L’anti Joker

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don Marco Aleo

C’è una voce che, come una colonna sonora, accompagna la vita di tanti nostri amici. Si fa sentire soprattutto nei giovani: non valgo niente, sono fatto male. Devo sforzarmi per diventare qualcuno. Sono tenuto ad essere all’altezza di ciò che gli altri vogliono da me. Devo meritarmi ciò che i miei genitori hanno fatto per me, realizzando il progetto che hanno sulla mia vita.

Normalmente, anche i più grandi momenti di bellezza costituiscono al massimo una tregua. La colonna sonora continua a filtrare tutto, rendendo la vita opaca e stressante.

“Siamo orfani”, ha detto Francisco, un giovane amico, descrivendo la sua generazione, “nessuno ci ha comunicato la certezza che la vita è buona, che c’è un senso per cui alzarsi al mattino, amare, studiare, andare a lavorare”.

Un orfano è un uomo che si sente tradito, invisibile, che vede tutto buio e vive nella paura, senza una “casa” . Varie sono le espressioni di questo sentimento di “orfanezza”. Vanno dal conformismo alla violenza, passando dagli attacchi di panico all’apatia, dalla vergogna di sé, alla necessità di “mostrarsi” —mendicanti di likes— per essere visti a tutti i costi, alla trasversale urgenza di “sballarsi” per abbassare il volume della colonna sonora almeno per un momento.

Come potrà un orfano amare un altro orfano? Varrà la pena introdurre altri innocenti in un mondo e in una vita che non ne valgono la pena? Chi sarà in grado di prendersi cura della vita di coloro —malati, anziani…— che non “servono” più?

“Fino al momento in cui nel mio nulla è arrivata una cosa completamente diversa, che mi dice che vale la pena buttarsi a capofitto nella vita”, ha aggiunto Francisco. Questa “cosa completamente diversa” dà voce a un’altra Voce, nuova rispetto alla colonna sonora di sempre: “Tu mi appartieni, sei il mio pre-diletto. Sei ciò che di più importante ho al mondo, ho bisogno di te!”. Ho visto che è conveniente fidarsi di questa Voce e seguirla.

Pedro è un giovane che ho soprannominato “il fallito”. Quando era bambino, la madre ha cominciato a portarlo a Messa, alla ricerca di un posto diverso da casa sua, dove il padre alcolizzato generava un clima sempre più difficile da sostenere.

L’incontro con molti padri e amici —attraverso il percorso della catechesi della Cresima e grazie all’appartenenza a Gioventù Studentesca — ha permesso a Pedro di riconoscere che il filo conduttore che attraversa tutta la realtà e la sua vita è la presenza dal Padre.

Più avanti, quando già frequentava l’università, Pedro invitava i ragazzi che accompagnava nella preparazione alla cresima alla riunione di Gs, l’ambito che era stato decisivo per lui, la domenica ogni due settimane. Dava loro un appuntamento alla fermata dell’autobus, per andare insieme. Puntualmente, nessuno si presentava. E Pedro arrivava all’incontro di Gs sempre contento. La domenica successiva la scena si ripeteva, e così per un anno. Nella sua disponibilità all’insuccesso traspariva tutto il valore che i ragazzi che aveva invitato avevano per lui, il desiderio che dicessero un “sì” sincero, la stima per la loro libertà, che Pedro provocava e su cui ritornava a scommettere.

In lui ho visto un figlio, prodigo di una sovrabbondanza da donare —perché vive di essa, è generato da essa— e non di un vuoto da riempire: “Ho ricevuto e ricevo un amore che non merito”, diceva motivando la sua donazione ai bambini della Colonia Urbana .

Guardando il cammino percorso dal “fallito”, ho visto che quando qualcuno ospita la Voce, smette di accusare gli altri di non essere ciò che “dovrebbero” essere e si dedica a donare con gratuità senza pretendere una risposta, accompagnando con pazienza i più giovani a scoprire la loro bellezza e unicità, la luce nascosta in essi. In questo modo comunica loro una speranza e un desiderio di crescere.

É per questo che chiamo Pedro anche col nome di “anti-joker”, perché invece di de-generare vita, la genera: non guarda a sé stesso come una vittima, ma ha potuto abbracciare e “perdonare” tutta la sua storia, cominciando a farsi portatore della Voce, diventando padre di altri, perché anche essi possano scoprire che non è necessario essere all’altezza: è ascoltare la Sua Voce ciò che ridona l’altezza. 

 Quando Pedro stava per terminare l’università, si è offerto di aiutare padre Lorenzo nell’accompagnare i bambini e le famiglie del quartiere che sorge attorno alla cappella san José Obrero, nella zona più vulnerabile della nostra parrocchia. Insieme a lui si sono coinvolti altri giovani che così hanno dato vita al “club dei falliti”, come apprendisti artisti che portano una luce e danno alla luce la bellezza nascosta in quel quartiere, nel cuore delle persone che incontrano.

La loro amicizia è diventata la “casa”, attraverso cui la Voce ora risuona in quei vicoli stetti, dove tante persone iniziano a guardarsi come un bene gli uni per gli altri, e finalmente riescono a incontrarsi tra loro.

1 Commento

  1. Caro don Mik
    L’episodio di Pedro mi ha fatto molto riflettere : Pedro non si è scoraggiato , per un anno ha atteso quello che per lui era un bene, ha aspettato un anno , un lungo anno.
    A ben riflettere mi è parso che qualcosa di analogo è avvenuto nella vita di N.S. .
    A dodici anni , vero uomo , aveva pensato che fosse opportuno iniziare la sua missione e ad iniziarla a partire dai sacerdoti , i VIP di allora , ma la madre lo aveva fermato :”Figlio tuo padre ed io ….”.Così in silenzio e nell’obbedienza ha atteso diciotto anni finché ha avuto finalmente il via libera dal Padre ma a partire dalla povera gente e non dai potenti.
    Se sono convinto di fare una cosa buona non mi devo scoraggiare dell’insuccesso ma perseverare ed aspettare che la Provvidenza la realizzi nei tempi e nei modi .
    Ti saluto caramente Paolo

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