Qualche cosa in più…

Takashi Nagai – Il Rosario di Nagasaki – La carne e il sangue

Nei miei anni di liceo ero stato attirato dal materialismo, tanto che quando cominciai a studiare medicina mi lasciai facilmente convincere che l’uomo non è altro che materia: durante le dissezioni cadaveriche non ci venivano mostrate solamente gli elementi materiali che, si diceva, costituivano l’essere umano? La meravigliosa struttura del corpo preso come un tutt’uno, il sistema complicato della perfezione dei dettagli, suscitavano la nostra ammirazione, ma ciò che io toccavo davvero non era che materia, da qualsiasi punto di vista la si guardasse. Passando alla fisiologia, studiai le funzioni complesse e coordinate dell’organismo, spiegate come fenomeni fisico-chimici di eccitazione e di reazione.

Le lezioni ricevute non lasciavano apparentemente alcun posto alla pretesa esistenza dell’anima e dello spirito. Dopo aver dissezionato i cadaveri noi cominciammo, e anche molto freddamente, ad analizzare i nostri corpi vivi. Il corpo e un composto organico di elementi come l’ossigeno e l’azoto e in se stessi non hanno niente di rispettabile. La vita quindi non era altro che l’incontro e la ripartizione di questi elementi secondo fenomeni fisici o chimici. Cosi mi sembrava che non ci fosse niente da venerare nell’uomo: alla morte si sarebbe decomposto, ritornando agli elementi. La vita durava solo fino alla tomba: niente di più saggio che passarla nella gioia e nella felicita; beviamo, cantiamo, danziamo, giochiamo, prima che il sangue della giovinezza si raffreddi. Non avendo alcun rispetto per la carne, non mi facevo nessuno scrupolo a profanarla. Restava sempre pero, in fondo al mio cuore, una vaga inquietudine che rifiutava di calmarsi, ma parlare della voce della coscienza sarebbe stato decisamente un ritornare a un mito già decaduto! La moda si ispirava alla scienza onnipotente e al positivismo, si gettavano nell’oblio del passato tutti i fantasmi della coscienza. Se, come i vecchi pretendevano, esistevano delle anime e degli spiriti, ce li mostrassero, ce li facessero vedere con i nostri occhi! Ma no: questi spauracchi li avevano inventati loro per gelosia verso i giovani, per distruggere i loro piaceri.

Durante le vacanze di primavera, tra il secondo e terzo anno di università, mia madre fu colta da un colpo apoplettico. Nell’istante in cui io mi precipitai al suo capezzale c’era ancora in lei un soffio di vita. Spirò fissandomi. Quegli ultimi sguardi di mia madre cambiarono completamente la mia visione materialista della vita: gli occhi di quella mamma che mi aveva generato, educato e amato fino alla fine, quegli occhi mi dicevano infallibilmente che la sua anima sarebbe rimasta insieme al suo caro Takashi anche dopo la sua morte. In quegli occhi vedevo me stesso che negavo dell’esistenza dell’anima e, istintivamente, sentivo che l’anima di mia madre esisteva realmente: si separava dal suo corpo, ma non sarebbe mai perita.

Terminati i funerali, la nostra casa, privata adesso della gioiosa voce di mia madre, ricadde nella calma. Ma io ero profondamente cambiato: malgrado tutti i miei sforzi contrari, non riuscivo più a pensare che tutto quello che era stato “mia madre” si sarebbe dissolto interamente nel nulla. I miei occhi, per la prima volta, si aprivano al mondo spirituale.

Il terzo anno di università iniziò alla pratica clinica nei suoi differenti rami. Cominciammo a studiare i corpi vivi. Differivano molto dai cadaveri e dalle cavie, e si vedeva che non erano delle scimmie superiori. Creatura a parte, l’uomo vivente e certamente fatto di carne e sangue, ma con qualche altra cosa in più.

Fu nel momento in cui queste constatazioni prendevano forma che mi capito di leggere i Pensieri di Pascal. Introdurre direttamente un prigioniero del materialismo nei pensieri di un sapiente dotato di una fede profonda era come immergere un profano nello studio dell’astronomia senza nemmeno l’aiuto di un telescopio. I miei piedi aderivano al suolo, il mio sguardo si sforzava invano di elevarsi al cielo e il mio cuore, pieno di un’impaziente emozione, si agitava nel vuoto.

Ciò che Pascal diceva mi sembrava vero, senza alcun dubbio, pero faticavo ad accettare tranquillamente queste verità come autentiche. Le anime, l’eternità, Dio. Il nostro grande predecessore, il fisico Pascal aveva dunque ammesso seriamente queste case! Questa incomparabile saggio ci credeva veramente! Cosa era mai questa fede cattolica che il sapiente Pascal poté accettare senza contraddire la sua scienza? Cosi la mia curiosità si orientò naturalmente verso il cattolicesimo.

Proprio accanto all’Università si elevavano le torri della chiesa di Urakami, la più bella cattedrale dell’Estremo Oriente, e alla sua ombra vivevano più di diecimila cattolici. Ogni giorno, fino a quel momento, dalle finestre dell’auditorium avevo contemplato con ammirazione il grande edificio rosso e ascoltato con un misterioso stupore l’Angelus di mezzogiorno. Talvolta pero, vedendo le processioni in veli bianchi uscire dalla chiesa, prendendo il sentiero che costeggia l’Università per raggiungere il cimitero, avevo disprezzato gli schiavi pervertiti di un culto occidentale e questi sentimenti mi avevano impedito di interessarmi maggiormente a essi. Ora che la mia filosofia era stata fatta a pezzi da Pascal, cominciavo a guardare la cattedrale con un altro occhio.

