Accidia

Pigi Colognesi – Il Sussidiario →

Penso che ormai ci sia pochissima gente che si confessi del peccato di accidia. Eppure essa va a costituire (assieme a superbia, avarizia, invidia, ira, lussuria e golosità) l’elenco dei sette «vizi capitali» e sulla sua specifica pericolosità hanno riflettuto parecchi santi.

Il significato della parola – in consonanza con il peccato che descrive e coi gesti che lo manifestano – non è schematicamente definibile. L’accidia si avvicina molto ad un’amara tristezza che non ha motivazioni precise, ad una insoddisfazione vaga e generica che preferirebbe qualsiasi situazione salvo quella in cui ci si trova, ad una pigrizia giustificata dall’assenza di energie – gli «ignavi» di dantesca memoria -, fino all’inquietudine ansiosa e allo smarrimento totale, nel quale sono possibili i gesti più estremi.

Sono tutti sintomi che ci inducono a pensare ad una parola ora parecchio usata – ed abusata – per descrivere molti caratteri profondi ed insinuanti della nostra condizione esistenziale: depressione. Ne ha parlato in un recente articolo lo psicanalista Massimo Recalcati. Egli osserva che nella nostra società si sono imposti due «comandamenti»: il «nuovo» e il «successo». 

Il primo spinge a «scambiare quello che si ha con quello che ancora non si ha nell’illusione che è quello che non si ha a custodire la felicità». 

Quanto al secondo, «nessun tempo come il nostro ha enfatizzato come questione di vita o di morte la realizzazione del proprio successo personale», giungendo però a togliere ogni possibilità di significato costruttivo al fallimento o all’errore, che pur fanno parte dell’esperienza. 

«L’uomo è divenuto una macchina di godimento. E quando questa macchina funziona meno, non è oliata sufficientemente, non ha più benzina, o, più semplicemente, si guasta, si rompe, c’è la caduta nel vuoto», la depressione appunto. 

Il fatto è che la percezione comune – basta leggere i commenti a tristi fatti di cronaca quotidiana: omicidi apparentemente inspiegabili, suicidi senza particolari motivi, violenze diffuse –, facendo ricorso alla depressione, tende a giustificare ogni comportamento, a farlo dipendere da meccanismi così profondi da non implicare la responsabilità dell’agente. 

Coraggiosamente Recalcati ricorda che c’è un’altra ipotesi di lettura, quella che riporta al «giudizio di condanna che i padri della Chiesa esprimevano sull’accidia e ha l’obiettivo di mostrare che nella depressione c’è sempre una responsabilità del soggetto che non va dimenticata». 

Tra i molti testi dei padri della Chiesa che si sono occupati di accidia c’è A Stagirio tormentato da un demone di san Giovanni Crisostomo.Il grande vescovo non impone ulteriori sensi di colpa sulle spalle del suo interlocutore, afflitto da depressione; proprio così la versione italiana traduce il greco athymia, cioè abbattimento d’animo, avvilimento. Semplicemente gli ricorda che difficoltà, fallimenti e insuccessi fanno parte della vita. Non sappiamo perché Dio li permetta, ma siamo certi che anch’essi servono a procedere nel cammino di bene verso un destino di felicità: «Dio ha voluto inserire la depressione nella natura umana non perché con leggerezza e inopportunamente ricorriamo ad essa nelle circostanze contrarie e neppure per consumare noi stessi, ma per trarne il massimo profitto». 

Quindi, totale realismo nella constatazione delle difficoltà, ma nessun cedimento – qui sarebbe il peccato – allo sconforto. È su questo sottile crinale che la libertà può sempre scegliere. Ne consegue, conclude Giovanni Crisostomo, che «dobbiamo essere depressi non quando patiamo qualcosa di avverso, ma quando operiamo male». 

3 Commenti

  1. Buongiorno
    Ieri ho partecipato ad una preghiera carismatica BELLISSIMA dedicata alle famiglie, ed ero affascinato dalla bellezza dell’amore che Dio ci dona.
    Molto commovente vedere bambini uniti ai genitori, ma uniti anche nello sguardo celestiale che appare quando si viene spinti oltre qualsiasi misericordia, li ho scoperto la mia malattia di mancanza D’amore, d’affetto mancanza della Famiglia ( E molto importate avere qualcuno accanto che ti ama) mancanza delle certezze nella vita e molte altre, che mi tagliano il cuore ogni giorno.
    Ad un certo punto nella preghiera ho sentito nel mio cuore ribattere amore, non sentivo più il mio dolore continuo di mal di stomaco che mi accompagnava tutti i giorni, e la cosa più bella che ho sentito è la pace nel mia anima, nel mio spirito… Wow!!
    Adesso ho ripreso il mio sorriso, lasciato infondo alla mia anima per molto tempo, però non dico che sia facile ma noi dobbiamo chiedere a Dio di darci FELICITÀ di riempirci il cuore di MISERICORDIA e di AMORE, questa è la cura ad ogni abbandono che purtroppo esiste nella nostra vita!
    Volevo condividere l’amore che Dio mi ha fatto provare!
    Pregate sempre per voi è per tutti e l’unica medicina contro il MALE!

