verità, almeno non uno che possa somministrargli in questa landa sperduta e che in seguito sia soddisfacente per una corte legale. Voglio dire, con ogni probabilità quest’uomo è in grado di eseguire operazioni algebriche e di matematica complessa; sembra una persona intelligente. Ma…” “Hai l’autorizzazione di portarlo con te” gli comunicò dall’apparecchio ricevente la voce del suo superiore. “Ci occuperemo di lui qui.” “Ce la vedremo con te giù in centro”, disse Ferris al padre di Tim, che insieme alle tre figure più piccole si era accovacciato nei recessi oscuri del retro del camion. L’ufficiale chiuse violentemente il portellone e serrò il lucchetto – una precauzione ulteriore, dal momento che i due ragazzi che aveva già catturato erano avvolti in imbracature elettroniche – e avviò il motore. Jack e Jill/ andarono in collina/ per riempire un secchio di brina/ Jack cadde e la corona si spaccò Qualcuno sta per spaccarsi la corona, pensò Ferris mentre guidava il camion lungo la strada spazzata dal vento, ma di sicuro non si tratta di me.

“Non le so fare, le operazioni algebriche” sentì dire dall’adulto nel retro ai tre ragazzini. “Quindi non posso avere un’anima.” Il piccolo Fleishhacker, piagnucolando, rispose: “Io sono capace, ma ho solo nove anni. Quindi non mi serve a niente.” “Questo dirò nel mio appello alla Facility” continuò il padre di Tim. “Già le divisioni a più cifre sono difficili, per me. Non ho un’anima. Sono proprio come voi bambini.” Ferris, a voce alta, li ammonì: “Non voglio che sporchiate il camion, capito? Ci costa…” “Non me lo dire,” ribatté Ed Gantro “tanto non capirei. Sarebbe troppo complicato, ratei, dividendi e termini fiscali del genere.” Ho preso su un rimbambito, pensò l’ufficiale; era contento di avere il fucile a pompa a portata di mano. “Il mondo sta per esaurire ogni tipo di scorta, dovreste saperlo,” riprese “energia e succo di mela, pane e carburante; dobbiamo tenere sotto controllo la popolazione, e l’embolo causato dalla Pillola rende possibile…” “Nessuno qui capisce quei paroloni”, lo interruppe l’uomo. Con rabbia, e sentendosi preso in giro, Ferris spiegò: “Crescita zero: è questa la risposta alla crisi energetica e alimentare. E’ come… cazzo, è come quando è stato introdotto il coniglio in Australia, dove non aveva nemici naturali e cominciò a moltiplicarsi all’infinito, come la gente…” “Le moltiplicazioni le capisco” se ne uscì il padre del ragazzino. “E anche le addizioni e le sottrazioni. Ma è tutto quello che so fare.” Quattro conigli pazzi che saltellano per la strada, si disse Ferris. La gente inquina l’ambiente naturale. Chissà che aspetto aveva questa parte del paese prima dell’arrivo dell’uomo… Be’, rispose a se stesso, con gli aborti postparto che vanno avanti in tutti gli Stati Uniti, prima o poi torneremo a vedere quell’epoca; potremo di nuovo osservare una terra vergine. Potremo… be’, si corresse, credo che non ci sarà più nessuno, allora. Voglio dire, enormi computer senzienti setacceranno il paesaggio con i loro video-ricettori e lo troveranno di loro gusto. Quel pensiero lo rimise di buon umore.

“Voglio un aborto!” dichiarò con entusiamo Cynthia mentre rientrava in casa con le braccia cariche di sintodolciumi. “Non sarebbe fantastico? Non ti prende, l’idea?” Ian Best, suo marito, rispose secco: “Prima devi essere incinta. Quindi prendi un appuntamento col dottor Guido – verrà appena cinquanta o sessanta dollari – e fatti rimuovere la spirale.” “Credo che abbia già cominciato a scivolare via, in ogni caso. Forse, se…” Scrollò con fare gioioso la testa, tutta treccine adolescenziali di colore scuro. “Probabilmente è da un anno che non funziona come dovrebbe. Quindi potrei anche essere incinta, ora.” Ian le rispose con acida ironia: “Potresti mettere un annuncio su Free Press: ‘Cercasi uomo con gruccia per pescare fuori una spirale’.” “Ma non capisci?”, gli chiese sua moglie, seguendolo fino al guardaroba, dove lui appese la cravatta-status symbol e il cappotto-distintivo sociale. “E’ ‘in’ adesso, avere un aborto. Ascolta, cosa abbiamo noi? Un ragazzino. Walter. Ogni volta che qualcuno viene a trovarci e lo vede, io so cosa si chiedono: ‘E tu da dove sbuchi?’ E’ imbarazzante.” Poi aggiunse: “E il tipo di aborto che praticano ora, per le donne nei primi mesi, costa solo un centinaio di dollari… come quaranta litri di benzina! E ne puoi parlare per ore praticamente con chiunque incontri.” Ian si girò per guardarla in viso e con voce piatta disse: “E ti lasciano anche tenere l’embrione? Puoi riportartelo a casa in una bottiglia, magari dipinto con una speciale vernice fosforescente affinché brilli nell’oscurità come una specie di lampadina?” “Sì, e puoi scegliere qualsiasi tinta!” “Per l’embrione?” “No, per la bottiglia. E per il fluido che contiene. Li mettono in una soluzione conservante, quindi in realtà si tratta di un acquisto che dura tutta la vita. C’è anche una garanzia scritta, mi pare.” Ian incrociò le braccia al petto per mantenere la calma: onde cerebrali di tipo alfa. “Ma lo sai che ci sono persone desiderose di avere figli? Anche un normale, stupido bambino. Gente che settimana dopo settimana va alla County Facility in cerca di un neonato? Queste idee… questo panico planetario riguardo la sovrappopolazione… Nove miliardi di esseri umani ammassati come legna da camino in ogni caseggiato di ogni città. Okay, se dovesse andare avanti così…”, spalancò le braccia. “Ma il vero problema, adesso, è che non ci sono abbastanza bambini. Non la guardi la tv? Non leggi il Times?” “E’ tutto una noia” se ne uscì Cynthia. “Per esempio, oggi Walter è tornato a casa terrorizzato perché aveva visto arrivare il camion degli aborti. Prendersi cura di lui è una noia. Per te è facile, sei sempre al lavoro. Ma per me…” “Sai cosa mi piacerebbe fare a quei nazisti del furgone degli aborti? Piazzerei un paio dei miei ex compagni di sbronze armati di mitragliatrici pesanti, uno su ogni lato della strada. Poi quando passa il furgone…” “E’ un camion con impianto di aerazione e aria condizionata, non un furgone.” Ian fulminò sua moglie con lo sguardo e poi se ne andò in cucina, a prepararsi da bere. Scotch, decise. Scotch e latte, un buon “aperitivo”.