Finalmente decisi di stabilirmi a Urakami. La fede degli abitanti era semplice ma tenace, e non tentarono mai di convertirmi; mi accorsi solamente che i miei ospiti o i miei vicini si riunivano spesso a pregare per alcune intenzioni. Come avrei potuto indovinare che si riunivano per pregare per noi, loro fratelli pagani? Non lo seppi che dopa la mia conversione.

Non avevo abbandonato il mio lavoro. Intraprendendo per mio canto alcune esperienze precise appresi fino a qual punto i risultati potevano cambiare seguendo diversi metodi di esperimento, percepii che esistevano dei limiti alle conclusioni e alle affermazioni di questo e quel metodo. Constatai ugualmente che il campo che può essere esplorato dai metodi delle scienze naturali e sottomesso alle loro leggi ha anche esso le sue frontiere e che non si risolveranno mai tutti i problemi dell’universo: l’esistenza dell’anima, per esempio, non si rileva con procedimenti scientifici. Tuttavia questa esistenza può essere provata con altri metodi: il mio errore era di esigere ostinatamente delle prove scientifiche. Negavo l’esistenza dell’anima, perché ero prigioniero di questo falso assioma: la scienza è il solo mezzo per scoprire la verità. Proseguendo, fui realmente sorpreso di trovare il campo della scienza così sorprendentemente limitato, imperfetto e pieno di contraddizioni. Fui ancora più impressionato constatando che certe leggi generalmente ammesse non erano in realtà che delle semplici ipotesi. Giunsi anche a conoscere meglio la povertà della scienza umana, l’imperfezione dei nostri metodi di ricerca e a pensare che avremmo dovuto essere più umili. Facendo finalmente l’esperienza personale del mondo soprannaturale mi venne da arrossire del periodo in cui negavo l’esistenza dell’anima. Fu allora, per la prima volta, che cominciai a comprendere i Pensieri di Pascal.

Subito dopo il mio ritorno dal servizio militare in Manciuria ricevetti il battesimo. Illuminato dallo Spirito Santo cominciai a capire l’essenza dell’universo: l’uomo vivente è combinazione di anima e di carne che la morte dissocia provvisoriamente; l’uomo è creatura fatta per la gloria di Dio e per la felicita del cielo; l’uomo e immagine di Dio, che non si può profanare. Fatti ovvi? Forse, ma io imparai a capirli dopo aver lasciato l’università. Arrivai a conoscere l’anima e la sua dignità e da allora compresi quale rispetto era dovuto alla carne. E specialmente andando a comunicarmi, ripetendo questa esperienza di unione con Gesù Cristo, compresi che non potevo trattare il mio corpo in un modo qualsiasi. L’ostia santa, Corpo di Cristo vivente, era data ai fedeli durante la Messa. L’anima di chi si comunica diviene una con Cristo, mentre il suo corpo riceve il pane.

Gesù ha anche detto: “Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”. Compresi anche che dovevo rispettare il mio corpo perché sarebbe risuscitato l’ultimo giorno, unito di nuovo all’anima. Se alla morte il corpo cessava definitivamente di esistere, si poteva senza preoccupazione alcuna gettarlo nella fossa comune come una vecchia scarpa di paglia. Ma questa carne deve ritornare in vita come corpo glorioso davanti a Dio, perciò non si può trattarla senza alcun rispetto. Da allora io rispetto questo corpo di carne creato da Dio. E mi domando sempre se questa mia leucemia provenga da una volontà affettuosa del Padre o se abbia all’origine una colpevole negligenza da parte mia: non dovrò renderne conto il giorno del giudizio? Pertanto veglierò fino all’ultimo istante della mia vita usando tutti quei rimedi che la coscienza mi suggerirà. Inoltre voglio servirmi del mio corpo per delle preziose esperienze nella ricerca del trattamento specifico della leucemia. Non tenterò esperimenti pericolosi, come un uomo che sul punto di annegare si attaccherebbe a un filo di paglia, né userò rimedi da ciarlatano. E con prudenza e rispetto che curerò questo corpo malato.

Non si deve contribuire alla felicita della generazione di questa nuova era, l’era atomica, e finalmente alla gloria di Dio?

1 Commento

  1. Che pagine meravigliose! Che bello incontrare testimonianze di uomini di scienza, come questo medico di Nagasaki, di cui ho letto il romanzo autobiografico “Ciò che non muore mai”. Il fatto poi che sia un uomo di un paese orientale, quindi di una tradizione lontana, mi rende ancora più sorprendente questa sua apertura verso il cattolicesimo e mi riporta alla mente quanto lessi, molti anni fa, nel libro intervista dell’ allora Papa Giovanni Paolo II con Vittorio Messori: “varcare la soglia della speranza”. A un certo punto il Papa osserva (vado a memoria, non ricordo le parole testuali) che Dio non ha una strada per comunicarsi a noi, ma ne ha infinite, “una per ogni uomo”.
    Grazie per aver divulgato qui questo testo.

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