Portiamo la luce!

Padre Mauro Lepori

Il mondo è sempre più diviso e in guerra. Cosa ci chiede questa tragica circostanza? Non basta esserne informati, esprimere orrore e solidarietà. Non basta condannare i colpevoli e sentirci solidali delle vittime. “Non fanno così anche i pagani?” (Mt 5,47) Noi cristiani siamo chiamati a fare di più. Non perché siamo migliori o più capaci, ma perché abbiamo ricevuto di più. Noi abbiamo Cristo, e Cristo è tutto ciò di cui l’umanità ha bisogno. “Chi ha il Figlio, ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita”, esclama san Giovanni (1Gv 5,12). Cristo è tutto, Cristo è la pace. Noi abbiamo in Gesù la pace di cui hanno bisogno i popoli in guerra, i popoli oppressi, le comunità in conflitto, le famiglie divise, i cuori turbati dal proprio male o da quello degli altri.

Allora dobbiamo chiederci con sincerità: perché diamo così poco Cristo? […]

La Chiesa è segno e strumento della luce delle genti che è Cristo. Il volto vero della Chiesa, nonostante tutte le incoerenze dei suoi membri, è il volto di una sposa raggiante di amore per lo Sposo. Essa riflette l’amore infinito che lo Sposo nutre per lei e, attraverso di lei, per tutta l’umanità. La Chiesa non può sperimentare l’amore di Cristo senza sentirsi ardere dal desiderio di comunicarlo, di riflettere la luce di Cristo al mondo intero. La Chiesa non deve creare la luce: la deve solo riflettere come la luna, come uno specchio. Più lo specchio è pulito e più riflette la luce senza diminuirla o modificarla. Ogni riforma della Chiesa, ogni riforma di un Ordine o di una comunità, come ogni vera conversione personale, non è per mostrare una propria bellezza, ma per riflettere senza ombre e opacità la bellezza di Cristo. La bellezza di Cristo è tutta la bellezza di Dio manifestata al mondo.

Se siamo coscienti di questo, capiamo che tutti, senza eccezione, possiamo riflettere questa luce, perché essa ci illumina totalmente. Quando Gesù guarda un peccatore, quando guarda la donna adultera, o Zaccheo, o la Samaritana, o Pietro mentre lo sta rinnegando, nei suoi occhi, sul suo volto, splende tutta la luce del suo amore. Non dobbiamo temere che la nostra miseria faccia schermo alla luce di Cristo. Se la miseria dell’umanità peccatrice avesse potuto impedire alla luce del volto di Gesù di illuminare il mondo, nessuno lo avrebbe incontrato, nessuno lo avrebbe seguito, nessuno si sarebbe convertito. Niente può arrestare la luce misericordiosa dello sguardo di Cristo sull’uomo.

Il vero problema è che questa luce possiamo nasconderla noi. Non possiamo spegnerla, non possiamo impedirle di splendere su di noi, ma possiamo nasconderla. Gesù lo ha detto chiaramente quando ha ricordato ai discepoli che “non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5,15)

Che pazzia mettere una lampada accesa sotto il moggio o, come aggiunge il Vangelo di Marco, “sotto il letto” (Mc 4,21). Eppure noi facciamo spesso così. In mille modi cediamo alla tentazione di nasconde la luce di Cristo ai nostri occhi e a quelli degli altri. Non permettiamo al mondo di vedere che siamo amici del Signore, che siamo suoi. Come Chiesa, siamo chiamati ad essere segno e strumento della luce di Cristo che illumina il nostro volto, ma spesso è come se avessimo vergogna di mostrarla. Non si tratta di “fare propaganda” di Cristo, di “fare proselitismo”, ma semplicemente di non nascondere Gesù che si dona a noi così gratuitamente. A volte parliamo di Lui o annunciamo il suo Vangelo preoccupandoci forse più di diffondere la luce del nostro volto che di riflettere la sua.