Mentre miscelava il drink, sentì che era arrivato Walter, suo figlio. Era pallido in modo preoccupante. “Il camion era in giro oggi, vero?” gli chiese. “Ho pensato che fosse…” “No. Se anche io e tua madre decidessimo di vedere un legale e di procurarci un documento che annulli la tua patente D, sei troppo grande. Rilassati.” “Razionalmente le so, queste cose,” rispose Walter, “ma…” “‘Non cercare di capire per chi suona la campana; suona per te’”, citò (male) Ian. “Ascolta, Walt, lascia che ti spieghi un paio di cosine.” Prese un lungo sorso di latte e scotch. “Il nome di tutto questo casino è omicidio. Uccidili quando sono delle dimensioni di un’unghia, o quando sono lunghi come una mazza da baseball, o anche dopo, se non li hai ancora fatti fuori, risucchia tutta l’aria dai polmoni di un bambino di dieci anni e lascialo morire. E’ un certo tipo di donna a promuovere tutto ciò. Un tempo l’avrebbero definita ‘femmina castrante’. Forse allora l’espressione era esatta, solo che queste persone, queste donne fredde e dure, non desiderano solo… be’, loro vogliono annientare l’uomo nella sua interezza, eliminarci tutti: non si tratta solo di privarci della parte che ci rende uomini. Hai capito?” “No”, rispose Walter, ma in un certo senso, in modo oscuro e davvero terrorizzante, aveva capito. Dopo un’altra sorsata, Ian riprese: “E ne abbiamo una che vive proprio qui, figliolo. Qui nella nostra stessa casa.” “Cosa vive qui?” “Quella che gli psichiatri svizzeri chiamano kindermörder”, rispose lui, usando di proposito un termine che, lo sapeva, suo figlio non avrebbe compreso. “Sai una cosa?” gli domandò poi. “Io e te potremmo salire su un vagone della Amtrak e andarcene a nord finché non arriviamo a Vancouver, British Columbia, e lì ci imbarcheremmo sul traghetto per Vancouver Island e da queste parti non ci rivedrebbe mai più.” “E mamma?” “Le manderei un assegno” disse Ian. “Ogni mese. E lei andrebbe di sicuro bene così.” “Fa freddo su al nord, vero?” chiese Walter. “Voglio dire, hanno pochissimo carburante e indossano…” “E’ più o meno come a San Francisco. Che c’è? Hai paura di metterti un paio di felpe in più e di sederti davanti a un camino? Diamine, non hai visto oggi stesso qualcosa che ti spaventa molto di più?” “Oh, certo.” Il piccolo annuì, triste. “Potremmo vivere su un qualche isolotto vicino Vancouver Island e coltivare il nostro stesso cibo. Ci si possono piantare le verdure, lassù, e crescono. E il camion non ci passa, da quelle parti; non lo rivedresti mai più. Hanno delle leggi diverse. Le donne sono diverse. C’è questa ragazza che ho conosciuto quando sono stato lì per un po’, tanto tempo fa: aveva lunghi capelli neri, fumava di continuo sigarette Player, non mangiava mai né smetteva mai di parlare. Quaggiù viviamo in una società dove il desiderio che le donne hanno di distruggere i loro stessi…”.