  2. “L’erba del vicino è sempre più verde”; un vizio sempre esistito. Si tende a guardare sempre di più a quello che non si ha piuttosto che a essere grati di quelli che si ha.
    Che non vuol dire secondo me accontentarsi e vivere nel “mediocricismo”. Ma vedere il bello della nostra situazione, senza angosce o pianti greci.
    Ho una casa piccola? Ok, ma intanto ce l’ho; ho un lavoro che non c’entra nulla con quello per cui ho studiato? Va bene, si può migliorare; ma intanto lavoro, e mi sono potuta permettere la casetta e di costruirmi una famiglia. Sono nata con un malattia genetica? Ok, non è il massimo che si possa desiderare, ma poteva manifestarsi in un modo più virulento, mentre invece tutto sommato sto bene. E guarda il caso forse la devo anche ringraziare, che ho la visione della vita come ce l’ho. Una cosa importantissima mi ha insegnato la mia famiglia: mai disperarsi perché a tutto c’è rimedio. I problemi si affrontano, non si piangono. Certo, bisogna VOLERE uscire dal proprio guscio. Bisogna ammettere di aver bisogno di aiuto e avere la volontà di affrontare e annientare il proprio ostacolo, di uscire dal tunnel che ci fa vedere offuscata e distorta la vita e la nostra esistenza. Bisogna avere l’umiltà di ammettere che abbiamo bisogno dell’Altro, che da soli non ci bastiamo, e anche se per un po’ ci potrebbe sembrare il contrario, alla fine da soli non andremo mai troppo lontani.
    Davanti a una situazione per me ingestibile, che mi ha fatto stare male per troppo tempo, ho deciso di liberare il cuore nel confessionale.
    Ovvio che nella circostanza DEVO STARCI, e ci sto anche oggi. Ma non ci sto come sabato o ieri mattina; mi è stata indicata la via per starci in un altro modo; ed è quello che mi serviva: la prova la dobbiamo passare. Tutto sta a non mollare e a non cadere nella disperazione, che è quello che desidererebbe tanto il Demonio per farci suoi.

  3. Dopo aver letto questo scritto, sono due le riflessioni che mi sono venute da fare. La prima, la più immediata è che tanto tesoro, che la Chiesa custodisce e per il nostro bene indica (contenuto nel catechismo) oramai è divenuto sconosciuto. Non si confessano quelli che sono i “vizi capitali”anche perché non si conoscono, o meglio perché sono spariti dall’insegnamento. Figuriamoci poi l’indicare e testimoniare le virtù che si contrappongono loro. Penso all’umiltà ed alla temperanza che sono la via per non cadere preda dell’avarizia e della lussuria o della gola.Questa secondo me è la mancanza più grave: il perdere, senza far nulla, una occasione di bene così grande. Guardate non parlo di far imparare a memoria queste cose (anche se il farlo a me ed a tanti altri ci permette di vivere pienamente ora) ma l’annunciarlo con le parole si, ma soprattutto con la propria condotta di vita. Com’è possibile imputare ai giovani cose che noi “adulti” non conosciamo o peggio ancora non annunciamo e viviamo per primi? la seconda riguarda la depressione. Mi permetto di dire, per conoscenza diretta, che questa condizione, legata sempre più frequentemente a particolari malattie (mentali), insegna che la propria libertà e coscienza sono come sospese in un limbo incosciente, anche quando le persone sono adeguatamente seguite e curate. Noi non dobbiamo giudicare, ma compatire, cioè “patire – con” insieme a chi sta male ed ai loro familiari. Impareremo così da loro come si sta difronte al dolore, all’impotenza, per poi noi, a nostra volta poter stare davanti al nostro. E poi pregare,perché davanti al Mistero della vita con le sue gioie, ma soprattutto con i suoi dolori, noi abbiamo bisogno di sperare, e la speranza non ce possiamo dare da soli, ma ce la può donare solo Cristo presente qui ed ora.

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