L’aquilone vola se appartiene

don Michele Lugli

Ho amato gli aquiloni sin da bambino. I primi esperimenti li facevo con una busta della spesa legata al filo da cucire. Nei giorni ventosi mi affacciavo dalla finestra di casa. Il vento gonfiava la busta e la trascinava via. Sentivo la forza del vento nel filo che stringevo in mano. Non andava molto in alto e più che un aquilone sembrava un paracadute però esprimeva già il mio desiderio di volare.

Crescendo ho provato a fabbricarmi un aquilone più sofisticato con tecniche e materiali diversi, ma con scarsi risultati; alla fine me lo hanno regalato e grande è stata la festa, ma la scoperta più importante l’ho fatta in Cile.

Durante il mese di settembre in Cile i parchi si riempiono di migliaia bambini che fissano attenti il cielo seguendo il volo dei loro aquiloni. È uno spettacolo di acrobazie. La sfida è incrociare il filo dell’avversario e riuscire a tagliarlo. È tanta la competizione che arrivano a incollare della polvere di vetro sul filo per renderlo più tagliente. Quando un filo si spezza vedi uno sciame di bambini che insegue l’aquilone che il vento porta via.

Una domenica mattina di settembre andavo in parrocchia. Le strade erano deserte. La città dormiva ancora. All’improvviso una cosa colorata tra i rami di un albero ha catturato la mia attenzione. Impigliato tra i rami ho visto un aquilone. Nessun bambino era risuscito a raggiungerlo. Era lì da qualche tempo. Strapazzato dalla pioggia e dal vento. Agonizzava in silenzio.

Allora improvvisamente ho capito! Siamo come gli aquiloni! L’aquilone pensa: se potessi tagliare il filo che mi lega a questo noioso bambino che tira e molla sarei libero e andrei dove vorrei, potrei essere me stesso, sarei felice. Quando il filo si rompe l’aquilone esulta: finalmente ci sono riuscito! Pero l’illusione di libertà dura poco. Subito appare la verità. Il vento trascina l’aquilone dove lui non vuole. Il suo viaggio tanto sognato è già terminato. L’aquilone si ritrova impigliato nei rami di un albero. Appeso, agonizza girando tristemente su se stesso. Allora l’aquilone capisce che il filo non limitava la sua libertà, ma la difendeva. Quel filo non soffocava la sua personalità, ma l’esaltava.

Che mistero! L’aquilone è fatto per volare pero per volare ha bisogno del vento, del filo e di un bambino. Non è un’opinione, ma un fatto. Se tagli quel filo il vento che hai dentro di te [umori e malumori] e fuori di te [imprevisti e prove] ti trascina dove tu non vuoi. È quel filo teso che il bambino stringe in mano che trasforma il vento in un’energia per te e non contro di te.

Quel bambino è Dio. Lui desidera vederti volare con la tua personalità. Con lo stile che nasce dalla tua forma di essere. Per lui tu sei speciale. Noi come gli aquiloni voliamo solo se non rompiamo quel filo che ci unisce a Dio. Il filo è la comunità. Il desiderio di autonomia è un suicidio.

Speriamo che quel bambino non molli la presa e se nonostante tutte le raccomandazioni continuiamo a scappare ci venga a cercare per riprenderci e rifarci volare.