don Francesco Ferrari – Ritiro di Quaresima – 13 Marzo 2022
Quello che vorrei fare è condividere quello che desidero vivere io in Quaresima, ascoltando quello che la Chiesa ci chiede di guardare.
Ricordati che sei polvere
La quaresima inizia con l’imposizione delle ceneri secondo due possibili formule.
La prima dice “Ricordati uomo che sei polvere e polvere ritornerai”. Cosa ci vuol ricordare la Chiesa con questo rito? Vuole forse dirci che non valiamo nulla, che il nostro valore è zero? Sicuramente noi siamo creati dal nulla, ma questo non vuol dire che non valiamo nulla.
Cosa ci vuol dire la Chiesa quando ci dice “Ricordati che sei polvere”? Lo possiamo capire, ad esempio, pensando a quello che sta accadendo in Ucraina, perché guardando lì è evidente che l’uomo può ridurre se stesso in polvere, può ridurre se stesso a nulla.
Ciò che la Chiesa vuole ricordare con l’inizio del mercoledì delle ceneri è che noi siamo nulla senza Dio, senza la comunione con Dio, se ci sleghiamo da Dio, siamo solo polvere. E’ come se in quel rito ci fosse detto: “Ricordati che senza di me tu sei polvere, tu sei nulla”.
Ci chiede quindi di riconoscere quando noi ci riduciamo ad essere nulla, quando noi facciamo di noi stessi polvere: questo si chiama peccato. Il peccato è quando ci sleghiamo da Dio e rendiamo la nostra vita polvere.
Se ci pensiamo, se io penso ai miei peccati, quando uno cede all’ira, all’istintività, all’avarizia, alla violenza cosa fa se non seguire solo se stesso, quello che sente, quello che vuole, quello che capisce, senza chiedersi “Tu signore, dove sei qui? Cosa mi chiedi?” Il peccato è sempre autonomia: io da solo.
Come è iniziato il peccato?
Allora in questa prima parte, forse un po’ più dolorosa, vi chiedo di seguirmi in questa domanda: come è iniziato questo peccato? Perché l’uomo, perché io mi riduco a polvere, mi slego da Dio?
Nel libro della Genesi è raccontato, attraverso il racconto del serpente, come è nato il peccato. Dio dopo aver creato tutto, ha messo Adamo ed Eva in un giardino, in un posto bellissimo e gli ha detto che avrebbero potuto mangiare di tutti gli alberi del giardino tranne di uno, quello della conoscenza del bene e del male. Di quest’ultimo Dio ha detto: “Non ne devi mangiare perché se ne mangi morirai”.
Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?”». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
Poi udirono il Signore Dio che passeggiava nel giardino, alla brezza del giorno e l’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». (Gn 3, 1-11)
Come inizia questo slegarsi da Dio? Questo racconto ci dice come inizia ogni peccato nella nostra vita e nella storia, come inizia questo slegarsi.
Perché quell’albero, che per Adamo ed Eva all’inizio non era un problema, ad un certo punto lo diventa?
E’ interessante perché il ruolo del serpente è proprio il ruolo del tentatore e c’è una cosa che a me sempre colpisce: come inizia la tentazione? Il serpente, quasi impercettibilmente, mette un dubbio nella testa di Eva che inizia a deformare in lei l’immagine di Dio. “E’ vero che Dio vi ha detto che non dovete mangiare?” Già nella domanda presenta un Dio che proibisce, un Dio cattivo, e anche se Eva risponde dicendo: “No, non è vero” intanto il serpente gliel’ha messo in testa questo dubbio, quest’idea. E dopo avergliela messa in testa può andare avanti, può far crescere questo dubbio. “Non è vero quello che vi ha detto Dio. Dio è falso, Dio mente. Non morireste affatto, anzi diventereste come Dio.” Il ruolo del tentatore è proprio quello di mettere un dubbio e qual è il dubbio che mette nella testa di Eva? “Dio non è un Padre”.
