don Paolo Sottopietra – Introduzione alla vacanza della Fraternità S. Carlo – Corvara 2023
Qual è lo scopo della nostra vita? O meglio: per che cosa la nostra vita è stata chiesta?
Non intendo porre questa domanda in generale, parlando della nostra vita di uomini, ma guardando allo specifico della vita di noi che siamo qui insieme stasera. Non come cristiani in generale, ma come cristiani chiamati in questo nostro tempo e come persone che hanno ricevuto un dono particolare, il dono di una chiamata particolare.
Qual è dunque la cifra di questo nostro tempo? Questo è il primo polo al quale la nostra riflessione deve necessariamente riferirsi.
Joseph Roth, l’autore de La leggenda del santo bevitore, in un testo del 1934 dedicato all’avvento dell’Anticristo, riferisce del suo viaggio tra gli uomini suoi contemporanei, che lo ha portato a incontrare popoli e persone di tutta la terra. Lo stile letterario di questo testo, insolito e forse unico, a metà tra il reale e l’immaginario, gli permette di dar conto dell’imponenza e delle contraddizioni del tentativo di costruire un’umanità nuova. Dall’Oriente all’Occidente, dalle redazioni dei giornali alle fabbriche, dalle scuole al nuovo tipo di abitazioni che si diffondono in molti luoghi, dalle organizzazioni militari al cinema, Roth descrive un nuovo modo di vivere e di concepire la vita. E constata che si tratta di una vita idealmente sganciata da ogni riferimento a Dio, in modo sempre più lucido e radicale, e realizzata come tentativo sistematico di costruire in coerenza con la premessa di questo sganciamento.
Nella parte centrale del suo scritto, Roth riferisce del suo approdo nella terra rossa dell’ateismo scientifico con queste parole: «Dopo di ciò, andai nel paese del quale mi dissero che non vi erano più grida di poveri e distrutti; là ci si impegnava a far risplendere la verità, la giustizia e la ragione […]; là si aveva la naturale attenzione per ogni singola vita umana e ciascuna era sacra. Arrivai dunque nella capitale di questo paese. È un’antica città, una bella, grande città con molte centinaia di antiche chiese. Se si vede questa città da un punto posto in alto, si scorgono le cupole verdi a volta fra tetti piatti e a punta, come gigantesche pietre preziose sparse. Ogni secolo sembra avere lasciato in eredità a questa città una simile pietra preziosa. Visitai alcune di queste cupole e le chiese che si inarcavano a volta, e vidi che in molte chiese non si pregava più, e che dai mozzi erano state allontanate le campane e le croci dalle cupole e all’interno dalle pareti. “Siamo riusciti ad uccidere Dio” dicevano qua a là. “Ci dovrebbero imitare! Come può vedere, non abbiamo soltanto abolito la ricchezza, l’oro, l’imperatore, i carnefici, ma abbiamo anche liberato il cielo da tutta l’immondizia che si è accumulata là nel corso della storia. Ora, la terra è pulita e il cielo è vuoto”»[1].
Il 1934 è lo stesso anno in cui T.S. Eliot scrive i Cori da «La Rocca». I due testi si richiamano, in qualche modo. Forse, ascoltando le parole di Roth, ci è tornata in mente la frase che tante volte abbiamo letto e ascoltato: «[…] sembra che qualcosa sia accaduto che non è mai accaduto prima: sebbene non si sappia quando, o perché, o come, o dove. Gli uomini hanno abbandonato Dio non per altri dei, dicono, ma per nessun dio; e questo non era mai accaduto prima. Che gli uomini negassero gli dei e adorassero gli dei, professando innanzitutto la Ragione e poi il Denaro, il Potere, e ciò che chiamano Vita, o Razza, o Dialettica. La Chiesa ripudiata, la torre abbattuta, le campane capovolte […]»[2]. […]
La cifra del nostro tempo, almeno in Occidente, è l’eliminazione di Dio e il rifiuto di Dio. È il progetto, sempre più inquietante, di una umanità nuova senza Dio, costruita contro Dio.
Per che cosa, dunque, è stata richiesta la nostra vita in questo secolo?
Per accennare al secondo polo della nostra riflessione, voglio leggervi un passo di Madeleine Delbrêl. Questa donna, intelligente e appassionata, è stata una vera missionaria del nostro tempo: certa della sua fede, che aveva prima consapevolmente ripudiato per abbracciare un ateismo idealmente ultimativo e poi riguadagnato, attraverso l’incontro con una compagnia di giovani cattolici durante gli anni dell’università[3]; amante dell’uomo e capace di rischiare una condivisione radicale ma senza compromessi con la mentalità del mondo; devota alla Chiesa e alla sua autorità con un realismo e una capacità di sacrificio profondamente cristiani. […]
Nella terza parte di una sua opera famosa – intitolata Città marxista terra di Missione[4] –, Madeleine si rivolge specificamente ai cristiani ai quali dedica il libro, consigliando invece non senza ironia ai suoi amici marxisti, che pur spera di avere tra i suoi lettori, di non addentrarvisi. Un marxista, infatti, «si troverebbe in una terra per lui del tutto straniera»[5], non capirebbe. Questa parte, e con essa tutta l’opera, si conclude con un breve paragrafo pieno di speranza, in cui Madeleine esprime lo zelo e la passione che prova per i suoi contemporanei. È intitolato: “Dio nella città”.
La città di cui parla Madeleine è concretamente la sua Ivry-sur-Seine, il sobborgo di Parigi in cui viveva e lavorava come assistente sociale, governato per decenni da una giunta comunista e divenuto un esperimento-pilota per la realizzazione della società marxista in Occidente. Ma è anche la più vasta città terrena che si sta costruendo nel rifiuto di Dio, nella pretesa di una radicale immanenza. Ivry diventa dunque in queste pagine il simbolo della città umana moderna come tale.