Ian si arrestò di colpo; sua moglie era tornata in cucina. “Se bevi ancora quella roba,” gli disse “finirai col vomitare.” “Va bene” le rispose Ian adirato. “Va bene!” “E non urlare” ribatté Cynthia. “Pensavo che sarebbe stato carino da parte tua portarci fuori a cena. Dal Rey ha detto in tv che ci saranno le bistecche, per chi arriva presto.” Arricciando il naso in una smorfia di disgusto, Walter aggiunse: “Hanno anche le ostriche crude.” “Della varietà blue point” lo informò Cynthia. “Le servono nel guscio, ghiacciate. Le adoro. Va bene, Ian? E’ andata?” Rivolto al figlio, Ian disse: “Un’ostrica blue point cruda è quanto di più simile c’è al mondo a quello che i chirurghi…”. Si zittì notando l’occhiataccia di sua moglie, e il piccolo rimase a guardarlo perplesso. “E sia,” concluse allora “ma io prenderò la bistecca.” “Anch’io” si accodò Walter. Finendo il suo drink, Ian disse con maggiore calma: “Quand’è stata l’ultima volta che hai preparato da mangiare in questa casa? Per tutti e tre?” “Vi ho cucinato quelle orecchie di maiale col riso, venerdì” rispose Cynthia. “Un piatto che abbiamo buttato via perché era qualcosa di nuovo, di non richiesto. Ti ricordi, caro?” Ignorandola, lui si rivolse al figlio: “Ovviamente, troveremo quel tipo di donna anche su al nord qualche volta, o persino spesso. E’ esistita per secoli e in tutte le culture. Ma dal momento che in Canada non ci sono leggi che permettano l’aborto postparto…” si fermò. “E’ il latte che mi fa parlare così” spiegò alla moglie. “Hanno cominciato a mischiarlo con lo zolfo. Non farci caso, oppure fai causa ai responsabili, la scelta sta a te.” Lei, guardandolo di sottecchi, gli chiese: “Stai di nuovo vivendo una delle tue fantasie di fuga?” “Tutti e due” precisò Walter. “Papà mi porterà con sé.” “Dove?” chiese Cynthia, con noncuranza. Ian rispose: “Ovunque ci porti la Amtrak.” “Stiamo per andare a Vancouver Island, in Canada” confessò il piccolo. “Ah, davvero?” domandò lei. Dopo una pausa, Ian disse: “Davvero.” “E secondo te cosa cazzo dovrei fare io, quando voi non ci sarete più? Dare via il culo giù al bar del quartiere? Come farò a pagare i vari…” “Ti spedirei puntualmente un assegno” le comunicò il marito. “Garantito dalle banche migliori.” “Certo. Ci puoi scommettere. Come no. E va bene.” “Potresti venite anche tu,” le propose lui, “a prendere i pesci tuffandoti nella English Bay e straziandoli a morte coi tuoi denti affilati. Potresti liberare l’intera British Columbia dalla sua fauna ittica nel corso di una notte. Tutti quei pesci sulla spiaggia, a chiedersi inutilmente cosa è successo… un minuto prima stavano nuotando e poi questa… quest’orchessa, questo mostro ammazza-pesci con un singolo occhio luminoso al centro della fronte piomba in mezzo a loro e li riduce in poltiglia. Diventeresti subito una leggenda. Notizie del genere si diffondono in fretta. Almeno tra i pochi pesci sopravvissuti.” “Certo, papà,” intervenne Walter “ma metti che non ne resta neanche uno…” “Allora sarà stato tutto inutile” rispose lui. “Tranne che per la soddisfazione personale di tua madre per aver estinto un’intera specie nella British Columbia, dove la pesca è comunque la maggiore fonte di lavoro, dalla quale dipende la sopravvivenza di molte altre creature.” “Ma allora sarebbero tutti disoccupati” si allarmò il piccolo. “No,” lo corresse Ian, “inscatolerebbero i pesci morti per venderli agli americani. Vedi, Walter, nei giorni andati, prima che tua madre condannasse a morte tutti i pesci della British Columbia con la sua dentatura multipla, gli zotici del luogo si mettevano a riva con un bastone in mano, e quando un pesce passava lo colpivano forte sulla testa. No, tua madre creerebbe lavoro, non lo eliminerebbe. Milioni di barattoli subito commerciabili…” “Ma non capisci”, si affrettò a interromperlo Cynthia, “che ci crede, a quello che racconti?” Ian rispose: “Fa bene, perché è la verità.” Sebbene, pensò, non in senso letterale.

A sua moglie disse: “Vi porto fuori a cena. Prendi le tessere-razione e indossa quella camicetta attillata blu che ti mette in mostra le tette; così attirerai un sacco di attenzione, e magari non si ricorderanno di prendere le nostre tessere.” “Cos’è una tetta?” chiese Walter. “Qualcosa che diventa ben presto obsoleta,” gli rispose il padre, “come la Pontiac della GTO. Solo che si tratta di un ornamento, serve per essere ammirata e strizzata. La sua reale funzione è andata perduta.” Proprio come la nostra specie, aggiunse mentalmente, da quando abbiamo consegnato le redini a persone in grado di uccidere i bambini non ancora nati – in altre parole, le creature viventi più indifese. “Una tetta”, disse Cynthia al figlio in tono severo, “è la ghiandola mammaria delle donne, e fornisce il latte per i bambini.” “Di solito ce ne sono due”, riprese Ian. “La tetta operativa e la tetta di riserva, in caso ci siano problemi con la prima. A questo proposito io suggerirei di eliminare un passaggio in tutta questa follia degli aborti delle pre-persone. Mandiamo tutte le tette del mondo nelle County Facility. Il latte, se ce n’è, verrà aspirato via, con strumenti meccanici, ovviamente; e così saranno vuote e inutili, e i bambini moriranno in modo naturale, privati della loro principale fonte di nutrimento.” “C’è quello artificiale”, ribatté Cynthia, disgustata. “Similac e roba del genere. Vado a cambiarmi, così possiamo uscire.” Si girò e si diresse a grandi passi verso la stanza da letto.