Il Padre è Colui che li aveva creati, che aveva donato loro tutto, che passeggiava con loro nel giardino, che aveva messo un limite, come fa ogni padre con suo figlio per ricordare al figlio che “tu sei figlio ed io sono padre”, per ricordare ad Eva che “tu sei creatura ed io sono il Creatore”.
Il dubbio insinuato dal serpente dice che “Dio non è un Padre buono, Dio è un tiranno, proibisce, è falso, vi ha mentito, in realtà non vuole che tu cresca, ha intenzione nascoste, infatti devi nasconderti, scappa”.
Cambiando l’immagine di Dio, mettendo questo dubbio nella sua testa, anche Eva inizia a non fidarsi più ed inizia ad avere desideri che non aveva: mangiare di quell’albero lì. “Vide che era buono, desiderabile, per acquistare saggezza”, come se le mancasse qualcosa. Inizia a desiderare qualcosa che non è più legato a Dio, ecco come inizia il peccato.
Perché mi colpisce quest’aspetto della Genesi? Perché è nell’immaginazione, è nella testa che inizia il Male, sempre. Lo dirà poi Gesù: “E’ da dentro che viene il male dell’uomo”, non da fuori. Non è qualcosa che è successo fuori, è dentro, è nell’immagine che ha Eva. Più il serpente deforma l’immagine di Dio, e da Padre buono lo fa diventare un tiranno e più in Eva cresce il desiderio di slegarsi, di fare qualcosa che è contro questo Dio tiranno. E’ importante questo perché ci mostra che il peccato in noi non inizia mai da qualcosa che è fuori, ma da qualcosa che è dentro. Ci dice che non è nell’esperienza che nasce il dubbio su Dio, ma nell’immaginazione, nella testa.
Racconto un esempio che, più di ogni altro, spiega la gravità di come inizia questo peccato. Tempo fa è venuta una donna che conosco, una ragazza sposata da pochi anni, una famiglia meravigliosa, con due figli. E mi racconta questa vicenda: loro sono sposati, felicissimi, stanno bene ma ad un certo punto una sua amica le dice che forse il marito l’ha tradita. Lei ovviamente si spaventa, però poi, proprio per la fiducia, il rapporto che aveva con il marito, torna a casa e gliene parla. E guardandolo negli occhi capisce che non era vero, lui anche le dice “non è vero”, ed è così, non era vero e lei si tranquillizza. Ma poi, perché è venuta da me e in lacrime mi dice: “C’è un problema: adesso tutte le volte che lo guardo penso: “E se fosse vero?”.
Il peccato inizia come dubbio che ti fa perdere la fiducia. Per questo Papa Francesco è così duro quando dice che la mormorazione va combattuta, perché seminare il dubbio mette dentro un tarlo: “Ma mi posso fidare, ma è buono e vero come sembra?”.
Io penso che dietro ogni peccato ci sia questo dubbio che è appunto opera di un altro, non è Eva che se l’è messa in testa il dubbio. Ogni peccato inizia quando questo dubbio viene accarezzato, iniziamo a pensarci, quando si lascia spazio a questo pensiero che, nella sua origine è un dubbio su Dio: “Dio è buono o un tiranno?”. Certe volte la realtà può essere dura, per cui è difficile resistere sulla fiducia di un Dio buono, ma è proprio quando inizia il dubbio che inizia il peccato.
Le conseguenze del dubbio su Dio
1. La coscienza della nudità
E quali sono le conseguenze di questo dubbio? Torniamo ad Eva. Quando si lascia spazio a quest’idea di un tiranno, quali sono le conseguenze?
La prima che ci racconta il libro della Genesi è che loro si accorgono di essere nudi e si nascondono. Cos’è la nudità? E’ essere solo quello che si è, senz’altro, senza poter apparire più grande, senza travestirsi, senza vestirsi, senza metter su una maschera. Nudità è essere solo quello che si è, senza poter apparire più grande, la crudezza di quello che siamo, siamo così.