Madeleine Delbrêl osserva innanzitutto che, se «degli uomini possono giungere ad affermare: “Dio è morto”, nella mia e nelle altre città […]»[6], noi cristiani ce ne dobbiamo sentire responsabili. Descrive poi questi nostri vicini senza fede, come dei «fratelli derubati»[7], defraudati del bene più prezioso. E subito aggiunge, guidata dalla sua indole pratica: «Forse è necessario che soffriamo per essere stati i responsabili del fatto che altri uomini hanno perduto Dio, ma soprattutto è nostro dovere di restituirlo loro. Non sta in noi dare la fede, ma è ben nelle nostre possibilità di dare noi stessi; la fede ha posto Dio dentro di noi e noi possiamo darla nel tempo stesso che diamo noi stessi: nella città»[8].
Ecco ciò per cui la nostra vita è stata richiesta in questo momento della storia! Perché abbiamo a offrire noi stessi, dandoci agli uomini che abbiamo attorno, perché in noi essi ritrovino la strada alla fede e quindi a Dio. «Non si tratta dunque di andare chissà dove avendo in cuore la sofferenza altrui» prosegue Madeleine, forse pensando a san Benedetto, «ma di restare accanto a loro con Dio in mezzo, tra loro e noi»[9]. Noi siamo chiamati a stare accanto all’uomo che ha smarrito il senso delle cose, il senso di Dio, che si tende nello sforzo titanico di costruire un mondo a prescindere da Lui. Siamo chiamati a restare – condividendo i luoghi in cui vivono, nelle città – accanto a loro con Dio in mezzo, tra noi e loro: formula suggestiva, che esprime l’approccio che anche noi vogliamo avere alla missione.
Ma ecco l’immagine, su cui si impernia questo testo di Madeleine, a cui voglio arrivare. Mi sembra infatti che aiuti a visualizzare l’energia che deve albergare nel nostro cuore perché possiamo protenderci verso l’uomo lontano da Dio e dalla Chiesa: «Un giorno» prosegue Madeleine, «per rivelare la sua presenza a un uomo che viveva in sé l’esilio di tutto un popolo e la propria solitudine religiosa, Dio si servì d’un roveto. Nel popolo dei patriarchi e dei profeti per manifestarsi vivo e dire il proprio nome, per chiamare un uomo, Dio s’è accontentato d’un roveto, ma questo roveto era in fiamme. La sua realtà di cespuglio si era tramutata tutta quanta in un fuoco che veniva da Dio e rimaneva cosa sua. Per restituire Dio, per richiamarne la presenza, per riportarlo come un compagno tra gli uomini, non abbiamo bisogno d’essere persone di valore, basta un cespuglio di spine; ma noi, così come siamo, privi di valore, senza alcuna esteriorità e senza grandezza, dobbiamo diventare un sacrificio: dobbiamo diventare cioè una vita data a servizio della fede, a servizio della vita stessa di Dio»[10].
Ecco per che cosa è stata richiesta la nostra vita! Perché abbiamo a offrire i vostri corpi – la realtà povera e limitata della nostra umana esistenza – come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio (Rm 12, 1).
Ma come può la vita personale di ciascuno di noi e la vita delle nostre case diventare un roveto che brucia – poca cosa, in sé, ma trasfigurata perché Dio la abita –, la cui presenza richiama la presenza stessa di Dio, di cui Dio si serve per annunciare se stesso? «Si tratta d’una morte e d’una resurrezione» prosegue Madeleine. Si tratta «di morire a ciò che noi saremmo stati se fossimo unicamente degli uomini, di risuscitare per diventare ciò che realmente siamo nella nostra personalità di cristiani. Si tratta d’accettare la fede come un vivente amore di Dio, come la vita d’un tale amore dentro alla nostra carne, dentro al nostro cuore e al nostro spirito […], di farne l’alleanza nella vita e per la vita, così come venne espressa per prima dalla vergine Maria: “Sia fatto di me secondo la tua parola”»[11].
Siamo stati di nuovo convocati qui, dunque, per ricordarci che siamo – e siamo chiamati ad essere – roveto ardente, che le nostre case sono roveto ardente, che la nostra vita vissuta tra gli uomini a cui siamo mandati è questo roveto ardente, segno di Dio e proprietà di Dio, impossibile miracolo di un fuoco che non si consuma, posto nel mondo come punto di richiamo di Dio all’uomo. Come punto e strumento di vocazione universale, di una chiamata che non ha limiti di tempo e di spazio […]
[1] J. Roth, L’Anticristo, Edizioni Theoria, Fano 2021, 57-58.
[2] T.S. Eliot Cori da «La Rocca», BUR, Milano 1994, 99-101.
[3] Cfr. La bellissima testimonianza da lei resa di questo incontro in: M. Delbrêl, Provocazione marxista ad una vocazione per Dio. Ivry: 1933/1957, Jaca Book, Milano 1975, 169-171.
[4] M. Delbrêl, Città marxista terra di Missione, Gribaudi, Milano 2015; Pubblicato anche sotto altro titolo: Provocazione marxista…, op. cit.
[5] M. Delbrêl, Provocazione marxista… op. cit., 30.
[6] M. Delbrêl, Provocazione marxista… op. cit., 161.
[7] M. Delbrêl, Provocazione marxista… op. cit., 161.
[8] M. Delbrêl, Provocazione marxista… op. cit., 161.
[9] M. Delbrêl, Provocazione marxista… op. cit., 161.
[10] M. Delbrêl, Provocazione marxista… op. cit., 161.
[11] M. Delbrêl, Provocazione marxista… op. cit., 161-162.