“Sai,” le urlò dietro Ian “se ci fosse il modo mi faresti classificare come pre-persona, e mi manderesti laggiù. Facilmente alla Facility.” E, pensò poi, non sarei l’unico marito in California ad andarci. Ce ne sarebbero tantissimi altri. Tutti nella stessa barca, come adesso. “Mi sembra una buona idea.” La voce della moglie gli arrivò debole; lo aveva sentito. “Non si tratta solo di odio per gli indifesi” dichiarò Ian Best. “C’è dell’altro. Odio per chi? Per qualsiasi cosa sia in grado di crescere?” Uccidili prima che diventino abbastanza grandi da avere dei muscoli, da poter concepire delle strategie, da essere in grado di combattere – come sono io rispetto a te, con la mia crescita completa e il mio peso. E’ così facile quando l’altro – tanto vale dire la non-persona – galleggia e sogna nel liquido amniotico non sa assolutamente come reagire, né ne sente il bisogno. Dove sono andati a finire gli istinti materni? si chiese Ian. Un tempo le madri proteggevano soprattutto ciò che era piccolo, debole e indifeso. E’ colpa della nostra società competitiva, decise. La sopravvivenza del più forte. Non del più idoneo, solo di chi ha il potere. E non sono certo intenzionati a cederlo alle generazioni future: si tratta del vecchio potente e malvagio contro il nuovo nobile e inerme. “Papà,” lo chiamò Walter, “andremo davvero in Canada, a Vancouver Island? Davvero coltiveremo la roba da mangiare e non dovremo più aver paura di nulla?” In parte anche a se stesso, Ian promise: “Appena ho i soldi.” “Lo so che significa. E’ uno dei tuoi ‘vedremo’. Non succederà mai, vero?” Fissò il volto di suo padre con grande intensità. “Mamma non ce lo permetterà, come quando mi costringe ad andare a scuola e cose del genere; si comporta sempre così… giusto?” “Prima o poi lo faremo” dichiarò Ian con ostinazione. “Forse non questo mese, ma ti giuro che lo faremo.” “E non ci sono camion degli aborti lassù.” “No. Nessuno. La legge canadese è diversa.” “Sbrighiamoci, papà. Ti prego.” Ian si preparò un altro bicchiere di latte e scotch, e non rispose; aveva un’espressione malinconica, infelice, quasi stesse per piangere.

I tre bambini e l’adulto erano ammassati nel retro del camion degli aborti, sballottati a ogni curva. Andarono a finire contro le intelaiature metalliche che li separavano uno dall’altro, e Ed Gantro sentì una profonda disperazione nel vedersi meccanicamente diviso dal suo ragazzo. Un incubo a occhi aperti, pensò. In gabbia come animali; il suo nobile gesto gli aveva causato solo altre sofferenze. “Perché hai detto di non conoscere l’algebra?” gli chiese a un tratto Tim. “Io so che sei capace perfino di risolvere le equazioni e conosci la trigo… cosa; sei stato alla Stanford University.” “Volevo dimostrare” rispose lui “che o uccidono tutti o nessuno. Ma non possono differenziarci con dei criteri arbitrari e burocratici. ‘Quand’è che l’anima entra nel corpo?’ Che razza di quesito è questo, nella nostra epoca razionale? E’ roba da medioevo.” E infatti, si disse, è un pretesto – un pretesto per dare la caccia agli indifesi. Ma lui non era indifeso. Il camion degli aborti aveva preso un uomo nel pieno della maturità, con tutto il suo sapere, la sua furbizia. Come avranno intenzione di gestirmi? domandò a se stesso. Di sicuro sono come ogni adulto: se gli altri hanno un’anima, allora ce l’ho anche io. E viceversa. Ma in base a quale motivo logico potrebbero ‘mettermi a dormire’? Non sono piccolo né debole, non sono un bambino che non sa nulla e può solo tremare, inerme. Posso discutere di cavilli col migliore avvocato della contea, con il procuratore distrettuale stesso, se è necessario. Se fanno fuori me, pensò, dovranno eliminare tutti, inclusi loro stessi. E non è così che funziona. Questa è una partita truccata dove il potere, quelli che occupano i posti chiave nell’economia e nella politica, tengono lontani i più giovani – li uccidono, se serve. In questo paese domina l’odio dei grandi per i piccoli, l’odio e la paura. Quindi come agiranno con me? Io ho la loro età, eppure sono rinchiuso nel retro di questo camion degli aborti. Rappresento un tipo differente di minaccia; sono uno di loro ma mi sono schierato dall’altra parte, con i randagi, cani e gatti, bambini e neonati. Che siano loro a dare un senso a tutto ciò; che venga fuori un nuovo san Tommaso d’Aquino in grado di risolvergli il problema.