Questo senso della nudità diventa un problema per Adamo ed Eva quando si slegano da Dio. Anche prima erano nudi, ma prima non era un problema perché nella comunione con Dio non era un problema quello che erano, non dovevano difendere un’immagine di sé, non dovevano apparire più grandi, sapevano di essere amati così come erano. Nel dubbio che Dio sia un tiranno, invece, si accorgono che loro sono poca cosa, devono difendersi, devono apparire più grandi. Nel momento in cui si distorce l’immagine di Dio, iniziano a guardare anche se stessi e a trovarsi i miseri, deboli, troppo poco.
2. La paura
Senza Dio l’uomo è nulla –ricordati che sei polvere– ed uno non può accorgersi di essere polvere, senza avere paura. Anche prima erano polvere in qualche modo, erano miseri, ma erano una polvere amata, erano una miseria a cui Dio aveva donato tutto. Dopo sono miseri e in più sono soli. Si sono distaccati da Colui che li ha amati.
Io credo che questa sia la percezione di noi stessi che, sempre più in questo tempo, si sente con forza, come se costantemente ci fosse una voce che dice: “Tu non sei abbastanza, sei troppo misero. Devi dimostrarmi quanto vali, devi dimostrarmi che sei degno della mia attenzione, che sei degno di essere amato”. Penso a tutta l’apparenza che si insegue sui social o la mentalità da performance in cui siamo immersi nello sport, nel lavoro anche tra amici a volte. Se Dio è un tiranno io devo farmi grande, perché son troppo poco. Se Dio è un tiranno io alla fine mi disprezzo.
3. L’altro è nemico
C’è purtroppo un’altra conseguenza in questo dubbio su Dio, in questa dinamica di sospetto, di dubbio. Se Dio in realtà non mi ama, questo dubbio si ripercuote per forza nel rapporto con gli altri. Non si può avere un dubbio su Dio, senza avere un dubbio anche sulla sua creatura.
Se Dio è un tiranno le sue creature sono nemiche. Se Dio è un padre buono, come ogni padre buono, quello che fa è un regalo, è un dono, le parole che dice, i gesti che fa sono qualcosa che è per me. Ma se Dio è un tiranno, tutto quello che fa: la realtà, le persone, sono una minaccia, sono un pericolo. L’altro diventa per forza un nemico prima ancora che dica o faccia qualcosa.
C’è un monologo di Giorgio Gaber che si chiama “La paura” che è geniale. Gaber si immagina un uomo che a Milano, di notte, deve uscire di casa. Esce di casa, si incammina per la via e ad un certo punto, in lontananza, vede un’altra persona che gli viene incontro sulla stessa via e il monologo, anche in modo simpatico, esprime i pensieri di quest’uomo e dice: “Ma cosa fa quello là? Cosa fa di notte? Perché gira di notte? Senz’altro è un malintenzionato. Con tutte le strade, perché doveva scegliere proprio questa? Guarda c’è una via, poteva girare ma non l’ha fatto. Quindi viene contro di me. Cosa ha in mano? Avrà un’arma?”. Poi si avvicinano piano, piano, e ha in mano un mazzo di fiori. “No, sarà solo per nascondere…, dietro avrà un coltello”, pensa. Man mano che si avvicinano cresce la tensione, cresce la paura, fino al punto in cui queste due persone si passano accanto e il monologo finisce così: “Ah, era solo un uomo. Un uomo che, senza il minimo sospetto mi ha pure sorriso, come fossimo due persone. E’ strano, ho avuto paura di un’ombra nella notte. Ho pensato di tutto, l’unica cosa che non ho pensato è che poteva essere semplicemente una persona.”
Nel dubbio su Dio, nel dubbio che Dio sia un tiranno le sue creature sono dei nemici, e noi viviamo nel sospetto, non riusciamo a vedere l’ovvio: “lui è una persona.”
Provate a pensare -io in sincerità lo dico- quante volte abbiamo percepito gli altri come una minaccia, come un pericolo. Ognuno di noi si è ritrovato almeno una volta a dire “sono tutti contro di me, il mondo è ingiusto, sono vittima di un mondo ingiusto”. Lo sappiamo benissimo che è nell’immaginazione che c’è questo, perché la vita è dura a volte, ma è dura per tutti. Perché dovrebbe essere contro di te il mondo?
