Testimonianza di Carmelo Allegra
Caro don Paolo,
da sempre ho fatto fatica a ripetere le frasi forti, una di queste riguarda il lavoro, “lavorare per la Gloria di Cristo”. Mi è sempre parsa una frase fatta senza senso e senza piedi per terra.
Il tema del lavoro è un aspetto della mia vita in cui il mio “dibattito” con Dio è sempre stato forte: da un canto mi ha dato l’intelligenza di raggiungere traguardi importanti (la laurea, un Master, pubblicazioni scientifiche), dall’altro insoddisfazioni continue (prima un lavoro da poliziotto per aprire e chiudere cancelli, sorveglianze armate, scorte di detenuti, poi sfruttamento intellettuale al Dipartimento, sempre buono quando serviva correre per altri e mai una soddisfazione personale solo perché sono inquadrato come poliziotto e non come ingegnere). Quando tornavo a casa, puoi immaginare la frustrazione alla fatidica domanda “come è andata oggi?” avrei voluto rispondere “un inferno”: dove per inferno intendo una condanna, l’infelicità mia.
In questi anni ho capito che la vera sfida è il tempo! Non è tanto quello che capisci o non capisci, ma il tempo! Non lo puoi fermare in nessun modo: non puoi fermare l’attimo di “felicità” e non puoi accelerate l’attimo di dolore. Il tempo scorre sempre alla stessa velocità: la mia scelta, come uomo, è viverlo o subirlo! Io vivevo le mie soddisfazioni fuori dal lavoro e le mie insoddisfazioni al lavoro, senza voler ammettere a me stesso che non c’è soddisfazione con l’evasione! In buona sostanza desideravo lo stesso dei mie detenuti, evadere!
Questo fino a qualche mese fa, quando mi sono imbattuto in un articolo postato sul vostro sito “Lavorare per salvare il mondo”. A primo acchito mi sono detto la solita solfa! Quando poi ho deciso di leggerlo sul serio, penso di aver colto la portata della sfida che mi era lanciata: anche io sono un Cireneo a cui viene chiesto di occuparmi di qualcosa che non mi soddisfa, quella tal cosa va fatta o perché mi pagano per farla o perché ha un senso farla. Cristo che salva il mondo portando la croce! Si potrebbe tradurre, Cristo che ci rende felici facendo quello che gli viene chiesto in quel dato momento!
Allora cosa mi viene chiesto di fare in questo momento al lavoro? Scrivere capitolati tecnici e seguire le ditte per la fase esecutiva dei contratti. Cosa ci metto io dentro, i miei “talenti”, questo ho da offrire. Ho cominciato a mettere dentro i miei documenti le mie trovate, le mie idee, la mia fantasia. Allora scrivere capitolati tecnici, ovvero documenti descrittivi di beni di cui la pubblica amministrazione si vuole dotare, è diventato divertente per me: ho la possibilità di pensare l’allestimento di un veicolo in funzione dell’uso e dell’utilizzatore finale, posso sbizzarrirmi nell’affrontare quelle problematiche tipiche dei detenuti trasportati, perché io stesso sono stato su quei veicoli fatiscenti; ho la possibilità di scegliere uno specifico materiale per un giubbotto antiproiettile che lo renda più confortevole, perché io stesso l’ho indossato e conosco il fastidio e la rigidità di quei materiali; e potrei continuare.
Lo stesso vale per i rapporti che si instaurano con le ditte, cercando sempre di non perdere il lato umano del rapporto con la pubblica amministrazione: al punto che tra una pratica e l’altra si parla e ci si confronta su temi come figli e mogli senza che mai emerga la lamentela, un po’ come nel nostro “sindacato/fraternità” dei papà; questo perché io ci sto passando. Ecco perché sono voluto venire in vacanzina con le elementari, volevo offrire il mio tempo per mettere a frutto i miei talenti e “vedere l’effetto che fa”.
Ora non so se gli altri sono più felici, ma io sono soddisfatto, porto anche io un pezzo di quella croce nel luogo dove lavoro, e posso tornare a casa per dire che anche io collaboro per “salvare il mondo” e non mi sembra di esagerare.
Ti allego una foto dell’ultima escursione fatta con Matteo, che mi sembra sintetizzi quanto ti ho scritto: la montagna (come la croce) è grande e io non posso conoscerla tutta (non posso portarla tutta), ma c’è un sentiero (una strada), che posso fare con i talenti che mi sono donati (uno zaino, le scarpe, il caschetto, etc.). Certo tutti questi talenti non bastano, senza quello che non si vede: la decisione giornaliera di voler mettere un passo dietro l’altro (tanti si) per l’opera di un Altro, che questa vita diventi un paradiso.