A voce alta, riprese: “Io so solo fare moltiplicazioni, addizioni e sottrazioni. Già con le frazioni comincio a non capire.” “Ma prima non era così!” obiettò Tim. “E’ divertente come uno dimentica tutto appena finita la scuola”, disse Ed Gantro. “Probabilmente voi ragazzini siete più bravi di me in questo senso.” “Papà, ti faranno fuori!” esclamò suo figlio. “Nessuno vorrà adottarti. Non alla tua età. Sei troppo vecchio.” “Vediamo un pò” disse Ed. “Il teorema binomiale… com’era? Non riesco a ricordare: qualcosa a proposito di a e b.” E mentre il teorema gli scivolava via dalla mente, proprio come aveva fatto la sua anima immortale, l’uomo rise di se stesso. Non posso superare il test dell’anima, pensò. Almeno non se parlo in questo modo. Sono come un cane di strada, un animale nella sua tana. Il vero e primo errore degli abortisti, raccontò a suo solo beneficio, è stata la linea di demarcazione arbitraria che hanno tracciato. Un embrione non ha diritti per la costituzione americana e quindi può legalmente essere ucciso da un dottore. Eppure il feto era stato considerato, almeno per un certo periodo, una “persona” anche dal punto di vista giuridico; ma poi la folla abortista aveva deciso che neanche a sette mesi si può parlare di “essere umano”, quindi il feto poteva essere eliminato, secondo la legge, da un medico autorizzato. E, un bel giorno, era toccata ai neonati… sono come dei vegetali, incapaci di focalizzare lo sguardo, non capiscono nulla, non parlano… così la lobby abortista aveva perorato la sua causa, vincendo, stabilendo che un neonato è solo un feto espulso dall’utero materno accidentalmente o attraverso un processo organico. Ma, anche allora, dove andava tracciata la linea di demarcazione? Quando il bambino sorride per la prima volta? Quando dice le sue prime parole o riesce a prendere da solo il suo giocattolo preferito? Il termine legale fu inesorabilmente spostato sempre più in avanti. Fino alla più selvaggia e arbitraria delle definizioni: la capacità di eseguire operazioni di “matematica complessa”. Questo rendeva gli antichi Greci, ai tempi di Platone, non umani, dal momento che l’aritmetica era ignota a quel popolo, che conosceva solo la geometria; e l’algebra era stata un’invenzione araba, ancora di là da venire. Arbitrarietà. Ma non dal punto di vista teologico, comunque; un’arbitrarietà tutta legale. La Chiesa da tempo – dall’inizio, in effetti – andava sostenendo che già lo zigote, e l’embrione che ne deriva, è una forma di vita sacra come tutte le altre sulla Terra. Avevano capito cosa sarebbe scaturito da asserzioni come “Ora l’anima entra nel corpo”, o, in termini attuali: “Ora si può parlare di una persona che gode dei diritti e della protezione legale come tutte le altre”.

Ma la cosa più triste di tutte era l’immagine del bambino che, con grande coraggio, gioca nel suo cortile giorno dopo giorno, cercando di sperare, fingendo una sicurezza che non ha. Bene, si disse Ed Gantro, vedremo cosa faranno con me; ho trentacinque anni, e una laurea di Stanford. Mi sbatteranno in una gabbia per trenta giorni, con un piatto di plastica per il cibo, una fontanella e un angolo dove fare i miei bisogni davanti a tutti? E se ne nessuno mi adotta, mi metteranno a morte come tutti gli altri bambini? Sto rischiando molto, pensò. Ma hanno preso mio figlio, oggi, e il pericolo è cominciato allora, non quando mi sono fatto avanti, diventando anch’io una vittima. Diede un’occhiata ai tre ragazzini spaventati, e cercò qualcosa da dirgli – non solo a suo figlio, a tutti e tre. “‘Ascoltate’,” cominciò a citare. “‘Vi rivelerò un sacro segreto. Non dormiremo tra le braccia della morte. Noi…’” Ma non riuscì a ricordare il resto. Che fregatura!, si lagnò mentalmente. “‘Ci sveglieremo’” riprese, facendo del suo meglio. “‘In un lampo. In un batter d’occhio’.” “Basta fare casino”, ringhiò l’autista da dietro la rete metallica di protezione. “Non riesco a concentrarmi su questa cazzo di strada” aggiunse. “Sappiate che posso spruzzare un gas dove siete voi, e morirete tutti; è per le pre-persone turbolente. Allora, ci date un taglio o schiaccio il pulsante del gas?” “Non diremo più nulla”, si affrettò a rispondere Tim, con una muta, terrorizzata richiesta di collaborazione immediata a suo padre. Ed restò zitto. Quello sguardo era troppo per lui, e si arrese. In ogni caso, ragionò, quello che succede nel camion non è importante. Si sarebbe giocato tutto all’arrivo alla County Facility, dove al primo segno di problemi ci sarebbero stati giornalisti e reporter della tv. Così il viaggio proseguì in silenzio, ognuno chiuso nelle proprie paure, nei propri progetti. Ed Gantro perfezionò le sue idee su ciò che avrebbe fatto – su ciò che doveva fare. E non solo per Tim e tutti gli altri candidati a un aborto postparto; continuò a ragionare mentre il camion sobbalzava e superava lento curve e incroci.