Nell’immaginazione cresce il vittimismo. Il vittimismo è sempre, sempre -nel profondo- un problema con chi mi ha dato la vita. Chi mi ha dato la vita mi ha condannato o mi ha regalato qualcosa? Chi mi ha dato la vita mi ha condannato ad una tragedia o mi ha fatto il dono più grande e bello che potessi ricevere?
Questo senso di essere nulla, questa paura dell’altro, l’altro che è la realtà, le cose che possono succedere, l’altro che sono le persone, diventa nell’uomo una chiusura su se stessi.
4. L’arroccamento in sé stessi
Avviene nell’uomo quello che viene negli scacchi, che ci si arrocca per difendersi, oppure quello che si faceva nel Medioevo quando sotto le minacce ci si ritirava sul monte, si costruivano delle mura e ci si arroccava. Ci si chiude in sé per difendersi. Nicolò Fabi usa un’espressione che mi piace molto in una sua canzone. Dice che la malattia del nostro tempo è “l’egomania”. Vedere solo sé, la mania di se stessi “io, io, io”.
Solo quello che sento, quello vedo, quello che temo. Tutto il resto gira intorno a noi, senza il “Tu” di Dio, ci troviamo a dire sempre e solo “io”. Questa è la tragedia del peccato che nasce dal dubbio sulla bontà del Dio che è Padre. E’ questo che ci rende polvere.
Convertirsi cioè cambiare idea
Nel cammino della quaresima, nell’inizio del Mercoledì delle ceneri, però, non c’è solo la frase -“ricordati che sei polvere e polvere ritornerai”- ma ce n’è anche un’altra che si può dire e si devono tenere presenti tutte e due: “Convertitevi e credete nel Vangelo”. Ci invita così, oltre a riconoscere il nostro peccato, il nostro male, ad iniziare un cammino di conversione. La prima lettura della liturgia del mercoledì delle ceneri dice: “Così dice il Signore: ritornate a me con tutto il cuore”.
La conversione a cui ci invita la Quaresima è riscoprire che Dio è Padre, ritornare a Dio, ritornare a scoprirlo come un Padre. Io credo che la storia della salvezza, così come la storia nostra, di ogni uomo, è la storia di Dio che cerca di ridare all’uomo l’immagine vera di sé. Non è vero che Dio è un tiranno: è un Padre. Tutta l’avventura dell’esodo, la liberazione dagli Egiziani, tutto il dono dei profeti, il dono di una terra, il dono di un tempio, il dono dei re. Tutta la storia della salvezza, così come la nostra storia, è innanzitutto la storia di Dio che vuole ridarci l’immagine vera di sé: Io sono Padre.
Infatti la parola “convertitevi” in greco significa “cambiate idea”, “cambiate l’idea che avete dentro, non è vero che sono un tiranno”. Noi potremmo tradurre quel “convertitevi e credete nel Vangelo” con un “cambiate l’idea che avete su di me e credete nel Vangelo”, cioè a quello che adesso vi annuncio, a quello che adesso vi mostro, che è Gesù Cristo. Perché guardando a Cristo noi possiamo cambiare idea? Perché in Cristo ci viene rivelata la cosa più sconvolgente della bontà di Dio che si chiama misericordia. In Cristo c’è il trionfo della misericordia.
C’è un brano del Vangelo di Giovanni che ci può aiutare:
C’era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: “Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui”.
Gli rispose Gesù: “In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio”. Gli disse Nicodèmo: “Come può un uomo nascere quando è vecchio? – come si fa a cambiare? E’ tutta la vita che penso questa cosa – Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?”. Gli rispose Gesù: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Non ti meravigliare se t’ho detto: dovete rinascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito”. Replicò Nicodemo “come può accadere questo?” “Come? Tu sei maestro e non sai queste cose” dice Gesù. […] “Se vi ho parlato delle cose della terra e non credete, come crederete se vi parlo delle cose del cielo? Eppure nessuno è mai salito al cielo fuorché il Figlio dell’Uomo che è disceso dal cielo. E come Mosè ha innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare suo figlio, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna.” (Gv 3, 1-15)
La domanda di Nicodemo è la nostra: “Come si fa a rinascere, come si fa a cambiare questo sguardo su Dio, a togliersi il dubbio, a cambiare idea, a convertirsi. Come si fa a tornare al Padre?”.
