Don Nicolo Ceccolini – Fraternità e Missione
Si dice che il carcere è il luogo che non dorme mai. Grandi chiavi aprono e chiudono pesanti cancelli che sbattono alle spalle; note di brani rap e neomelodici napoletani riempiono l’aria con i loro toni lamentosi, dolci e spigolosi; un vociare di ragazzi che si esaltano per una vittoria al biliardino o che battibeccano tra loro per uno scherzo andato male; sguardi randagi alla ricerca di altri sguardi… Parole gridate, urlate come imposizione e comando, parole quasi lanciate nella speranza che vengano da qualcuno raccolte. Parole tutte però che in un modo o in un altro sono gravide di vita. E per me, che sono prete, quale migliore parola può raccontare più di ogni altra la Vita, chi sono io, chi sono i ragazzi e chi è Dio, se non proprio quella che Lui ci regalato?
Sono presente al carcere minorile di Casal del Marmo da più di dieci anni, cercando di essere accanto a minori e giovani adulti che arrivano già doloranti, provati e sconfitti dalla vita, con la sfiducia verso se stessi e verso gli altri all’ennesima potenza. Come incontrarli veramente? Come raggiungere il loro cuore? Come imparare a gioire per il semplice fatto che ognuno c’è nella sua unicità? Sono domande che mi accompagnano sempre ogni volta che varco quei cancelli. E la risposta lentamente mi è stata sempre suggerita da quella Parola di vita, tanto antica ma sempre nuova, diventata un volto umano.
Nella condivisione quotidiana con i ragazzi del carcere scopro quanto il Vangelo prenda vitalità in me e intorno a me, sperimentandone tutta la sua concretezza. Ci sono brani che ti si incollano addosso e che non puoi più strappare via, che descrivono quello che io sono e che sono chiamato ad essere: “Ogni volta che avete fatto questa cosa a uno dei più piccoli, l’avete fatta a me”.
Dal Vangelo imparo che l’amore non è un sentimento, ma è una decisione. E i ragazzi me lo ricordano ogni giorno: occorre decidere tante volte di essere usato, perché il bisogno possa essere l’inizio di una strada di condivisione più autentica e profonda; decidere di accettare e rispettare i tempi perché il cuore e la libertà di un ragazzo cedano. È una posizione vertiginosa. Occorre accettare di morire perché la vita possa rinascere, lasciarsi ferire per risanare altre ferite. Penso sempre a Gesù davanti alla richiesta di quel giovane di essere felice, dopo averlo fissato, lo amò, e gli disse di lasciare tutto e seguirlo. Ma quel ragazzo preferì fare altro e se ne andò via, triste. Chissà che dolore avrà provato Gesù nel suo cuore. Sicuramente gli si saranno bagnati gli occhi e gli sarà scesa qualche lacrima sul viso, come anche a me capita quando penso ad alcuni di loro. Occorre decidere di credere in ognuno, quasi con una fiducia incontrollata, sapendo già molto probabilmente di venire tradito. Decidere di essere quel padre che impotente lascia partire suo figlio, ben sapendo tutto quello che combinerà, ma che non ha mai rinunciato ad attenderlo e affidarlo.
Il tempo del carcere dovrebbe essere il tempo di una semina generosa, di relazioni positive che rimangono e possono essere poi riscoperte nel corso della vita, di una Parola che non ha bisogno per affermarsi di tante parole. Parla attraverso un volto, un abbraccio, un sorriso, attraverso dei gesti e dei fatti concreti. All’opposto di quel che regna in carcere, è una parola gentile e forte allo stesso tempo. Non ha fretta di farsi subito rispettare, ma sa attendere il momento opportuno; non spintona per aprirsi un varco nel cuore dei ragazzi, ma è capace di riscaldarlo; non ha bisogno di gridare per essere ascoltata, ma si propone perché il suo linguaggio, l’amore, è compreso da tutti.
Quel seme che, in estate o in inverno, con il sole o con la pioggia, cresce e nessuno sa come, mi riempie di infinita speranza. Piano piano il Vangelo cambia il mio sguardo sulla realtà e la vita di questi ragazzi. Ho imparato che è necessario vedere nel piccolo seme già l’albero che sarà. Se ci si ferma al presente di un ragazzo, nessuno cambierà mai. Se si è capaci invece di intravede in lui tutto il bene che è e che potrà diventare, allora qualcosa può realmente accadere. E quella Parola, che nel frastuono del carcere, sembra assopita, in realtà non dorme mai.