Appena il veicolo parcheggiò nel ristretto piazzale della County Facility e il portellone sul retro fu aperto, Sam B. Carpenter, che portava avanti l’intera maledetta baracca, lo raggiunse, diede un’occhiata e disse: “C’è un adulto lì dentro, Ferris. Per dirla tutta, ti rendi conto di cosa ci hai portato? Una protesta, ecco cosa avevi rinchiuso nel tuo camion.” “Ma quest’uomo ha più volte confermato di non conoscere la matematica” si giustificò l’ufficiale. A Ed Gantro, Carpenter ordinò: “Mi passi il suo portafogli. Voglio il suo vero nome. Numero della Sicurezza Sociale, attestato di normalità della polizia regionale… forza, voglio sapere chi è lei in realtà.” “E’ solo un contadino”, si intromise Ferris, mentre l’uomo consegnava il suo portafogli bitorzoluto. “E voglio le sue impronte digitali” aggiunse il direttore della Facility. “Tutte. Immediatamente – priorità assoluta.” Gli piaceva esprimersi in quel modo. Dopo un’ora ricevette le registrazioni dalla giungla di computer della sicurezza interconnessi che faceva capo a una pseudo-zona pastorale della Virginia. “Quest’uomo si è laureato in matematica all’università di Stanford, poi ha conseguito un master in psicologia, che ha senza dubbio usato su tutti noi. Dobbiamo mandarlo via da qui.” “Avevo un’anima” raccontò Gantro. “Ma l’ho persa.” “Come?” chiese Carpenter, non trovando nulla al riguardo sui documenti ufficiali. “Un embolo. La porzione della mia corteccia cerebrale dove risiedeva la mia anima è andata distrutta quando ho inalato per sbaglio uno spray insetticida. E’ per questo che da allora vivo in aperta campagna nutrendomi di vermi e radici insieme a mio figlio Tim.” “Le faremo un elettroencefalogramma, annunciò Carpenter. “Cos’è?” chiese lui. “Uno di quei test mentali?” A Ferris, il suo superiore comunicò: “L’anima entra nel corpo a dodici anni. E tu hai portato qui un individuo adulto di sesso maschile… ha più di trent’anni. Potrebbero accusarci di omicidio. Dobbiamo sbarazzarci di lui. Riportalo esattamente dove l’hai trovato e scaricalo. Se non scende dal camion di sua spontanea volontà, riempilo di gas finché non si caca addosso e poi sbattilo fuori. E’ un’ordine che riguarda la sicurezza nazionale. Ne va del tuo lavoro, nonché della tua posizione nei confronti del codice penale di questo stato.” “Io devo stare qui”, intervenne Ed Gantro. “Sono stupido.” Carpenter lo ignorò. “Anche suo figlio. Con ogni probabilità è uno di quei matematici mutanti mentali che si vedono in tv. Ti hanno fregato. Magari hanno già avvisato i media. Riportali tutti indietro, somministragli il gas e riportali ovunque tu li abbia trovati. Se non ci riesci, lasciali in un posto qualsiasi, purché sia fuori mano.” “Ti stai lasciando prendere dall’isteria” rispose adirato Ferris. “Facciamo l’EEG e uno scan cerebrale a Gantro e magari dovremo davvero rilasciarlo, ma questi tre minori…” “Tutti geni”. rispose il suo superiore. “Fanno tutti parte della messinscena, solo che sei troppo stupido per capirlo. Buttali giù dal camion e fuori dai nostri terreni e nega – hai capito? – nega di aver mai incontrato uno qualsiasi di questi quattro. Attieniti a questa versione”.

“Fuori dal veicolo”, ordinò Ferris, attivando il meccanismo che sollevava le gabbie di separazione. I tre ragazzini si affrettarono a uscire, ma non Ed Gantro. “Non ha intenzione di scendere” osservò Carpenter. “Va bene, signor Gantro, allora la tireremo fuori con la forza.” Fece un cenno del capo a Ferris, e insieme salirono sul retro del camion. Un attimo dopo stavano depositando Ed sull’asfalto del parcheggio. “Ora lei è solo un normale cittadino” annunciò sollevato l’alto funzionario. “Può dire ciò che vuole, ma non ha nessuna prova.” “Papà,” chiamò Tim “come facciamo a tornare a casa?” I tre ragazzini si raccolsero intorno a Ed Gantro. “Potreste chiamare qualcuno da qui”, suggerì il piccolo Fleischhacker. “Mi chiedo se il papà di Walter ha abbastanza benzina per venire a prenderci. Fa un sacco di viaggi lunghi; ha degli sconti speciali sul carburante.” “Litiga spesso con sua moglie, la signora Best” spiegò Tim. “E così gli piace andare in giro la notte, da solo; voglio dire, senza di lei.” L’adulto dichiarò: “Io resto qui. Voglio che mi chiudano in una gabbia.” “Ma possiamo andarcene”, protestò suo figlio. Con fare ansioso, gli strattonò la maglia. “E’ questo che conta, no? Hanno deciso di lasciarci liberi quando hanno visto te. Ce l’abbiamo fatta!” Ed Gantro disse a Carpenter: “Insisto per essere imprigionato con le altre pre-persone che avete lì.” Indicò l’edificio verde della Facility, dall’aspetto in qualche modo allegro nonostante l’imponenza e la solidità. Anche Tim si rivolse al signor Sam B. Carpenter: “Chiamate il signor Best, giù da noi, alla penisola. Il prefisso è 669. Ditegli di venirci a prendere e lui lo farà. Ve lo giuro. Per favore.” Il piccolo Fleischhacker aggiunse: “C’è un solo Best nell’elenco telefonico col prefisso 669. Per favore, signore”.