Gesù dice di non nascondere la luce sotto il letto o il moggio. Cosa simbolizzano queste immagini curiose? Chi ascoltava Gesù in quel momento deve aver sorriso. Forse il letto simboleggia la nostra pigrizia, la nostra ricerca della comodità, la nostra mancanza di vigilanza e attenzione. Il moggio invece è un secchio che veniva usato per misurare le granaglie e calcolarne il prezzo. Era quindi uno strumento per calcolare e fare commercio del suo contenuto. La luce però non si vende: si dà da sola, è dono in se stessa. Per natura rischiara tutti, a meno che la nascondiamo per tenerla solo per noi, per dormirci su o farne commercio. Gesù ci richiama a non nascondere la sua luce sotto i nostri comodi o sotto la nostra misura e sete di guadagno.

Ognuno di noi può esaminare la propria vita, ogni comunità può esaminarsi […] Sotto cosa e come nascondiamo la luce del mondo che è Cristo? […]

Basta non nascondere la luce di Cristo, basta metterla sul candelabro, perché risplenda per tutti. A volte rendiamo complicata la nostra missione e testimonianza, perché pensiamo che richiedano grandi talenti, coraggio, intelligenza e santità . Ma se la luce ci è donata, se viene a noi, come l’annuncio ai pastori o la stella dei Magi, basta metterla sul candelabro, cioè non nasconderla. Una persona o una comunità che semplicemente non nasconde la presenza di Cristo, la sua amicizia, la verità della sua parola, diventa candelabro e vive cosı̀ la pienezza della sua missione. Spesso sono le persone o comunità umanamente più insignificanti che manifestano Cristo con maggior chiarezza, proprio perché con loro Gesù può essere pienamente se stesso, esprimendo tutta la tenerezza della sua presenza.

Tutta la vita cristiana, e tutta la vita monastica, richiedono un’ascesi, non per accendere la luce, ma per accoglierla e metterla sul candelabro. Il giorno del nostro Battesimo riceviamo la luce di Cristo, quella che si accende nella Notte Pasquale. Da quel momento in poi, tutta la vita è chiamata a conservare accesa questa fiamma e a trasmetterla a tutti. Chi la nasconde sotto il moggio o sotto il letto impedisce al suo Battesimo di portare frutto. Il frutto del Battesimo è che la nostra vita serva lo splendore del volto del Signore.

Anche i due discepoli di Emmaus […] hanno sentito ardere nel loro cuore come una fiamma, accesa dalla presenza e dalla parola del Risorto. Quando hanno aperto gli occhi allo splendore eucaristico del dono di Cristo al mondo, simboleggiato dal pane spezzato, subito sono corsi a portare questa luce ai fratelli e sorelle a Gerusalemme. Possiamo fare la stessa esperienza nella nostra vita, se ci lasciamo veramente guidare da ciò che la Chiesa, e in particolare la nostra vocazione, ci offrono per accogliere e trasmettere la luce di Cristo.

Luce è anzitutto la Parola di Dio, il Vangelo, che siamo chiamati ad ascoltare meditando la Sacra Scrittura, ma anche ascoltando Gesù che misteriosamente ci parla attraverso tutti e tutto, perché Lui è il Verbo che si esprime in ogni creatura, e che soprattutto ama parlarci attraverso i piccoli e i poveri a cui non sono nascosti i segreti del Padre (cfr. Mt 11,25).

Luce è la vita comunitaria che è la vita del Corpo del Signore e nella quale fa i suoi passi quotidiani il popolo di Dio in cammino nella storia verso la Gerusalemme celeste. Coltivare la fraternità vuol dire tenere accesa la fiamma della carità di Cristo nel mondo.

Luce è la Croce in cui l’offerta di tutte le sofferenze colpevoli e innocenti del nostro cuore e dell’umanità vengono subito trasformate dallo Spirito Santo in pienezza di amore e di fecondità , come in Maria, Madre di tutti i figli di Dio.

Luce è l’umiltà, la povertà dei cuori e nei rapporti, che ci unisce alla luce di Cristo come la legna al fuoco. L’umiltà stessa è luce, la povertà stessa risplende, perché non aggiungono all’amore di Cristo che la materia che si lascia tutta bruciare senza riservarsi nulla.

Possiamo allora dire che quando ascoltiamo e camminiamo insieme, offrendo noi stessi con povertà umile, si realizza fra noi il consenso più prezioso e luminoso delle nostre differenze: Gesù Cristo stesso!

 

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