La prima cosa che in questo brano emerge è che innanzitutto bisogna rinascere dall’alto, dallo Spirito, cioè che è un dono. Questo ci deve mettere nella giusta posizione quando parliamo di conversione. Cambiare è un dono. E tutto l’impegno e la volontà, la forza che ci possiamo mettere e dobbiamo metterci, sono la risposta ad un dono che riceviamo. La conversione non è mai un programma di vita, in cui uno arriva a dimostrare a se stesso che è bravo. La conversione è innanzitutto un dono che riceviamo e che ci mette in cammino. Forse l’impegno e il lavoro della conversione sono proprio quello di accogliere il dono che abbiamo ricevuto e qual è questo dono? Qual è il dono che ci permette di cambiare?
Dicevamo prima che la storia della salvezza è la storia di Dio che prova a ridare questa immagine vera di sé. Ebbene, c’è un punto a cui tutta la storia tende: “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’Uomo, Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio affinché l’uomo abbia la vita eterna”.
Contemplare Cristo in croce
La Quaresima ci chiede di contemplare la passione di Gesù, la croce. Quello è il momento decisivo della storia. E’ il momento della vittoria, il momento in cui Cristo ha vinto l’arroccamento, è riuscito a spaccare le mura, ad entrare. E’ il momento in cui Cristo ha combattuto le nostre idee, mettendone delle altre: ha vinto la nostra paura con il suo amore, i nostri dubbi con una certezza; ha vinto la nostra egomania con la sua carità.
E’ la croce che ci fa cambiare idea, perché sulla croce noi non possiamo pensare che Dio è un tiranno, perché un Dio che dà suo Figlio, ci lascia solo senza parole e nella croce vediamo che Dio è colui che ha dato suo figlio per me.
Dobbiamo guardare la croce, esporci ad essa, seguirla, infatti in quaresima siamo invitati a fare la via crucis, ad andargli dietro. Più ci immergiamo in questo mistero di carità – che è il mistero di Cristo – e più è come se gli occhi iniziassero a vedere veramente oltre il dubbio, a vedere veramente che il volto di Dio è il volto della misericordia.
Davanti alla croce possiamo smettere di dire “io, io, io” ed iniziare a dire: “Tu, ma chi sei tu? Ma Tu hai dato la vita? Ma tu sei Dio?” Ed è proprio iniziando a dire “Tu”, che possiamo allora a ricominciare a dire “io” in modo vero. Dovremmo fermarci davanti alla croce e chiederci “Ma io cosa sono ai tuoi occhi? Ma io cosa sono per te? Per te che sei in croce”.
Mi permetto un aneddoto personale. Per diversi anni mi sono trascinato il senso di colpa per dei peccati fatti in gioventù, quando non ero così equilibrato e mi pesavano e li ho confessati mille volte, finché un giorno sono stato da un prete pazzo: aveva la barba lunghissima, era scalzo, viveva in un santuario a Reggio Emilia a cui ero legato. Era un prete buonissimo e ad un certo punto gli ho ridetto quello che mi tormentava e lui mi ha guardato -me lo ricorderò sempre- e mi ha detto “Oh, ma tutte queste cose sono morte quel Venerdì” indicando la croce “E’ finita, è finita quel venerdì, quel venerdì pomeriggio è morto tutto”.
Ecco per me quel momento è stata come la prima volta in cui ho detto: “Tu signore, Tu più grande del mio male, Tu mi hai perdonato”. E allora ho potuto ridire “io” con verità, infatti era “io ti ringrazio”.
Nella croce, guardando la croce, scopriamo che siamo amati oltre misura, che la misericordia è un amore alla nostra vita che spacca qualsiasi dubbio.
I “difetti” di Gesù
Il cardinale Van Thuan -un cardinale vietnamica, morto qualche anno fa che ha vissuto molti anni di prigionia durante la guerra del Vietnam- diceva che lui amava i “difetti” di Gesù. E quando parlava dei difetti di Gesù, cosa intendeva?