Carpenter entrò nell’edificio, a uno dei tanti telefoni ufficiali della Facility. Cercò il numero. Ian Best. Digitò le cifre. “Avete selezionato un apparecchio semifunzionante e semiinutile”, gli rispose la voce di un uomo, chiaramente mezzo ubriaco. In sottofondo si sentivano i toni taglienti di una donna inferocita, che se la prendeva col signor Ian Best. “Signore,” esordì Carpenter, “alcune persone di sua conoscenza sono bloccate qui a Verde Gabriel, all’incrocio tra la Quarta e la A: un tale Ed Gantro e suo figlio Tim, un ragazzo identificato come Ronald o Donald Fleischhacker e un altro minore non identificato. Il piccolo Gantro sostiene che lei non avrebbe nulla in contrario a venire fin qui per prenderli e riportarli a casa.” “La Quarta e la A?” chiese Ian Best. Una pausa. “Ma non è il canile?” “La County Facility” lo corresse Carpenter. “Figlio di puttana!” esclamò Best. “Ma certo che vengo; sarò lì tra venti minuti. Avete Ed Gantro lì, come pre-persona? Ma lo sapete che si è laureato alla Stanford University?” “Ne siamo consapevoli”, ribatté il funzionario con voce inespressiva. “Ma queste persone non sono detenute; sono semplicemente… qui. Non, ripeto, non in nostra custodia.” Ian Best, senza più biascicare, promise: “Ci saranno giornalisti di tutti i media lì prima che io arrivi.” Click. Aveva attaccato. Tornando fuori, il funzionario si sfogò con Tim: “Bene, a quanto pare mi hai giocato facendomi notificare la vostra presenza qui a un antiabortista idrofobo. Che bella mossa. Proprio una gran trovata.” Passarono alcuni minuti, poi una Mazda di colore rosso acceso entrò a gran velocità nel piazzale della Facility. Ne scese un uomo alto con un’ombra di barba sul viso, estrasse la telecamera e l’attrezzatura audio, poi si incamminò con eleganza verso Carpenter. “Mi dicono che dovreste avere un laureato di Stanford qui alla Facility”, esordì in tono neutrale, quasi noncurante. “Potrei intervistarlo?” Il direttore rispose: “Non abbiamo registrato nessun individuo del genere. Se vuole può controllare i nostri archivi.” Ma il reporter aveva già adocchiato i tre bambini stretti intorno a Ed Gantro. Ad alta voce, chiamò: “Signor Gantro?” “Sì, sono io” rispose quello. Cristo, pensò il funzionario. Lo abbiamo chiuso in uno dei nostri veicoli ufficiali e l’abbiamo trasportato qui; sarà su tutti i giornali. Nel frattempo, un furgone blu con il logo di una stazione televisiva locale aveva fatto il suo lento ingresso nel parcheggio. E, al seguito, c’erano altre due macchine. LA CLINICA DEGLI ABORTI FA FUORI UN LAUREATO. I titoli cominciarono a scorrere nella mente di Carpenter. IMPEDITO IL TENTATIVO ILLEGALE DELLA COUNTY FACILITY DI… E così via. Un passaggio al telegiornale delle sei. Gantro, e in un riquadro Ian Best – che probabilmente era un avvocato – circondato da registratori portatili, microfoni e telecamere. Abbiamo fatto una stronzata colossale, si rammaricò. Una stronzata colossale. Giù a Sacramento ci taglieranno i fondi; ci dovremo di nuovo ridurre a dare la caccia a cani e gatti randagi, come prima. Che fregatura.

Quando Ian Best arrivò a bordo della sua Mercedes-Benz a carbone era ancora un po’ sbronzo. Chiese a Ed Gantro: “Ti secca se al ritorno facciamo una deviazione panoramica?” “Per dove?” chiese l’altro. Adesso era stanco e voleva davvero andare via. Il piccolo flusso di addetti dei media l’aveva intervistato e si era estinto. Aveva fatto il suo discorso, ma ora si sentiva svuotato e voleva tornare a casa. Ian Best gli spiegò: “Dalle parti di Vancouver Island, British Columbia.” Con un sorriso, Ed rispose: “Questi ragazzini dovrebbero essere a letto. Mio figlio e gli altri due. Diamine, magari non hanno neanche cenato.” “Ci fermeremo da McDonald’s” gli comunicò Ian. “E poi partiremo per il Canada, dove sono i pesci, e tante montagne con ancora la neve, persino in questo periodo dell’anno.” “Certo”, fece l’altro, ridendo. “Possiamo andare lì.” “Vuoi venire?” chiese Ian guardandolo fisso. “Lo vuoi davvero?” “Devo sistemare un po’ di cose, e poi, sicuro, io e te possiamo prendere il largo insieme.” “Figlio di puttana”, sbuffò Best. “Fai sul serio.” “Sì” rispose Ed. “Sul serio. Naturalmente prima devo avere il benestare di mia moglie. Non si può andare in Canada senza che la coniuge firmi un documento dove dichiara di non aver intenzione di seguire il partner. Diventi quello che si dice un ‘immigrato clandestino’.” “Quindi devo farmi dare un permesso scritto da Cynthia.” “Te lo concederà. Basta che le prometti di fornirle del denaro.” “Credi? Mi lascerà andare?” “Naturale”, rispose Gantro. “Tu pensi davvero che le nostre donne ci permetteranno di partire”, commentò Ian Best mentre insieme all’altro uomo facevano entrare i bambini nella Mercedes. “Scommetto che hai ragione; Cynthia sarebbe davvero contenta di liberarsi di me. Lo sai come mi chiama, anche davanti a Walter? ‘Codardo aggressivo’ e cose del genere. Non ha alcun rispetto, per me.” “Le nostre mogli”, lo rassicurò Ed, “ci lasceranno andare.” Ma lui la sapeva lunga. Si voltò a guardare il direttore della Facility, il signor Sam B. Carpenter, e l’autista del camion, Ferris, che, nelle parole consegnate dal suo principale a stampa e tv, era stato licenziato a partire da subito: si trattava comunque di un impiegato inesperto, di recente acquisizione. “No”, confessò infine. “Non ce lo permetteranno.” Goffamente, Ian Best armeggiò col complesso meccanismo che controllava il curioso motore a carbone della sua automobile. “Ma sì che ci lasceranno andare; credimi, non aspettano altro. Cosa possono fare, dopo quello che hai detto alla tv e con gli appunti che ha preso quel reporter?” “Non mi riferivo alle nostre mogli”, rispose atono Gantro. “Potremmo semplicemente fuggire.” “Siamo in trappola”, lo contraddisse Ed. “E non c’è via d’uscita. Chiedi a Cynthia, se vuoi. Vale comunque la pena di provarci.” “Non vedremo mai Vancouver Island e i traghetti a vapore che escono dalle nebbie del grande oceano, vero?”, chiese Ian Best. “Ma sì, prima o poi.” Ma sapeva di aver detto una bugia, un’enorme bugia, proprio come a volte uno sa, per nessun motivo razionale, di aver pronunciato una verità assoluta. Uscirono dal parcheggio, e furono sulla strada pubblica. “E’ bello”, disse Ian Best, “sentirsi liberi… giusto?” I tre ragazzini annuirono, ma Ed Gantro restò in silenzio. Liberi, pensò. Liberi di tornare a casa. Di farci prendere in una ragnatela più grande, di farci sbattere in un camion più grande di quello usato dalla County Facility. “Questo è un gran giorno”, dichiarò l’altro adulto. “Sì” concordò lui. “Un gran giorno, in cui un’azione nobile ed efficace è stata portata a termine in nome di tutte le creature indifese, di ogni essere del quale è possibile dire: E’ vivo” Guardandolo intensamente nella strana luce dell’abitacolo, Ian Best gli disse: “Non voglio andare a casa; voglio partire per il Canada.” “Dobbiamo tornare” gli ricordò Ed Gantro. “Almeno per un po’, voglio dire. Per sistemare le cose. Questioni legali, bagagli.” Continuando a guidare, Ian disse: “Non andremo mai laggiù, nella British Columbia e a Vancouver Island e a Stanley Park e sulla English Bay e dove coltivano la roba da mangiare e hanno cavalli e traghetti che solcano l’oceano.” “No” rispose Ed. “Non ora, né in seguito?” “Mai.” “Era di questo che avevo paura”, confessò Best, e la voce gli si ruppe e la sua guida si fece insicura. “Lo temevo fin dall’inizio.” Continuarono a viaggiare in silenzio, quindi, senza più nulla da dire uno all’altro. Non c’era più nulla da dire.

1 Commento

  1. Il pensiero di “poter disporre della vita altrui” è inquietante. E’ inquietante sapere che ancora tante persone credano che l’aborto “fino a un certo mese” è legale, dopo non più (ma basta pagare e “vediamo cosa si può fare”).
    Chi è che stabilisce questo limite? Nel momento in cui un cuore batte, c’è vita (visto che il fermarsi del cuore è considerata “morte”).
    Una nuova vita è il Dono più grande e più bello che si possa ricevere. Come si può decidere di buttarlo?
    Come possono essere legali delle cliniche per la fecondazione artificiale? Vado, provo: se l’embrione (= vita al 100%) è sano ok, si impianta e va avanti. Se è difettato si butta e si continua.
    Si parla di vita, non di pane caldo appena sfornato, o di un paio di jeans con una cucitura storta!!!!!
    Mi dispiace, ma non le approvo. E parlo con cognizione di causa, cosciente e coinvolta, perché pagando profumatamente una di queste cliniche ci avrebbe reso genitori. Ma che genitori? A quale prezzo? (e qui parlo di coscienza e non di €€€€).
    E poi ripeto: la vita è un dono; e il dono è gratuito, e non obbligatorio. Non tutti per forza dobbiamo essere genitori, non tutti siamo destinati ad essere genitori naturali.
    L’aborto è interruzione della vita dal 1 secondo di formazione dell’embrione, e quindi è omicidio tanto quanto uccidere una persona di 120 anni.
    Di seguito un articolo bellissimo: l’aborto dal punto di vista del bambino

    https://it.aleteia.org/2015/02/26/un-bambino-abortito-scrive-alla-sua-mamma/

I commenti sono bloccati.