Lui diceva che Gesù non sapeva la matematica. Infatti diceva Gesù: “Chi di voi che ha cento pecore e ne perde una, non lascia le 99 nel deserto e va dietro a quella perduta finché non la ritrova?” “Ritrovatala se la mette in spalla tutto contento, va a casa e chiama gli amici e i vicini egli dice “rallegratevi con me perché ho ritrovato la mia pecora e che era perduta” Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.” (Lc 15, 1-7)
Chi lascerebbe le novantanove per una? Nessuno, io no. Questa è la misericordia, è un amore preferenziale, unico. E’ essere guardati in modo unico, Dio non ha dato la vita per l’umanità, ma ha dato la vita per me e per te in modo unico, ha lasciato tutto di se stesso per me, per te.
L’altro “difetto” che Van Thuan diceva di amare era che Gesù non conosce né la logica né l’economia. “Quale donna se possiede dieci dracme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dracma che avevo perduta. Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte.” (Lc 15,8-10)
Non conosce nè la logica, nè l’economia, perchè la dracma è una moneta da poco, un euro circa, e se fa una festa per festeggiare che hai trovato un euro spendi molto di più di quello che hai trovato. Non c’è logica. E’ un amore che è folle, irragionevole, che non conosce calcolo, nè misura, che si dona ed è felice nel donarsi.
C’è un altro “difetto” che Van Thuan amava di Cristo -che è quello che a me piace di più-. Lui diceva che Cristo non ha memoria. “Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!”. Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Gli rispose Cristo: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”. (Lc 23, 39-43)
“Tutto è finito quel venerdì” mi ha detto quel prete. Cristo non ha memoria, davanti alla richiesta di perdono sembra non ricordare nulla, sembra travolto da un’amnesia. Lo dico in modo paradossale, ma il suo amore è come se superasse qualsiasi cosa sia successa, tutto il male è spazzato via solo se ci volgiamo a lui.
Ed è interessante questo: “Ricordati che sei polvere” ci dice la Chiesa e se noi lo ricordiamo, riconosciamo di essere peccatori, allora dal cuore nasce la domanda “Ricordati di me”. La parola “ricordarti” è meravigliosa, perché ha dentro la parola – “cuore” – ricordati vuol dire “tieni un posto nel tuo cuore”. Quando noi abbiamo un buon ricordo, è lo spazio per qualcuno, per qualcosa. Ricordati di me vuol dire “tieni dentro di te uno spazio per me”.
Essere ricordati da Dio è il paradiso. Infatti dice al buon ladrone: “Oggi sarai con me nel paradiso” che sicuramente si riferisce all’oggi, cioè alla morte che stava per giungere, ma era oggi nel senso di adesso. Noi possiamo immaginare questo buon ladrone che si sente dire da Cristo “Oggi sarai con me, ti ricordo”. Pensate che seme di gioia, pur dentro tutto il dolore e il male, che seme di gioia dev’essere iniziato in lui, che seme di speranza, che sentimento di essere amato deve aver vissuto.
E’ la scoperta dell’amore di Cristo che ci converte; sono questi difetti di Cristo che vincono i nostri dubbi, le nostre idee. Questo dono immenso che è la croce di Cristo ci raggiunge concretamente nella Chiesa, nella compagnia cristiana, in una storia di amicizia, dentro i sacramenti, dentro la confessione, l’eucarestia. Cosa facciamo nell’adorazione se non contemplare il modo concreto che cui Dio ha scelto di raggiungermi ogni giorno con la croce, che è l’Eucarestia.
Tempo fa una donna che era stata abbandonata dal marito, era giovane, aveva 30 anni ed era sola, senza figli, mi ha fatto questa domanda, pensando che io sono un prete e quindi non ho sposato nessuno, da un certo punto di vista – spero si capisca – non ho un amore. E lei mi ha chiesto: “Ma tu come fai ad esser certo dell’amore di Dio” e si capisce perché lo chiedeva: io che non ho più adesso uno che mi ama, come faccio ad esser certa che Dio mi ama? Mi ha fatto riflettere questa domanda, ma è stato anche semplice rispondere. Come faccio essere certo, con tutti i momenti di fatica e di dubbio che ci possono essere? Io risponderei così: per mio papà e mia mamma, per i miei amici alle superiori con cui mi sono riavvicinato alla fede, per quel prete che da piccolo mi ha confessato, per quello che mi ha confessato quella volta, per tutte le volte che ho ricevuto la Comunione, per i sacramenti che ho ricevuto.
La croce ci raggiunge attraverso una storia, come c’è stata una storia di salvezza attraverso cui Dio ha ridato l’immagine vera di sé, c’è una nostra storia che è fatta di gesti di Dio attraverso cui è come se vuole ridare vera immagine di sé che è quella di essere un Padre buono. Ognuno deve essere consapevole della sua storia, e più è consapevole più è certo di essere amato.
C’è una persona che mi ha insegnato questo in maniera potente, è un santo prete che si chiama don Ivo, è un prete di Carpi, morto a 94 anni mentre andava a visitare una persona anziana, che ne aveva probabilmente dieci meno di lui e la sua storia per me è l’immagine di come la scoperta dell’amore del Padre fa fiorire la vita, diventa una svolta nella vita.
Lui era un giovane prete quando è scoppiata la guerra e si è messo ad aiutare i partigiani della nostra zona. Lui dava una mano a tutti, ma faceva anche la staffetta – portava i messaggi per i partigiani – e ad un certo punto i nazisti lo prendono, lui e altri due preti. Lui fa in tempo a scrivere un biglietto e a darlo a delle suore sue amiche. Nel biglietto c’era scritto: “Ci hanno preso, siamo tre preti, pregate per noi”.
Li portano nella “casa degli orrori” dove per sei mesi lo torturano perché vogliono che lui denunci il vescovo e lui non lo fa. Era un uomo gigante. Dopo sei mesi, quando è finita la guerra sotto questa casa c’era tutta la gente che voleva uccidere quei nazisti e lui va da loro e gli dice: “Io sono un prete, vi aiuto io” e li aiuta a scappare.
Dopo quest’episodio, lui e gli altri due preti vanno dalle suore a cui avevano scritto per ringraziare, ma una volta arrivati lì la madre superiore gli dice che, dopo aver ricevuto il suo biglietto, lo hanno letto insieme a tutte le altre sorelle e dopo averlo fatto tre suore sono andate da lei e le hanno chiesto di poter offrire la loro vita per loro. Sono morte tutte e tre. Per don Ivo quell’evento è stato come essere travolto da quell’amore della croce fino all’ultimo e di fatto lui ha dato la vita – ha iniziato ad accogliere orfani ha fatto opere per disabili – ha dato la vita nella carità.
C’è un aneddoto di don Ivo quando ha iniziato a star male, verso i 90 anni. Una volta l’hanno portato in ospedale ed uno dei suoi amici è andato a prendergli le cose a casa e sul tavolo c’erano delle mazzette di soldi; da quel giorno l’amico indaga e cosa scopre? – non si è mai saputa questa cosa, non aveva bisogno di dirlo – Lui tutte le volte che gli arrivavano i soldi non teneva niente per sé, faceva dei mazzetti, poi di notte, alle tre del mattino, quando nessuno lo vedeva, andava in giro a lasciarli ai barboni della città. Non si è mai saputo.
E’ un esempio per dire che, quando un cuore viene toccato da un amore puro, folle, illogico, viene travolto ed è capace di amare. E questo penso che sia il frutto più grande della riscoperta del volto vero di Dio, che è il volto di un Padre: è la riscoperta di essere figli.
“Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”. (Rm, 8, 15)
Se Dio è un tiranno noi siamo schiavi e viviamo nella paura, la paura della realtà. Lo schiavo ha paura di quello che il padrone farà. Lo schiavo è quello che se chiede al padrone: “Chi sono io per te?”, quello risponde: “Tu non sei nulla, sei qualcuno da dimenticare”. Ma se Dio è padre, la realtà è un dono, un dono fatto a me che sono figlio e se chiedo al Padre: “Chi sono io per te?”, risponde: “Tu sei tutto, sei qualcuno da ricordare”.
E’ dall’esperienza di questa figliolanza che nasce la certezza, la forza, la capacità di poter amare a nostra volta senza misura, senza calcoli, con una capacità infinita. Questo è il dono a cui ci vuole condurre la Quaresima: il dono della figliolanza.
Vorrei concludere con un brano di letteratura, che secondo me dice cos’è l’incontro con la misericordia. E’ un brano tratto da “Delitto e castigo” di Dostoevskij, dove ad un certo punto c’è questo personaggio che si chiama Marmeladov, una figura terribile, tragica; quest’uomo ha una figlia, poi rimane vedovo, si risposa con una tale Katerina Ivanovna, ma questa donna è cattiva, questa donna ha altri figli e ad un certo punto si ammala e lui si abbatte ed inizia a bere e rovina la famiglia. Fino al punto che sua figlia Sònja, è costretta a prostituirsi per portare soldi alla famiglia. Ma lui continua a berseli questi soldi, continua a distruggere la sua famiglia e un giorno, dopo che è appena stata da Sonia per chiederle altri soldi e appena li riceve entra in questa osteria e se li beve. Mentre è lì, uno che passa, che ormai lo conosce, gli dice: “Di te non si può avere pietà”, e lui risponde:
“Pietà di me? Perché aver pietà di me?!” urlò d’un tratto Marmelàdov, alzandosi con un braccio proteso, in preda a una vera e propria ispirazione, come se non avesse aspettato altra occasione che quelle parole. “Perché aver pietà, tu dici? Sì! Perché aver pietà di me?! Crocifiggermi bisogna, inchiodarmi sulla croce, altro che aver pietà di me! Ma crocifiggimi, giudice, crocifiggimi, e dopo avermi crocifisso abbi pietà di me! E allora io stesso verrò da te per essere messo in croce, poiché non di letizia ho sete, ma di lacrime e dolore! – di lacrime, di pentimento – Credi tu, oste, che questo tuo mezzo litro mi si sia tramutato in dolcezza? Dolore, dolore cercavo in fondo ad esso, lacrime e dolore, e l’ho assaporato, l’ho avuto; ma avrà pietà di noi Colui che di tutti ha avuto pietà, e che tutti e tutto ha compreso: Egli è l’unico, Egli è il giudice. Verrà in quel giorno e chiederà: “Dov’è la figlia che s’immolò per la sua matrigna malvagia e tisica, per i teneri figli d’altri? Dov’è la figlia che ebbe pietà del padre suo terreno, ubriacone impenitente, anziché aver orrore della sua bestialità?”. E dirà: “Vieni! Io ti ho già perdonato una volta… E anche ora ti vengono perdonati i tuoi molti peccati, perché molto tu hai amato”. E perdonerà la mia Sònja, la perdonerà, so bene che la perdonerà. L’ho sentito nel mio cuore poco fa, quand’ero da lei!. E tutti giudicherà e perdonerà, i buoni e i cattivi, i saggi e i mansueti. E quando avrà finito con tutti, allora apostroferà anche noi: “Uscite – dirà – voi pure! Uscite, ubriaconi, uscite voi, deboli, uscite voi, viziosi!”. E noi usciremo tutti, senza vergognarci, e staremo dinanzi a lui. Ed egli ci apostroferà: “Porci siete! Con l’aspetto degli animali e con il loro stampo; però venite anche voi!”. E obietteranno i saggi, obietteranno le persone ricche di buon senso: “Signore! Perché accogli costoro?”. Ed egli risponderà: “Perché li accolgo, o saggi, perché li accolgo, o voi ricchi di buon senso? Perché non uno di loro se ne è mai creduto degno” […] E ci tenderà le sue mani, e noi vi accosteremo le labbra, e piangeremo […] e capiremo tutto! Allora capiremo tutto! Tutti capiranno”.
Questa è la misericordia del Padre e la Quaresima ci invita a riconoscerla.